2024-01-08
La Jihad dei bambini è arrivata anche qui
In Spagna e Francia aumentano i reclutamenti di minorenni. E con i social si usano i più piccoli per attirare adepti. In Italia pochi casi ma in crescita.L’esperta Laura Sabrina Martucci: «I giovani suscettibili alla propaganda estremista sono sempre più spesso colti e viziati, non è vero che vivono nella marginalità. Però recuperarli è possibile».Lo speciale contiene due articoli.La Guardia Civil ha arrestato a Madrid l’imam della moschea di Villaverde Alto che insegnava arabo in una moschea della capitale e che, secondo le indagini, «ha approfittato della sua posizione per radicalizzare i minori a cui insegnava con l’obiettivo di reclutare potenziali candidati per l’organizzazione terroristica Stato Islamico». Come riferito dalla Guardia Civil, l’indagine è iniziata l’anno scorso, quando è stato rilevato che una persona a Madrid legata all’ideologia jihadista stava indottrinando dei minori, attività che non sono passate inosservate all’interno della comunità islamica in cui le svolgeva e che hanno causato una serie di conflitti che hanno costretto l’accusato a lasciare la moschea, anche se poi ha continuato a svolgerle in ambienti più privati. L’uomo arrestato avrebbe difeso una visione violenta della religione ai minori negli stessi termini delle principali organizzazioni terroristiche jihadiste. Secondo la Guardia Civil, l’imam esaltava nei suoi discorsi la figura dell’attentatore suicida come figura legittima nella lotta contro ebrei, cristiani e apostati, teorie che esponeva nelle lezioni che teneva ai minori come esempio della condotta da seguire per tutti i musulmani. Attualmente, secondo le autorità spagnole, «il reclutamento terroristico di giovani per il jihadismo è uno dei fenomeni emergenti a livello mondiale ed è stato rilevato in altre recenti indagini della Guardia Civil come una tendenza preoccupante che deve essere affrontata». Il problema della radicalizzazione degli adolescenti è drammatico in Francia, la nazione che ospita la più grande popolazione ebraica e musulmana d’Europa e che ha subito numerosi attacchi terroristici nel corso degli ultimi anni. Secondo il capo della Direzione della sicurezza interna (Dgsi), Nicolas Lerner, «una nuova generazione di adolescenti francesi è corteggiata dal gruppo terroristico Stato Islamico - famigerato per le sue immolazioni di prigionieri in Iraq davanti alle telecamere - e sembra sinistramente suscettibile alla propaganda del gruppo». Lerner nel corso di un incontro con la stampa francese ha ricordato: «Tre attacchi sventati dalla Dgsi nel 2023 coinvolgevano individui che avevano tutti meno di 20 anni. Il più giovane aveva 13 anni. Altri due avevano 14 anni. In molti di questi casi questi giovani non sono andati nelle moschee o nei luoghi di socializzazione: si sono strutturati online, sui social network, attraverso un confinamento ideologico e digitale molto preoccupante e il conflitto tra Israele e Hamas ha avuto innegabilmente conseguenze dirette per la Francia». Per contrastare il fenomeno jihadista nelle moschee dal primo gennaio scorso la Francia non accetta più nuovi imam «distaccati», cioè inviati da altri Paesi. Lo ha annunciato il ministro degli Interni, Gérald Darmanin, in una lettera ai Paesi interessati, inoltre «gli imam distaccati ancora presenti in Francia non potranno più rimanervi con questo status dopo il primo aprile», si aggiunge nella lettera. Se le moschee e le associazioni possono essere sorvegliate per radicalizzare giovani e giovanissimi, «i cattivi maestri» hanno a disposizione le autostrade digitali e i social network ed è grazie a questi mezzi che l’ideologia dell’Isis ha un nuovo appeal tra le generazioni più giovani. Le organizzazioni terroristiche utilizzano i bambini come strumento di propaganda per una serie di motivi. Innanzitutto, i bambini sono più vulnerabili alla manipolazione e alla persuasione. In secondo luogo, i bambini possono essere utilizzati per generare empatia e sostegno per la causa dell’organizzazione terroristica