
Behgjet Pacolli, ministro kosovaro uscente: «L'Ue è sleale: abbiamo sempre intrapreso le riforme richieste e rispettiamo i parametri, ma Bruxelles non mantiene le promesse fatte».Alle ultime elezioni in Kosovo, tenutesi a ottobre, ha vinto il movimento di sinistra Autodeterminazione! guidato da Albin Kurti, vecchia conoscenza delle galere serbe e in passato forte sostenitore della Grande Albania. Dopo più di due mesi di trattative, e non poche pressioni americane, Kurti è riuscito a trovare una maggioranza che gli garantisse la costituzione del parlamento con il sostegno del partito cristiano democratico Ldk. Della situazione in Kosovo abbiamo voluto chiedere l'opinione al ministro degli esteri uscente Behgjet Pacolli.È il momento dei bilanci. Quali obiettivi ha raggiunto?«Si è trattato del momento più difficile nella storia del Kosovo dalla sua indipendenza. Abbiamo dovuto combattere una lotta diplomatica senza precedenti con la Serbia impegnata continuamente a minare la nostra indipendenza e la nostra immagine nel mondo. Abbiamo gestito provocazioni ibride, propaganda negativa, tentativi di corruzione internazionale per l'emissione di note diplomatiche false che attestassero il rifiuto di riconoscere la nostra indipendenza da parte di Paesi terzi. Il piano era quello di minare la normalizzazione delle relazioni incitando anche a tensioni interne». Qual è il problema principale del Kosovo oggi? La corruzione?«La corruzione, la mancanza di progressi economici e l'impossibilità di viaggiare senza visti verso l'Unione europea sono le principali sfide del Kosovo. Sebbene il Kosovo mostri un'attitudine migliore in termini di lotta alla corruzione nella regione, dobbiamo affrontare questo cancro in modo più duro. Ma dobbiamo lavorare anche per progredire economicamente. E' difficile avanzare quando si ha la popolazione più giovane, ma anche isolata, d'Europa. Il Parlamento europeo e la Commissione hanno confermato che il Kosovo soddisfa tutti i parametri. L'Ue, non liberalizzando il regime dei visti, si dimostra altamente sleale nei nostri confronti. Non è accettabile che noi si debba adempiere sempre alle riforme richieste mentre l'Ue non mantiene mai le proprie promesse».Il suo governo è stato vicino a trovare una soluzione con la Serbia?«Ci siamo impegnati a fondo nella normalizzazione delle relazioni con la Serbia, come due stati indipendenti e sovrani che aspirano ad aderire all'UE. Questo deve essere un obiettivo strategico per entrambi i Paesi. E' nostro dovere superare la situazione nella quale ci troviamo in quanto noi siamo un ostacolo per noi stessi e la regione. Sono una persona che crede fortemente nel libero mercato, ma purtroppo la Serbia ci ha costretto ad innalzare i dazi doganali sui suoi beni. La Serbia deve tornare al dialogo senza alcuna condizione preliminare. È la Serbia che ha lasciato il tavolo del dialogo e non il Kosovo. Il presidente serbo Vučić aveva smesso d'andare alle riunioni a Bruxelles già prima dell'innalzamento dei dazi. La domanda è se la Serbia sia seriamente interessata a normalizzare le relazioni con il Kosovo. Io ne dubito».Come valuta il ruolo della commissione Junker? «La Commissione ha sofferto della mancanza di unità e visione strategica da parte degli Stati membri dell'UE nei confronti del Kosovo e della regione. Spero che la nuova Commissione disponga di un sostegno maggiore da parte degli Stati membri. Che possa essere un attore forte nella nostra regione! In caso contrario Paesi terzi sono pronti a lanciarsi e non sono interessati ai valori e ai principi per i quali l'UE combatte, ma a mantenere l'UE fuori. Il Kosovo resisterà a questo, ma temo di non poter dire altrettanto per alcuni altre capitali della regione».Come vede il futuro governo kosovaro? Quali saranno le sue sfide?«La sfida principale è che il nuovo governo trovi il consenso necessario in Kosovo per passare al dialogo con la Serbia. Questo è un problema strategico che deve essere affrontato correttamente. In secondo luogo lo sviluppo economico e sociale deve essere portato avanti. È necessaria un'agenda di politica estera concreta. Vorrei che il nuovo governo si concentrasse su problemi reali e trascorresse meno tempo su Facebook e nel tracciare agende populiste».Albin Kurti ha parlato molto della grande Albania come opzione. Pensa che sia reale?«Sono una persona che sostiene una maggiore integrazione economica tra il Kosovo e l'Albania. Questa è una necessità tenendo presente che siamo Paesi, mercati, piccoli. Gli investitori cercano mercati più grandi. Questo sarebbe un modo per affrontare le sfide economiche che il Kosovo e l'Albania hanno. Ma non credo che dovremmo concentrarci nel cambiare i confini e sfidare l'architettura stabilita nella regione. Dovremmo evitare le chiamate populiste e nazionaliste che non portano alcun risultato. Dobbiamo concentrarci su un'integrazione concreta che non richieda il cambio di frontiere o che contesti l'ordine attuale. Questo è fattibile, i Paesi Baltici l'hanno fatto, i Nordici lo hanno fatto e perché non potremmo farlo anche noi? Io ho ottenuto buoni risultati nell'integrazione dei servizi esteri del Kosovo e dell'Albania. Ci scambiamo i diplomatici, abbiamo un stretto coordinamento nelle politiche di sicurezza e cooperazione e condividiamo consolati ed ambasciate. Sono cose che si possono fare in tanti altri settori di comune interesse. Pertanto, maggiore attenzione ai risultati concreti e minore attenzione al populismo e alle emozioni di massa».Come valuta il ruolo dell'Italia nel sostegno al Kosovo e cosa consiglierebbe al nuovo ambasciatore?«L'Italia è un grande alleato e sostenitore del Kosovo da molti decenni. I nostri Paesi hanno un partneriato consolidato e l'Italia ha sempre sostenuto il Kosovo nella sua agenda europea e internazionale. Mi piacerebbe vedere più scambi economici e commerciali tra il Kosovo e l'Italia. Esorto l'ambasciatore italiano a concentrare la sua energia in questo settore. Lo sosterrò in questo, non importa quale sia la mia capacità, perché la vedo come una necessità per i nostri Paesi affinché si avvicinino ancora di più».
