2025-12-03
Urso: «Pure i sindacati Ue contro il Green Deal»
Adolfo Urso (Imagoeconomica)
Il titolare del Mimit: «La lettera di Merz è un buon segno, dimostra che la nostra linea ha fatto breccia. La presenza dell’Italia emerge in tutte le istituzioni europee. Ora via i diktat verdi o diventeremo un museo. Chi frena è Madrid, Parigi si sta ravvedendo».Giorni decisivi per il futuro del Green Deal europeo ma soprattutto di imprese e lavoratori, già massacrati da regole asfissianti e concorrenza extra Ue sempre più sofisticata. A partire dall’auto, dossier sul quale il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha dedicato centinaia di riunioni.Ministro, sembra che la Commissione sia rimasta spiazzata dalla lettera inviata ieri dal cancelliere Merz e che abbia deciso di rinviare a gennaio la proposta sul regolamento CO2. È vero? Che significa?«Un buon segno, perché dimostra che la nostra linea ha fatto breccia, come emerge anche dalle recenti affermazioni del Commissario Ue ai trasporti, Tzitzikostas, in merito alla lettera del cancelliere Merz, che preannuncia il rinvio di alcune settimane della revisione proprio al fine di dare una risposta più organica, comprendente l’uso di tutte le tecnologie, come per primi abbiamo sostenuto. Servono riforme radicali, non semplici palliativi. Serve la piena neutralità tecnologica, compresi i biocombustibili, il salvataggio dei veicoli commerciali e il riconoscimento pieno dei modelli ibridi su cui si basa il rilancio di Stellantis in Italia».La Germania dice che il limite del 2035 per le auto endotermiche va cambiato. Il governo italiano però sostiene questa tesi da tre anni… come mai si è perso tutto questo tempo?«La svolta l’hanno data i cittadini tedeschi nelle recenti elezioni politiche, affidando la guida del governo al Partito popolare europeo e relegando i Verdi all’opposizione. È ciò che sta accadendo anche in molti altri Paesi europei. Finalmente prevalgono le ragioni delle imprese e del lavoro sull’ideologia, finalmente prevale la libertà sul dirigismo».Mercedes e Volkswagen andranno a produrre le auto elettriche in Cina. Non è un’ammissione di harakiri? Abbiamo smantellato per le regole green l’industria automobilistica europea e poi andiamo a produrre le auto elettriche in Cina?«Noi abbiamo un’altra visione. Non ci arrendiamo al declino industriale dell’Europa. Non accettiamo di diventare un museo a cielo aperto per ricchi turisti asiatici. Lo dissi già tre anni fa, alla mia prima riunione del Consiglio Competitività a Bruxelles. Oggi in molti ci danno ragione. Noi vogliamo cambiare l’Europa per tornare a essere competitivi». Sul fronte Green Deal però c’è ancora il Cbam, ovvero la tassa green sui prodotti industriali importati da fuori Ue, che mette paura alle nostre imprese. Cosa rischiamo? Più burocrazia o più merci asiatiche e turche importate?«Su questo, abbiamo già ottenuto alcuni significativi risultati e ora siamo alla battaglia finale. La Commissione europea ha presentato nelle scorse settimane nuove misure di salvaguardia per l’acciaio e per le ferroleghe, che prevedono, tra l’altro, il dimezzamento delle quote di importazione dell’acciaio nella Ue e il raddoppio dei dazi sulle importazioni provenienti dalla Cina. Auspichiamo ora una rapida ratifica di queste misure. Il 10 dicembre, inoltre, il commissario Séjourné dovrebbe illustrarci la riforma del Cbam, costruita sulla base delle proposte che avanzammo un anno fa, che dovrà essere profonda e toccare almeno tre punti: sostegno agli esportatori europei, estensione mirata ai prodotti a valle e contrasto alle pratiche sleali di aggiramento del meccanismo. Dobbiamo tutelare le industrie energivore dalla concorrenza sleale di chi produce fuori Europa, senza i nostri standard ambientali e lavorativi: esigenza oggi ancora più pressante dopo le decisioni americane. E le dirò di più: servirà anche rivedere il meccanismo del phase-out delle quote gratuite Ets, finché il Cbam non rappresenterà un’alternativa credibile a tutela delle nostre imprese».Ministro, ma non è un po’ contento che la Commissione Ue stia cambiando strategia sul green?«Sono felice per l’Europa, che potrà finalmente tornare sulla strada della crescita».Dentro la Commissione c’è un vicepresidente del suo partito, Raffaele Fitto. Com’è il dialogo con gli altri commissari? Riesce a incidere?«La presenza italiana emerge in ogni istituzione europea: nella Commissione, con il vicepresidente Fitto che esercita un ruolo rilevante su dossier decisivi, valorizzando anche la sua consolidata esperienza; nel Consiglio europeo, dove molti riconoscono a Giorgia Meloni una leadership autorevole, affidabile, credibile; nel Parlamento europeo, dove la decisione dei Popolari sul primo pacchetto Omnibus ha di fatto dato vita a una inedita maggioranza di centrodestra».Appunto. Nelle ultime tre settimane la maggioranza Ursula è stata soppiantata in tre votazioni da una maggioranza di centrodestra. Che succede? Potrebbe veramente cambiare la maggioranza che sostiene la Commissione?«In ogni parte del Trilogo si va consolidando un approccio che potremmo definire “di centrodestra”, sul modello italiano. Del resto, lo spostamento dell’asse verso destra emerge ormai in ogni competizione».Chi frena, tra Paesi o partiti, sul ritorno alla normalità, parlando ad esempio di Green Deal?«Sul fronte del Green Deal sicuramente la Spagna, mentre in merito alla revisione colgo segnali positivi dalla Francia. Sul fronte dei partiti, le resistenze principali vengono ovviamente dai Verdi e dall’estrema sinistra, mentre si avverte un travaglio persino all’interno dei socialdemocratici, come mostrano le posizioni espresse dai governatori dei Länder tedeschi. Nel settore auto, peraltro, sono proprio i sindacati a sollecitare riforme radicali, sempre più spesso in sintonia con le associazioni datoriali: un fattore che incide in modo significativo».Torniamo in Italia. Due cose: la prima riguarda i fondi di Transizione 5.0. Le domande sono state tantissime alla fine, ma come mai la misura per un anno e mezzo è stata praticamente inutilizzata? Era colpa delle regole europee troppo stringenti e inapplicabili?«Colpa delle regole europee, che abbiamo faticato a superare, e anche della campagna di disinformazione che dipingeva lo strumento come poco efficace, se si pensa che le stime presentate nella principale assemblea industriale di ottobre parlavano di un “flop”, con appena 800 milioni di prenotazioni. Appena un mese dopo siamo a 4,8 miliardi di euro, sei volte tanto. Il brutto anatroccolo, allora disprezzato da tutti, si è rivelato un magnifico cigno».Ultima questione: ex Ilva. Da maggio l’altoforno 1 è sequestrato dai pm, l’altoforno 2 è in manutenzione per opere di decarbonizzazione in vista della produzione di acciaio verde. Come mai i sindacati scioperano o attaccano lei e il governo e non giudici e regole europee?«Le regole europee le stiamo cambiando, in modo radicale; sulla giustizia decideranno presto i cittadini con il referendum. Da parte mia, nessuna recriminazione: solo la volontà di contribuire a risolvere un pesante lascito del passato. Mi auguro che tutti agiscano con senso di responsabilità: il concorso di ciascuno è indispensabile, perché la sfida è davvero difficile».
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