
Serve una norma prima che siano i giudici a colmare il vuoto della politica. E quella del Carroccio non parla mai di eutanasia.«L'eutanasia e il suicidio assistito sono una sconfitta per tutti. Non dobbiamo mai abbandonare chi soffre». Le parole di papa Francesco pronunciate in occasione della terribile vicenda di Noa Pothoven sembrano essere oggi un viatico morale alla proposta di legge sul fine vita confezionata dalla Lega e presentata alle commissioni riunite Giustizia e Affari sociali. I cardini del provvedimento, improntato sulla salvaguardia preventiva della vita più che sulla frettolosa regolamentazione della morte, sono quattro: una forma attenuata di reato per i conviventi del paziente sofferente in caso di malattia irreversibile, la possibilità di obiezione di coscienza da parte dei medici, l'esenzione delle strutture sanitarie religiose dall'obbligo di testamento biologico (legge Dat) e il divieto di sospendere nutrizione e idratazione artificiale.La proposta di modifica della legge sul biotestamento varata dal governo di Paolo Gentiloni - che si aggiunge a quella del Movimento 5 stelle, a quella presentata da Andrea Cecconi del Gruppo misto a quella radicale dell'Associazione Luca Coscioni - arriva per soddisfare la richiesta vincolante della Corte costituzionale, che nell'ultima sentenza sul tema ha chiesto al Parlamento di legiferare entro il settembre 2019. Questo per fare chiarezza, prima che i giudici si sostituiscano a deputati e senatori con sentenze di impronta etica per riempire il vuoto lasciato dalla politica. La discussione è prevista lunedì prossimo in aula; non sarà una seduta semplice poiché le posizioni di Lega e 5 stelle sono ideologicamente distanti. I grillini sono per l'applicazione della dolce morte a maggiorenni, malati terminali e in ospedali pubblici, i leghisti per accompagnare il paziente senza mai togliere la speranza. La proposta di legge si compone di nove articoli e ha come firmatario numero uno e relatore Alessandro Pagano, deputato leghista siciliano che nel presentare il documento mostra una premura preliminare: non parla mai di eutanasia. «Vogliamo dare un seguito alle indicazioni vincolanti della Consulta evitando comunque la loro trasposizione in norme eutanasiche e tenendo conto dei principi costituzionali. Un provvedimento che mai noi della Lega avremmo pensato di presentare, ma che si è reso necessario a seguito dell'ordinanza numero 207 della Corte costituzionale, che ha dichiarato necessaria una depenalizzazione o comunque minori pene verso coloro che assistono persone al suicidio. La stessa Corte chiede che venga migliorata la qualità della vita dei pazienti, con netti miglioramenti della rete delle cure palliative». In Italia l'argomento ha sempre provocato polemiche e lacerazioni, con il coinvolgimento non marginale della Chiesa. Per non lasciare un tema così scottante nelle mani di Movimento 5 stelle e Pd, tradizionalmente ispirati a principi radicali, la Lega ha avanzato la sua proposta, che in aula potrebbe avere una sponda in Fratelli d'Italia e (almeno quanto a sensibilità etica) in Forza italia. A meno che il partito di Silvio Berlusconi non si astenga semplicemente per non fare un favore al governo. Lo scenario è chiaro, il dettaglio dei capisaldi della proposta aiuta a capire il suo approccio morbido. Occupandosi della convivenza e della sofferenza di chi quotidianamente da una vita accompagna il paziente, l'articolo 1 introduce una forma attenuata di reato per chi convive stabilmente con il malato. È la famosa modifica dell'articolo 580 del codice penale sull'istigazione al suicidio. L'illecito dello «staccare la spina» diventa meno grave in due casi: se l'autore del gesto è sottoposto a profondo turbamento determinato dalla sofferenza altrui e se l'ammalato è affetto da patologia irreversibile, fonte di grande sofferenza, tenuto in vita con strumenti di sostegno vitali. In questo caso la pena sarà da sei mesi a due anni. L'articolo 2 è un colpo di spugna sulla legge precedente: non considera trattamenti sanitari la nutrizione e l'idratazione anche artificiali, quindi li rende obbligatori, sempre che il paziente sia in grado di assimilare ciò che gli viene somministrato. Anche gli articoli 3 e 4 sono una vittoria della cultura sociale cattolica. Introducono infatti la disciplina dell'obiezione di coscienza per il medico e per il personale sanitario (sarà presumibilmente uno dei capisaldi della battaglia parlamentare) ed escludono dalle disposizioni anticipate di trattamento (Dat) le strutture sanitarie private a ispirazione religiosa. L'articolo 5 norma le cure palliative come richiesto dalla Consulta, con la presa in carico del paziente da parte del Servizio sanitario nazionale per una terapia del dolore secondo protocollo. Si parla anche di sedazione profonda e dei modi per non trasformarla in eutanasia di fatto. Gli ultimi quattro punti riguardano l'informazione ai minori, la sottolineatura delle «ragioni della vita sulla base della scienza e della coscienza del medico» e la possibilità di revoca, in situazioni di emergenza, delle dichiarazioni anticipate di trattamento dichiarando semplicemente al medico di avere cambiato idea.La Lega è pronta a difendere i capisaldi della legge in Parlamento soprattutto dalle critiche e dalle diverse sensibilità dell'alleato a cinque stelle. Gli sherpa sono al lavoro per provare a smussare gli spigoli e a individuare consonanze. In questa delicata vicenda sarà interessante verificare la posizione della Chiesa, soprattutto della Cei. Che più volte ha additato i barbari e adesso li trova lì, davanti all'altare, a difendere i suoi principi di umanità.
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Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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