come fanno Hamas e la Jihad islamica. In terzo luogo, i bambini possono essere utilizzati per commettere atti di violenza, il che può essere dannoso per il morale del nemico e per l’opinione pubblica. Le organizzazioni terroristiche utilizzano i bambini per produrre materiale di propaganda, come video, canzoni e libri. Questo materiale viene utilizzato per diffondere il messaggio dell’organizzazione terroristica e per reclutare nuovi membri. Poi queste organizzazioni terroristiche obbligano i bambini a partecipare a manifestazioni e alle proteste e la loro presenza serve per attirare l’attenzione dei media e per generare simpatia per la causa dell’organizzazione terroristica. Come abbiamo più volte visto nei video dello Stato islamico le organizzazioni terroristiche possono utilizzare i bambini per commettere atti di violenza, ad esempio giustiziare dei prigionieri armati di pistola e di coltello per sgozzarli. Questo viene fatto in modo da far pensare che l’organizzazione terroristica sia più forte e più pericolosa di quanto non lo sia nella realtà. Il fenomeno della radicalizzazione dei minori è globale come visto qualche giorno prima di Natale a Ottawa con l’arresto di un quindicenne accusato di aver pianificato un attacco terroristico contro la comunità ebraica della città. Secondo le autorità canadesi è l’ennesimo segnale di come il Paese sia alle prese con la radicalizzazione dei giovani. Il minore arrestato, secondo i documenti del tribunale, era in possesso di un quantitativo importante di perossido di acetone e lo avrebbe utilizzato per fabbricare una bomba. Il Tatp è un esplosivo artigianale ma potentissimo e si ottiene mescolando acetone, acqua ossigenata e un acido che può essere solforico, cloridrico o nitrico in proporzioni precise. Tutti questi ingredienti sono facilmente acquistabili e dalle carte dell’accusa risulta che il giovane aveva comprato anche dei cuscinetti a sfera metallici in modo da ottenere un effetto ancora più devastatane sulle vittime. Le autorità canadesi hanno dichiarato di aver arrestato cinque giovani per terrorismo solo negli ultimi sei mesi e di aver notato «una tendenza preoccupante di terroristi che utilizzano Internet per reclutare giovani». Il padre del giovane di Ottawa ha detto a Global News che il figlio è un ingenuo e potrebbe essere stato usato dagli estremisti: «Ci sono alcune persone che si approfittano di lui. Sono cattivi. Non sono religiosi. Usano la religione per raggiungere i loro obiettivi, sai, i loro obiettivi personali, obiettivi privati». Anche l’Italia non è immune al fenomeno come mostra la vicenda di Ali Abdelli, 20 anni, studente di Ingegneria Informatica all’Università di Padova, che è stato arrestato dalla Digos di Padova il 20 dicembre 2023. L’indagine, iniziata nel marzo del 2022, è coordinata dalla Procura distrettuale Antiterrorismo di Venezia. Abdelli pubblicava online video per spiegare come creare esplosivi rudimentali. Esaltava attentati compiuti nel mondo da gruppi terroristici di matrice islamica, come al-Qaeda e Stato islamico. Manifestava propositi violenti contro ebrei, omosessuali e soldati americani. Sui suoi dispositivi sono stati trovati video di addestramenti ed esercitazioni belliche. Abdelli è rimasto in silenzio durante l’interrogatorio davanti al giudice e si trova agli arresti domiciliari nella sua abitazione di Merlara, in provincia di Padova, dove vive con i genitori e la sorella. Le indagini sono ancora in corso per stabilire se Abdelli avesse effettivamente intenzione di compiere un atto terroristico. Secondo i dati del Dipartimento di Pubblica Sicurezza, nel 2023 sono stati registrati in Italia 15 casi di radicalizzazione di minori, di cui 11 di matrice islamica e 4 di matrice neonazista. Si tratta di un numero relativamente basso rispetto ad altri Paesi europei, ma è comunque un fenomeno in crescita e che fa paura.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-jihad-dei-bambini-2666897203.