2025-12-03
In due documenti la prova che De Raho puntava il Carroccio
Federico Cafiero De Raho (Ansa)
L’ex capo della Dna inviò atti d’impulso sul partito di Salvini. Ora si giustifica, ma scorda che aveva già messo nel mirino Armando Siri.Agli atti dell’inchiesta sulle spiate nelle banche dati investigative ai danni di esponenti del mondo della politica, delle istituzioni e non solo, che ha prodotto 56 capi d’imputazione per le 23 persone indagate, ci sono due documenti che ricostruiscono una faccenda tutta interna alla Procura nazionale antimafia sulla quale l’ex capo della Dna, Federico Cafiero De Raho, oggi parlamentare pentastellato, rischia di scivolare. Due firme, in particolare, apposte da De Raho su due comunicazioni di trasmissione di «atti d’impulso» preparati dal gruppo Sos, quello che si occupava delle segnalazioni di operazione sospette e che era guidato dal tenente della Guardia di finanza Pasquale Striano (l’uomo attorno al quale ruota l’inchiesta), dimostrano una certa attenzione per il Carroccio. La Guardia di finanza, delegata dalla Procura di Roma, dove è approdato il fascicolo già costruito a Perugia da Raffaele Cantone, classifica così quei due dossier: «Nota […] del 22 novembre 2019 dal titolo “Flussi finanziari anomali riconducibili al partito politico Lega Nord”» e «nota […] dell’11 giugno 2019 intitolata “Segnalazioni bancarie sospette. Armando Siri“ (senatore leghista e sottosegretario fino al maggio 2019, ndr)». Due atti d’impulso, diretti, in un caso alle Procure distrettuali, nell’altro alla Dia e ad altri uffici investigativi, costruiti dal Gruppo Sos e poi trasmessi «per il tramite» del procuratore nazionale antimafia.E qui si apre la crepa. La Verità il 15 novembre 2024, quando la documentazione era ancora parziale, era riuscita a ricostruire i contenuti di una relazione firmata da un sottoposto di De Raho, il procuratore aggiunto Giovanni Russo, con la quale veniva segnalata al capo dell’ufficio il cortocircuito, collegandolo direttamente a Striano, del quale chiedeva un allontanamento. Ora questi documenti confermano che non furono iniziative tecniche sfuggite di mano, ma che si trattò di elaborati del Gruppo Sos trasmessi all’esterno con date, numeri di protocollo e firma del procuratore nazionale antimafia. Nel verbale del 12 maggio scorso, De Raho, da persona informata sui fatti, affronta con i pm di Piazzale Clodio direttamente l’episodio relativo alla Lega, spiegando di essersene accorto e di aver contestato ai suoi sottoposti l’origine e la gestione del dossier: «Devo dire che in un’occasione, nella quale nell’atto di impulso non vi era il riferimento a mafia e terrorismo, chiamai Russo e gli dissi: “fammi capire un po’ com’è avvenuto che è stato trattato questo atto di impulso” e lui chiamò Laudati. Vennero entrambi […]». De Raho precisa che si trattava del documento «sulla Lega». Poi ricorda: «Io dissi, «“Ora mi dovete spiegare come è possibile che sia stato fatto un atto di impulso…”». De Raho racconta anche che gli venne spiegata così l’origine di quel documento: «Loro mi dissero, «è arrivata questa segnalazione da una Fiu (unità di informazione finanziaria, ndr) estera alla Dia, che l’ha mandata a noi e purtroppo ci è sfuggita, l’hanno cominciata a lavorare”». L’ex procuratore dichiara di aver reagito e di aver imposto una linea: «Al che gli dissi, “non può capitare una cosa del genere. Noi non abbiamo competenza sui fatti estranei. Se in altre occasioni dovesse arrivare una segnalazione di questo tipo, voi la dovete restituire. È assolutamente vietato”». Le sue parole mostrano come considerasse quell’episodio una deviazione dai compiti istituzionali della Dna: «A un certo momento gli dissi, “guardate che io non vi faccio più lavorare in questi settori se vedo un’altra cosa del genere”». Il caso evidentemente era di una certa gravità. Tant’è