2020-02-22
Ma per il presidente Pd della Toscana
chi chiede protezione è un fascioleghista
Il governatore aveva dato del razzista a chi gli chiedeva misure di sicurezza verso 2.500 cinesi di ritorno in Toscana. E adesso?La speranza è che il filosofo Enrico Rossi, oltre alle illuminazioni di Herbert Marcuse e alle eroiche gesta di Che Guevara, 50 anni fa abbia studiato le moltiplicazioni. E oggi colga il senso aritmetico di un problema di terza elementare: se un malato di coronavirus ha contagiato sei persone a Codogno (450 in isolamento), quante persone potrebbero contagiare in teoria 2.500 cinesi a Prato? La cruda metafora finisce qui. Il resto è giustificabile preoccupazione nei confronti di un virus che ha cominciato a mordere anche in Italia; il resto è legittima indignazione nei confronti del governatore della Toscana che nei giorni scorsi per scopi politici ha puntato tutto sul rosso e si è trasformato in una vecchia, prevedibile Sardina.La sua decisione di non sottoporre a quarantena obbligatoria gli asiatici di ritorno dal Capodanno cinese ha lasciato interdetti medici, luminari, rappresentanti dell'Organizzazione mondiale della sanità, tutta l'opposizione e qualche collega del Pd più prudente di lui. Ieri Matteo Salvini ha rotto gli indugi e ha annunciato contro Rossi un esposto denuncia alla magistratura. «Non facendo tutti i controlli necessari su chi rientra dalla Cina mette a rischio la salute dei cittadini toscani e accusa chi lo critica, scienziati e medici compresi, di essere fascioleghista». Il vicepresidente del Consiglio regionale, Marco Stella di Forza Italia, è andato oltre: «Lo denuncio per delitto colposo contro la salute pubblica». Tre giorni fa, contro la normalissima richiesta del centrodestra, Rossi aveva tuonato con comprovato linguaggio sanitario: «Chi ci attacca o non è bene informato, o è in malafede, o è un fascioleghista». Definitivo secondo lo stile dialogante del mondo dem e fuori contesto quando scambia la saggia prevenzione per razzismo. Tutto comincia la settimana scorsa. Il Louis Pasteur di Bientina è così pervaso dall'afflato salvifico nei confronti del prossimo in difficoltà (sono i giorni dei selfie di solidarietà nei ristoranti delle Chinatown italiane - signora mia come sono vuoti - e degli involtini primavera ingurgitati in diretta da Corrado Formigli) da dimenticarsi per strada il più elementare degli obblighi medici in presenza di un pericolo di contagio: la quarantena obbligatoria. Non certo quella volontaria, da collettivo studentesco, messa in piedi da lui contro ogni protocollo. Rossi tiene il punto e Sergio Mattarella sembra dargli ragione quando visita la scuola elementare di Roma con numerosi alunni cinesi (di terza generazione, mai vista la Cina) per puro marketing diplomatico. Niente quarantena, eppure glielo chiedono tutti. La comunità cinese di Prato per prima, con l'esempio, imponendosi in dignitoso silenzio l'autoquarantena per limitare gli eventuali danni. Dodici giorni senza scuola, un atto di responsabilità che non rappresenta però una prevenzione efficace in senso medico. E non giustifica lo sgangherato incedere mediatico del Signor Rossi. Poi prova a convincerlo il virologo rockstar Roberto Burioni, che in queste settimane ha preso non pochi schiaffi dai presunti amici solo per avere consigliato la linea del rigore. «Non capisco per quale motivo la Regione Toscana si intestardisca ad affermare che la quarantena non è necessaria», sottolinea l'immunologo del San Raffaele di Milano fra gli insulti progressisti. «Sarebbe un minimo sacrificio per i 2.500 cittadini che porterebbe però una grandissima sicurezza per tutti gli altri. Nessuno pretende che vengano rinchiusi in un carcere, basterebbe chiedere loro di rimanere a casa due settimane. La stessa cosa che molte multinazionali chiedono ai loro dipendenti di ritorno dalla Cina». Niente da fare, Rossi non si muove di un millimetro, anzi replica: «La Toscana, seguendo le linee nazionali di sorveglianza attiva, sta facendo più di tutte le altre regioni».Le linee guida nazionali sarebbero quelle del ministro della Salute, Roberto Speranza, che il primo giorno scandisce: «Stiamo trattando il coronavirus come la peste e il colera» e nelle settimane successive fa entrare tutti a meno che non starnutiscano in aeroporto. Fino al diktat di ieri pomeriggio, svegliato dal caso Codogno. O quelle del premier Giuseppe Conte che rassicura: «È tutto sotto controllo, faranno quarantena solo coloro che tornano dalle zone a rischio», senza sapere esattamente quali sono. Rossi si adeguerà solo perché glielo impongono da Roma. Prima non aveva mai vacillato. Non davanti ai medici toscani che chiedevano subito una stretta a beneficio della serenità dei cittadini. E neppure davanti al parere autorevole di Walter Ricciardi, rappresentante italiano nell'Oms, che sottolinea da giorni l'importanza della quarantena obbligatoria. E ora aggiunge: «La possibilità di un caso non importato in Italia era largamente attesa, si sapeva che la guardia andava tenuta alta per mesi. Adesso bisogna procedere con sangue freddo e con misure dettate dalle esigenze scientifiche senza esagerare in un senso o nell'altro».Niente panico e niente involtini primavera, la faccenda si fa seria anche per mister Rossi e per quei 20.000 cinesi della comunità di Prato che stanno monitorandosi in modalità self. Lui non sembra preoccupato, è impegnato a commentare su Facebook il proscioglimento di Carola Rackete e a segnalare alla polizia postale gli utenti di Twitter che lo minacciano per le sue scelte strategiche azzardate. Ora il governatore filosofo che vede fascioleghisti anche sotto i camici degli scienziati può solo attendere. I giorni passati hanno misurato le sue capacità, i prossimi misureranno la sua fortuna.