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="a-radicalizzarsi-non-sono-i-poveri" data-post-id="2666897203" data-published-at="1704729246" data-use-pagination="False"> «A radicalizzarsi non sono i poveri» Il corso UniBa di competenze trasversali su «Terrorismo e on-line child subversive radicalization. Sicurezza e policies di riabilitazione tra diritti, azione psico-sociale e uso dell’Intelligenza Artificiale», proporrà formazione sulle «child engagement policies», tecniche di adescamento usate dai terroristi per attrarre ed educare i minori, attraverso piattaforme di comunicazione social e gaming. Ne parliamo con la Professoressa Laura Sabrina Martucci che lo coordina: «Grazie ai partner esterni, creeremo competenze su tecniche preventive, di contrasto e di riabilitazione delle vittime e delle loro famiglie. Il mio fine, nell’elaborazione scientifica del programma, è stato quello di proporre agli studenti tecniche transdisciplinari, orientate dallo stato di diritto. Verranno coinvolti in simulazioni pratiche, studi di impatto e di metodi di indagine giudiziaria; nella elaborazione di campagne di sensibilizzazione della società civile nelle policies di sicurezza, per la trasformazione digitale ecosostenibile e per l’uso consapevole della comunicazione e dell’AI nella costruzione di resilienza. In un World Café finale verranno presentate raccomandazioni per il rafforzamento delle attività giudiziarie e di assistenza psicologica e sociale; e inoltre linee guida per la deradicalizzazione dall’eversione jihadista, suprematista o e dall’hate speech» Recenti inchieste mostrano come le organizzazioni terroristiche puntano sempre di più la loro propaganda su giovani e giovanissimi. Quali sono le dinamiche? «Da uno studio in corso sui processi di radicalizzazione sto rilevando che, se una parte della minaccia all’Europa segue gli standard degli ultimi anni, cioè viene da minorenni nati e cresciuti in questa mentalità in campi di prigionia come Al Hol in Afghanistan, o nelle regioni Mena (Medio Oriente e Nord Africa, ndr) e saheliana, un’altra, direi quella più allarmate, viene da giovanissimi europei “non vulnerabili”, nuovi potenziali lupi solitari. Siamo stati spesso indotti ad associare la radicalizzazione a debolezza psicologica e marginalizzazione». E invece? «Molti dei giovani radicalizzati sono sempre più colti e consapevoli, viziati e insoddisfatti, desiderosi di canalizzare la rabbia maturata contro un nemico che viene immedesimato in chi disconosce le loro attese, diverse da quelle dei primi che definisco “radicali (socialmente pericolosi) ma inconsapevoli”. La manipolazione da parte dei cattivi maestri è semplice: basta dare una via al loro disorientamento, alimentato dall’essere educati alla pace, al rispetto dei diritti umani, all’integrazione mentre assistono a conflitti che dilaniano il mondo e che, mai come oggi dopo l’attacco di Hamas, mettono in crisi il discrimine tra atti di terrorismo e/o di guerra e spingono allo schieramento di parte». Come si fa a deradicalizzare un minore e quali sono le problematiche? «Come ho più volte detto la deradicalizzione non è un processo punitivo o di brainwashing. Tuttavia, sfatiamo la convinzione che debba essere basato sulla volontarietà dell’adesione. Non siamo agli alcolisti anonimi!» Quindi come si svolge il processo? «È un processo che può comporsi di più fasi con finalità e metodologie diversificate e altamente personalizzate sul singolo caso. Richiede operatori altamente qualificati in questi processi, che nell’azione tengano sempre presente che il radicalizzato è una persona “portatrice di diritti umani”; che ha diritto alla costruzione libera della sua identità religiosa o politica, che va reindirizzata ai valori del luogo in cui si vive, secondo genere ed età. La deradicalizzione si compone di più processi a metodologia diversificata e va contestualizzata a persone, territori e singole tipologie di stato di diritto: non sono assimilabili i percorsi condotti in un Paese del Nord Africa a quelli condotti in Europa».
Ecco Edicola Verità, la rassegna stampa del 3 settembre con Carlo Cambi