2025-10-18
Raspelli, il nerista-killer di (pessimi) chef
Edoardo Raspelli (Getty Images)
Cinquant’anni fa uscì la prima critica gastronomica del futuro terrore dei ristoratori. Che iniziò come giornalista di omicidi e rapine di cui faceva cronaca sul «Corriere d’informazione». Poi la svolta. Che gli procurò una condanna a morte da parte del boss Turatello.Voglio talmente bene a Edoardo Raspelli che gli ho già preparato il necrologio. Anzi, due. Il che significa, come sanno bene i superstiziosi, allungargli la vita. Eccoli. Sono entrambi in rima baciata. Il primo è semplice, olezza di salumeria, di nebbia padana, di cantine di stagionatura di capolavori della norcineria emiliana: «Qui giace Edoardo Raspelli/ Non fiori ma buoni culatelli». Il secondo è migliore, rispecchia di più la figura del critico gastronomico più «cattivo» d’Italia, anche se, invecchiando e perdendo peso, si è dato una calmata. Ma la cattiveria, quando è onesta e genuina, non è forse un aspetto della scomoda verità? Il secondo necrologio è ispirato all’epigramma di Machiavelli contro Pier Soderini: «La notte che morì Edoardo Raspelli/ l’alma salì dell’eliso ai cancelli./ Disse a San Pietro: “Non è ancor pronto?/ Sarà pur il Paradiso, ma io lo stronco”».Sarebbe capacissimo di farlo l’Edolardo goloso. «Edolardo» lo era quando pesava 126 chilogrammi. Poi l’infarto, il palloncino endogastrico, il bendaggio gastrico, l’anello allo stomaco e il drastico calo ponderale lo hanno ridotto a più miti consigli a tavola. Ha contribuito moltissimo anche il giudizio del suo medico: «Signor Raspelli, lei è bravissimo, ma è una testa di cazzo». Adesso, a 96,8 chili a digiuno, gli si addicono a meraviglia i panni di «Egolargo» come lo chiamano gli amici carogne (come il sottoscritto) per l’esagerata autostima che prova verso sé stesso visto che è arrivato a parlare di sé in terza persona, come Cesare nel De bello gallico. Più che di branzini, champagne e caciucchi, Raspelli ha fame di fama. Del resto, si merita un piedistallo anche se, solo, di carta stampata. Dopotutto è il giornalista che 50 anni e otto giorni fa, ha inventato la critica gastronomica ai ristoranti.Le cose andarono così. Cronista di nera, Raspelli si trovava nella redazione del Corriere d’informazione, quotidiano milanese del pomeriggio destinato a chiudere sei anni dopo, ma non per colpa del giovane nerista che forse, invece, gli allungò la vita. Un vicecronista lo venne a chiamare: «Raspelli, c’è un padulo: il direttore ti vuole parlare». «Cos’è un padulo?», chiese l’Edoardo curioso e ingenuo. «Non lo sai? Il padulo è un uccello che vola all’altezza del c… Corri, vai». L’Edoardo timoroso andò non sapendo che dietro alla porta a vetri di Cesare Lanza, il direttore, c’era il suo futuro in agguato con una forchetta puntata alla tempia: lascia la nera e passa alla gastronomia. Fu così che il giovane nerista dagli occhialoni spessi e dalla barba nera passò dai delitti della Milano più volte ferita e sanguinante degli anni di piombo (fu il primo giornalista ad arrivare il 17 maggio 1972 sul luogo dove le Brigate rosse avevano appena ammazzato il commissario Luigi Calabresi) alle tavole imbandite di ristoranti, trattorie, osterie e di qualunque altro locale dove ci fosse qualcosa di buono da far conoscere ai lettori gourmet che ci misero poco ad accostare la sua firma ai voti e alle faccine sorridenti (cuoco eccezionale) o nere incazzate (locale da evitare).Lanza fu telegrafico: «Da oggi, oltre alla cronaca nera, ti occuperai di una rubrica settimanale di critica ai ristoranti. Va, mangia e scrivi. Se il ristorante è cattivo lo scrivi ugualmente, devi essere credibile. Il lettore sborsa 30 lire per il giornale e ha diritto di essere informato in modo sincero e attendibile». Lanza ancora non lo sapeva, ma aveva creato il terrore dei ristoratori, il killer che non aveva pietà dei cuochi che riteneva colpevoli di servire in pompa magna piatti modesti o fasulli. Con la licenza di uccidere gli osti cattivi in tasca, scripta manent, Raspelli iniziò il suo veni, edi et scripsi. Venni, mangiai e scrissi. «E paga», gli raccomandò Lanza, «portami la ricevuta del conto che verrai rimborsato».La prima critica uscì il 10 ottobre del 