Imagoeconomica
Salerno, sul profilo TikTok del tunisino 200 video inneggianti alla morte degli infedeli.
Sanae Takaichi (Ansa)
La conservatrice Sanae Takaichi vuole alzare le spese militari e saldare l’asse con Washington: «Avrò discussioni franche con Trump».
(Guardia di Finanza)
Sequestrate dalla Guardia di Finanza e dai Carabinieri oltre 250 tonnellate di tabacchi e 538 milioni di pezzi contraffatti.
I Comandi Provinciali della Guardia di finanza e dell’Arma dei Carabinieri di Torino hanno sviluppato, con il coordinamento della Procura della Repubblica, una vasta e articolata operazione congiunta, chiamata «Chain smoking», nel settore del contrasto al contrabbando dei tabacchi lavorati e della contraffazione, della riduzione in schiavitù, della tratta di persone e dell’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Le sinergie operative hanno consentito al Nucleo di polizia economico-finanziaria Torino e alla Compagnia Carabinieri di Venaria Reale di individuare sul territorio della città di Torino ed hinterland 5 opifici nascosti, dediti alla produzione illegale di sigarette, e 2 depositi per lo stoccaggio del materiale illecito.
La grande capacità produttiva degli stabilimenti clandestini è dimostrata dai quantitativi di materiali di contrabbando rinvenuti e sottoposti a sequestro: nel complesso più di 230 tonnellate di tabacco lavorato di provenienza extra Ue e circa 22 tonnellate di sigarette, in gran parte già confezionate in pacchetti con i marchi contraffatti di noti brand del settore.
In particolare, i siti produttivi (completi di linee con costosi macchinari, apparati e strumenti tecnologici) e i depositi sequestrati sono stati localizzati nell’area settentrionale del territorio del capoluogo piemontese, nei quartieri di Madonna di Campagna, Barca e Rebaudengo, olre che nei comuni di Caselle Torinese e Venaria Reale.
I siti erano mimetizzati in aree industriali per dissimulare una normale attività d’impresa, ma con l’adozione di molti accorgimenti per svolgere nel massimo riserbo l’illecita produzione di sigarette che avveniva al loro interno.
I militari hanno rilevato la presenza di sofisticate linee produttive, perfettamente funzionanti, con processi automatizzati ad alta velocità per l’assemblaggio delle sigarette e il confezionamento finale dei pacchetti, partendo dal tabacco trinciato e dal materiale accessorio necessario (filtri, cartine, cartoncini per il packaging, ecc.), anch’esso riportante il marchio contraffatto di noti produttori internazionali autorizzati e presente in grandissime quantità presso i siti (sono stati infatti rinvenuti circa 538 milioni di componenti per la realizzazione e il confezionamento delle sigarette recanti marchi contraffatti).
Gli impianti venivano alimentati con gruppi elettrogeni, allo scopo di non rendere rilevabile, dai picchi di consumo dell’energia elettrica, la presenza di macchinari funzionanti a pieno ritmo.
Le finestre che davano verso l’esterno erano state oscurate mentre negli ambienti più interni, illuminati solo artificialmente, erano stati allestiti alloggiamenti per il personale addetto, proveniente da Paesi dell’Est europeo e impiegato in condizioni di sfruttamento e in spregio alle norme di sicurezza.
Si trattava, in tutta evidenza, di un ambiente lavorativo degradante e vessatorio: i lavoratori venivano di fatto rinchiusi nelle fabbriche senza poter avere alcun contatto con l’esterno e costretti a turni massacranti, senza possibilità di riposo e deprivati di ogni forma di tutela.
Dalle perizie disposte su alcune delle linee di assemblaggio e confezionamento dei pacchetti di sigarette è emersa l’intensa attività produttiva realizzata durante il periodo di operatività clandestina. È stato stimato, infatti, che ognuna di esse abbia potuto agevolmente produrre 48 mila pacchetti di sigarette al giorno, da cui un volume immesso sul mercato illegale valutabile (in via del tutto prudenziale) in almeno 35 milioni di pacchetti (corrispondenti a 700 tonnellate di prodotto). Un quantitativo, questo, che può aver fruttato agli organizzatori dell’illecito traffico guadagni stimati in non meno di € 175 milioni. Ciò con una correlativa evasione di accisa sui tabacchi quantificabile in € 112 milioni circa, oltre a IVA per € 28 milioni.
Va inoltre sottolineato come la sinergia istituzionale, dopo l’effettuazione dei sequestri, si sia estesa all’Agenzia delle dogane e dei monopoli (Ufficio dei Monopoli di Torino) nonché al Comando Provinciale del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco di Torino nella fase della gestione del materiale cautelato che, anche grazie alla collaborazione della Città Metropolitana di Torino, è stato già avviato a completa distruzione.
Continua a leggereRiduci