che De Raho riporta ai pm di Roma anche le reazioni dei sottoposti: «Tutti e due stavano davanti a me e mi sembrò che si fossero mortificati e da ciò compresi che realmente era stato un errore grave». A quel punto si apre il dilemma su cosa fare del materiale già elaborato: «Allora che facciamo? A questo punto restituiamo tutto alla Dia?», avrebbero risposto i due colleghi. «E io dissi», afferma De Raho, «”no, un momento, ora non possiamo restituire alla Dia perché la Dia penserebbe che noi abbiamo un atto di impulso e non vogliamo fare nemmeno denuncia di quello che è emerso dall’atto di impulso”». La decisione fu di spedire tutto a più Procure distrettuali: «Noi ora lo dobbiamo necessariamente mandare alle Procure. Lo mandiamo a tutte le Procure che sono interessate perché poi loro vedranno». De Raho sostiene che l’invio fu quindi una scelta obbligata di tutela istituzionale. Ma dimenticava probabilmente che quello non fu l’unico episodio. Perché, prima ancora della vicenda «Lega Nord», c’era stata la segnalazione su Siri, anche questa classificata e trasmessa con firma del procuratore pro tempore. La documentazione acquisita dalla Guardia di finanza evidenzia che il 7 maggio 2019 partì dalla Direzione nazionale antimafia una nota nella quale De Raho spiegava: «Ho appreso da articoli di stampa che, in relazione all’acquisto di un bene immobile da parte del sottosegretario Siri, il notaio rogante ha segnalato l’atto quale «operazione sospetta» […]. Poiché non risulta a questo ufficio pervenuta alcuna segnalazione riguardante tale operazione, prego il direttore della Dia e il comandante del Nucleo speciale di polizia valutaria di comunicare se sia pervenuta tale segnalazione, indicandone gli estremi». Ma se il caso della Lega era finito sulla sua scrivania con un atto d’impulso del Gruppo Sos, in questo caso il procuratore fa riferimento ad «articoli di stampa». Nel verbale di De Raho c’è traccia anche di questo passaggio. Il pm De Falco gli chiede: «C’era un controllo in Dna sulle notizie di stampa uscite che potevano riguardare Sos?». Risposta: «Non c’era un controllo formale, però in alcuni casi, se non ricordo male, venne un politico, di cui emerse che... in un articolo di stampa si riportava una segnalazione. Io ai colleghi Russo e Laudati dissi: «Guardate che c’è quest’articolo di stampa. Vorrei capire se questa segnalazione è fra quelle lavorate da noi» e loro mi dissero che non è tra le nostre. Chiesi anche all’Uif e a noi non era mai arrivata, così come chiesi al Nucleo speciale di polizia valutaria e mi dissero che non era mai arrivata e quindi mi tranquillizzai». In realtà il Gruppo Sos si era occupato anche di Siri. E anche questa volta il dossier viene inviato all’esterno: alla Procura di Roma. La lettera che lo accompagna, firmata da De Raho, è questa: «Trasmetto, unitamente alla presente, gli accertamenti effettuati dal gruppo di lavoro Sos […] sulla scorta degli approfondimenti effettuati presso la banca dati». Con una postilla: «La prego di voler tenere informato il mio ufficio degli eventuali sviluppi investigativi, anche al fine di consentire valutazioni sull’opportunità a riunioni di coordinamento». L’esito documentale, insomma, è identico a quello della vicenda Lega. Ma precedente. Dunque, se la vicenda Lega fu considerata dallo stesso De Raho un «errore» da gestire, la questione Siri mostra che quel meccanismo era già stato usato. Una volta messi in fila i documenti, l’immagine dell’episodio isolato rappresentato ai pm romani si sbriciola. Perché l’atto sulla Lega non fu il punto di partenza ma il proseguimento di una procedura già usata: segnalazione Uif, elaborazione del Gruppo Sos, trasmissione «per il tramite» della Direzione nazionale antimafia, firma del procuratore. E, coincidenza, in entrambi i casi riguardava il Carroccio.
Adolfo Urso (Imagoeconomica)