1975. Riguardava un bel po’ di ristoranti milanesi, tutti con il loro voto in pagella. La rubrica funzionò. Il Corriere d’informazione aumentò addirittura le vendite. Dopo un periodo di rodaggio per caricare la penna col curaro, uscì quattro mesi dopo, il 13 febbraio del 1976, il primo «faccino nero» dedicato al ristorante peggiore della settimana. Seguirono altri faccini neri. Uno al celebre ristorante Chateau d’Avignon in via San Maurilio in pieno centro. «Il ristorante dove lavorava la mamma di Duilio Loi, il pugile campione del mondo dei pesi welter junior, non c’è più», racconta Raspelli che, in conseguenza al faccino nero, trovò una corona da morto sotto casa con appeso un nastro sinistro: «Al nostro caro Raspelli». «Replicai all’omaggio funebre sulla mia stessa rubrica puntualizzando: ringrazio per la corona funebre, ma ho scritto che la cucina era pessima, ma non mortale».Ma se per quattro anni Raspelli si era occupato solo di cronaca nera, a partire dall’omicidio di Simonetta Ferrero all’Università Cattolica, uccisa con 33 coltellate, omicidio accaduto proprio nel primo giorno di lavoro, il 26 luglio del 1971, del ventiduenne nerista, e continuando con l’assassinio di Calabresi, i tragici rapimenti di Cristina Mazzotti e di Carlo Saronio, ritrovati senza vita, l’assassinio dello studente di destra Sergio Ramelli («Abitava nella mia stessa via Amadeo, praticamente di fronte a casa mia»), ai militanti di sinistra Fausto Tinelli e Lorenzo «Iaio» Iannucci, frequentatori del centro sociale Leoncavallo, al Casoretto, non poteva essere stato qualche malvivente implicato in qualche fatto di nera ad inviargli la corona? «No, fu un ristorante dove mangiai malissimo e gli affibbiai la faccina nera. Fu più seria la minaccia quando affibbiai il faccino nero a un ristorante sulla cerchia dei Navigli che apparteneva a un malavitoso. Seppi del pericolo che avevo corso da un amico sommelier, Franco Tommaso Marchi, un ex poliziotto, che mi confidò: signor Raspelli, io le ho salvato la vita. Per farla breve, “trattando” con il patron del locale che voleva spararmi, riuscì a convincerlo di non farlo. Chi era il patron? Francis Turatello, il boss della malavita».Nella sua carriera di critico, Raspelli ha collezionato decine di querele («Tutte vinte», precisa), telefonate anonime, minacce e la corona da morto sotto casa. Inventando la critica ai ristoranti, ha dato una svolta di 360 gradi al cammino percorso dai grandi giornalisti enogastronomi del Novecento: Hans Barth (Osteria, guida spirituale delle osterie d’Italia da Verona a Capri, uscito con la prefazione di Gabriele D’Annunzio), Paolo Monelli (Il ghiottone errante; Op, il vero bevitore), Mario Soldati (Vino al vino), Giuseppe Maffioli, Luigi Veronelli (Guida all’Italia piacevole), Gianni Brera e altri che hanno raccontato l’Italia enogastronomica senza dare voti né faccine sorridenti o disgustate.Man mano, poi, Edoardo Raspelli oltre che nel peso si è allargato nel lavoro e nella notorietà inventando («Primo al mondo», assicura) una rubrica di critica agli hotel, anche qui promuovendo o bocciando hotel da parecchie centinaia di euro per notte, scrivendo di ristoranti sul Gambero rosso, come curatore della Guida ai ristoranti dell’Espresso, conduttore televisivo su Rete 4 di Mela verde, attore in Asfalto rosso di Ettore Pasculli, lungometraggio contro le stragi del sabato sera, interpretando la parte di un enologo cantante. È stato perfino un tennista promettente, dice sempre lui, ha giocato anche contro Adriano Panatta. Ha fatto perfino il cameriere sulla riviera romagnola per raccontare l’esperienza su un settimanale.Rimane in archivio la stroncatura più clamorosa, fatta al ristorante El Bulli di Ferran Adrià a Roses, sulla Costa Brava in Spagna. Adrià ritenuto uno dei più grandi cuochi al mondo, tre stelle Michelin, fu bocciato da Raspelli in una recensione che aveva questo titolo: «Ferran Adrià: 22 piatti di delusione». Quella volta fu lui a consegnare una corona funebre. Quando si dice la coincidenza: dopo qualche tempo, l’osannato locale chiuse i battenti.
Nel riquadro: Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo (Getty Images)
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