2019-09-03
La Lega non lascia le commissioni e raddoppia: Salvini vuole il Copasir
In caso di papocchio, il comitato che vigila sui servizi spetterà all'opposizione. Lorenzo Guerini fa le valigie e il Capitano batte cassa. Gli azzurri possono fare la stampella. Trattative avviate per la non sfiducia. Il Cav è freddo con i leghisti e apre al Conte bis. Sul tavolo c'è il dossier Mediaset. Lo speciale contiene due articoli. C'è un potenziale «disoccupato» che si aggira per le stanze di palazzo San Macuto, sede del Copasir, il comitato di controllo parlamentare sui servizi segreti, organo di sorveglianza molto ambito - vigila sull'attività di Dis, Aise e Aisi -dove l'incarico di presidente secondo la legge spetta all'opposizione. Si tratta del deputato dem Lorenzo Guerini, attuale numero uno eletto a luglio dello scorso anno, tra i più vicini all'ex segretario del Pd Matteo Renzi. Non è un caso che il nome dell'ex sindaco di Lodi circoli in questi giorni come ministro della Difesa, dicastero da sempre molto gradito ai renziani. Perché nel caso in cui si formi una maggioranza parlamentare giallorossa ci sarà l'obbligo per legge di cambiare la presidenza, a differenza invece delle altre commissioni parlamentari ordinarie, come quelle al Bilancio, su cui vige un altro regolamento (scadenza metà legislatura) e contro cui la nuova potenziale maggioranza sta già attaccando a testa bassa. Sulla poltrona di palazzo San Macuto punta anche la Lega (nella scorsa legislatura il presidente è stato il leghista Giacomo Stucchi), anche se un pensiero potrebbe farlo anche Fratelli d'Italia con l'attuale vicepresidente, Adolfo Urso. Nel frattempo l'ex ministro dell'Interno, Matteo Salvini, domenica sera alla Berghem Fest di Alzano Lombardo si è commosso di fronte ai militanti leghisti. Al giornalista Paolo Del Debbio che gli domandava «che farà ora che non sarà più ministro?», Salvini ha risposto: «Lavorerò un'ora in più ogni giorno per stare all'opposizione, per difendere famiglie e imprese. E poi cercherò di riservarmi un po' di tempo per i miei figli». E infatti la giornata di ieri il segretario l'ha trascorsa con la figlia Mirta, in attesa di sapere le novità sulla trattativa tra Partito democratico e pentastellati, appesi al voto sulla piattaforma Rousseau di oggi. I contatti con i grillini non si sono mai interrotti. Certo il forno è chiuso, ma se qualcosa dovesse andare storto chissà che non si possa tornare a discutere. A testimoniare i contatti mai sopiti tra gli ex alleati di governo sono state anche le parole di ieri di Andrea Crippa, fedelissimo di Salvini. Il giovane deputato ha annunciato che ci sarebbe una pattuglia di senatori 5 stelle disposti a non votare la nuova fiducia a Giuseppe Conte. Insomma i giochi, forse, sono ancora aperti. Caso vuole alla Berghem Fest, mentre il popolo del Carroccio urlava contro il presidente del Consiglio incaricato Giuseppe Conte, Salvini li ha subito stoppati: «Vedete», ha detto, «questo è il mio limite: io non rinnego ciò che ho fatto per 14 mesi e non parlo male di chi stava governando con me. Io non ho questo cambiamento, se tornassi indietro rifarei tutto. Luigi Di Maio è una persona onesta e corretta. Per quanto riguarda Conte è cambiato: da avvocato del popolo ad avvocato della Merkel. Pensate che il commissario tedesco che faceva le pulci ai nostri bilanci, settimana scorsa ha detto che se nasce questo governo M5s-Pd, l'Italia avrà una ricompensa. Una ricompensa? Abbiamo capito chi ci governa?». L'ex ministro dell'Interno è stato chiaro: «Vi faccio due promesse: che vinceremo e che torneremo a guidare questo Paese. Lo dico perché io sento il popolo, in farmacia o dal panettiere mi dicono: “Salvini tenete duro perché ci siete solo voi"». Eppure dentro la Lega si avverte qualche mal di pancia. Sarà che i sondaggi sono ondivaghi, c'è chi dà perdite secche di quasi 5 punti, mentre altri sostengono che non ci siano stati effetti dopo la caduta dell'esecutivo gialloblù. In ogni caso dalla Lombardia all'Emilia Romagna qualcosa si muove. La Stampa li ha soprannominati in un articolo i «sommergibilisti», pronti a entrare in azione nel caso in cui la durata dell'esecutivo dovesse prolungarsi. Tra Milano, Mantova e Varese la fronda avrebbe già un punto di riferimento, Gianni Fava, ex candidato alla segreteria della Lega, da sempre punto di riferimento per i leghisti che vogliono tornare a parlare di questione settentrionale. «Anche in Veneto, Emilia Romagna e Toscana è tutto un ribollir dei tini», spiega un altro dirigente a microfoni spenti citando il Carducci. Non è un notizia che una parte di Lega ha sofferto in questi mesi la linea «sudista» e «sovranista» del segretario. C'è chi vuole tornare a discutere di questione settentrionale, di partite Iva, di meno Stato e non più di mancette assistenzialiste come il reddito di cittadinanza voluto dagli ex alleati 5 stelle. D'altra parte restano ancora irrisolti i nodi dell'autonomia in Veneto e Lombardia, un tema che potrebbe tornare di stretta attualità se Salvini decidesse di cavalcarlo nei prossimi mesi. Di più si saprà di sicuro il 15 settembre a Pontida. Il ritorno sul pratone è atteso dalle anime leghiste, anche perché da sempre è un punto di riferimento per capire gli umori della base e fissare le battaglie del futuro. Nel frattempo bisognerà aspettare la formazione del governo giallorosso, se mai supererà le forche caudine della piattaforma Rousseau, la scelta dei ministri da parte di Giuseppe Conte, il parere del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e la relativa fiducia parlamentare. «Ma se il matrimonio Pd-Grillo prenderà forma per Salvini sarà difficile tornare a Sud, laggiù sin dai tempi di Andreotti votano chi è al potere a Roma», ragiona un altro dirigente padano. E questo è un altro punto su cui bisognerà ragionare in via Bellerio. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-lega-non-lascia-le-commissioni-e-raddoppia-salvini-vuole-il-copasir-2640164517.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="gli-azzurri-possono-fare-la-stampella-trattative-avviate-per-la-non-sfiducia" data-post-id="2640164517" data-published-at="1758063407" data-use-pagination="False"> Gli azzurri possono fare la stampella. Trattative avviate per la non sfiducia «Non potendo morire democristiani, dobbiamo limitarci a non morire». La battuta di Gianfranco Rotondi è molto gettonata in queste ore dentro Forza Italia, dove si combatte in silenzio una battaglia non da poco per continuare ad avere un ruolo di primo piano nello scenario politico in evoluzione. E per non rotolare nei sondaggi (gli ultimi danno gli azzurri al 6%) arriva il momento di decidere, arriva il bivio della vita: non potendo morire democristiani, meglio lottare da salviniani o da nazareni? Silvio Berlusconi ovviamente rivendica tutta l'autonomia che gli è dovuta di diritto. E ribadisce due certezze: nessuna intenzione di essere la mosca cocchiera di Matteo Salvini, nessuna intenzione di appoggiare apertamente un esecutivo a trazione M5s. L'ideale per lui sarebbe un centrodestra tradizionale, ma su questo ha già incassato una certa freddezza dell'alleato formale («Non abbiamo bisogno di nessuno», ha risposto il leader leghista). Così, per reazione e anche per strategia, dopo aver sottolineato che «gli errori di Salvini hanno aperto le porte a un governo di sinistra», non chiude a priori la sua in faccia all'esecutivo bis di Giuseppe Conte, soprattutto perché sa che a tenerlo in piedi in Parlamento saranno le truppe del suo antico sodale del Nazareno, Matteo Renzi. A Conte lo ha fatto capire senza dirlo chiaramente. «Noi saremo opposizione, ma è chiaro che siamo una forza responsabile. Se ci saranno momenti di difficoltà difficoltà, saremo comprensivi e disponibili». Berlusconi ritiene che essere confuso con l'opposizione barricadera sarebbe un errore. Il centro liberal-democratico è un componente naturale delle istituzioni e in alcune fasi può addirittura diventare l'ago della bilancia. Il presidente del Consiglio incaricato ha incontrato Gianni Letta ai funerali del cardinale Achille Silvestrini in Vaticano: rapporti ottimi, volontà di capirsi. Insomma, i voti di Fi in Senato, dove ogni legge sarà sottoposta a forche caudine, potrebbero essere di volta in volta una golden share. Senza contare che la presidente Maria Elisabetta Casellati, apprezzata nel ruolo di domatrice nel giorno dello show down del Conte uno, è una fedelissima del Cav. E il premier, pur di strizzare l'occhiolino, sta inventando dal nulla anche un ministero dell'Innovazione, calco di quello berlusconiano del 2001. Per il resto Forza Italia è una vasca idromassaggio pronta a ribollire. L'opposizione è scontata sull'aumento dell'Iva, sulla patrimoniale palese o mascherata (che piace tanto all'ala sinistra dem), sulle questioni etiche, su leggi destinate ad aumentare l'oppressione giudiziaria o fiscale dei cittadini. Su altro, soprattutto su decisioni in chiave europeista («Siamo pur sempre un pilastro del Ppe»), tutto è possibile. Anche perché per Berlusconi populismo e sovranismo restano pur sempre due parolacce; in certe occasioni potrebbe comportarsi come fece Denis Verdini con il governo Renzi. Si capirà tutto fin dal primo voto, quello di fiducia al governo. In partenza è un no, ma sembra che i renziani stiano lavorando per portare a casa un'astensione, una non sfiducia, che verrebbe ricambiata con due mosse molto concrete: la protezione del Cavaliere dal fanatismo grillino sempre all'ordine del giorno e un'attenzione speciale per il dossier economico che riguarda Mediaset, dopo la nuova offensiva scatenata dal finanziere francese Vincent Bollorè. Metabolizzata la scissione di Giovanni Toti (che spera di imbarcare alcuni senatori azzurri in fuga in caso di non sfiducia al governo), Fi intende approfittare di questo esecutivo che nasce sgangherato per ricostruire una proposta centrista in chiave antisovranista. Lo ha spiegato con chiarezza Antonio Tajani: «Questa crisi dimostra che il nostro Paese ha bisogno di un centrodestra diverso. Non bastano i live sui social media, né baciare un crocifisso. Sovranismo e velleitarismo hanno portato l'Italia all'indebolimento e all'isolamento». Nel partito c'è chi la chiama «destraccia» e ha nostalgia di Alleanza nazionale. Il problema è che, con l'anima sovranista (per farla breve con la Lega), Forza Italia amministra Regioni e Comuni senza un plissè.