
Berlino rinnega l'austerità, stanzia subito una cifra record e si scopre favorevole alle nazionalizzazioni. La pandemia ha fatto crollare il mito della globalizzazione e della società aperta: non si tornerà più indietro.Nei libri di storia il coronavirus non sarà ricordato solo come il patogeno che ha messo in apprensione il mondo intero e costretto miliardi di persone a cambiare radicalmente le proprie abitudini. No, la pandemia che stiamo attraversando è molto di più. Rappresenta infatti un grimaldello capace di scardinare molti dei dogmi sui quali si regge la società contemporanea. E soprattutto, complice la peggiore emergenza sanitaria del mondo sviluppato, in grado di farlo a una velocità impressionante. Un epocale cambio di paradigma, che minaccia di ribaltare le certezze date per buone negli ultimi anni.Primo: debito pubblico e deficit sono il male assoluto. Sull'argomento l'Italia è particolarmente ferrata. Senza andare troppo lontano nel tempo, basta ricordare la grottesca trattativa tra l'esecutivo gialloblù e la Commissione europea andata in scena a fine 2018. Nel corso di quelle lunghe e tormentate settimane, il nostro Paese finì sotto torchio per aver osato annunciare un deficit del 2,4%, un valore comunque ben lontano dal tetto consentito del 3%. Oggi che l'emergenza non tocca solo l'Italia, anche i nostri vicini scoprono che se serve per tenere in piedi i loro settori produttivi la liquidità si trova eccome. Senza chiedere il permesso a nessuno, nella giornata di ieri i ministri tedeschi delle Finanze, Olaf Scholz, e dell'Economia, Peter Altmaier, hanno annunciato un piano da 550 miliardi di euro (la somma equivalente a circa un terzo del prodotto interno lordo italiano) per aiutare le aziende teutoniche. Ma la cifra è provvisoria perché, precisano Scholz e Altmaier, «il programma è illimitato» in quanto tecnicamente «non esiste un limite massimo agli importi che la Kfw (l'analogo tedesco della Cassa depositi e prestiti, ndr) può concedere». Viene da ridere - o da piangere, a voi la scelta - a pensare al premier Giuseppe Conte e al ministro dell'Economia Roberto Gualtieri, inginocchiati pochi giorni fa davanti a Bruxelles allo scopo di ottenere l'ok per spendere i 3,6 miliardi inizialmente messi sul piatto per far fronte alla crisi. Una cifra, per capirci, inferiore di 150 volte rispetto a quella annunciata ieri dal governo tedesco.Secondo: la spesa pubblica va ridotta a tutti i costi. È un corollario del primo punto, ma merita un discorso a parte. Se il nostro sistema sanitario nazionale è arrivato debilitato all'appuntamento con il coronavirus, la motivazione va ricercata nei tagli (lineari e non) che i precedenti governi non hanno risparmiato al settore della salute. Un'emorragia che la fondazione Gimbe ha quantificato in ben 37 miliardi, e che ci ha portati agli ultimi posti per numero di posti letto (ospedalieri e di terapia intensiva) rispetto agli altri Paesi. Se oggi la Germania può permettersi di affrontare l'epidemia con una relativa serenità è proprio grazie ai 28.000 posti letto dedicati agli ammalati più gravi, quasi sei volte quelli a disposizione in Italia. Perciò, mentre noi stringevamo la cinghia, nel resto dell'Ue non badavano a spese per tutelare un comparto tanto importante come quello della sanità.Terzo: nazionalizzare è peccato. È uno dei mantra più inflazionati dell'ideologia ordoliberista, ma solo se ci sono di mezzo gli altri. Solo pochi mesi fa il ministro Altmeier, annunciando la Strategia 2030 per l'industria nazionale, individuava nell'intervento statale una delle chiavi di volta «per evitare gravi svantaggi per l'economia nazionale e il benessere dello Stato nel suo complesso». Ieri, a maggior ragione, Berlino è tornata a ventilare l'ipotesi di nazionalizzare le aziende tedesche per difendersi dagli effetti di una futura crisi. Ovviamente, Angela Merkel e soci non si sono nemmeno lontanamente posti il problema degli aiuti di Stato.Quarto: lo spread non lo decide la Banca centrale europea. La boutade del governatore Christine Lagarde non è solo infelice, ma anche doppiamente falsa. Per prima cosa, il programma di acquisto di titoli pubblici meglio noto come quantitative easing, lanciato da Mario Draghi nel 2015, ha avuto come effetto principale proprio quello di tenere a bada il differenziale tra i rendimenti dei titoli di Stato. La seconda affermazione è di carattere empirico e nasce dal fatto che le stesse maldestre parole della Lagarde hanno fatto schizzare all'insù lo spread.Volente o nolente, quando parla la Bce fa politica, e di conseguenza le sue azioni provocano ripercussioni che vanno ben oltre il campo monetario. Nel resto del mondo, dagli Stati Uniti al Regno Unito, fino a Hong Kong, governi e Banche centrali fanno quello che devono fare, cioè stampano moneta e programmano aumenti di spesa, incuranti di insensati limiti fissati dall'esterno.Quinto: bisogna abbattere i confini. La scoppola più sonora il coronavirus forse l'ha data proprio alla globalizzazione e alla sua derivazione filosofica, quella cioè che predica una «società aperta». Altro che solidarietà: nel momento del pericolo, ogni Paese europeo ha reagito in difesa dei propri interessi. Commentando giovedì le parole di Christine Lagarde, l'economista belga Paul De Grauwe ha twittato: «Non agire comporterebbe la distruzione dell'Eurozona». E così, alla fine di questo momento destinato a cambiare il volto del mondo, la vittima più illustre del coronavirus rischia di essere proprio il progetto europeo.
La Germania si indebiterà per lanciare oltre 300 progetti militari: metà in appalto ad aziende nazionali. Nella lista della spesa, svelata da «Politico», anche apparecchiature americane tipo i missili a lungo raggio.
Sebastien Lai, figlio di Jimmy Lai, incarcerato a Hong Kong nel 2020 (Getty Images)
Sebastien Lai, figlio del giornalista in carcere dal 2020 a Hong Kong: «Per aver difeso la democrazia, rischia l’ergastolo. Ringrazio Trump per il sostegno e l’impegno per il suo rilascio. Spero che anche il Vaticano si faccia sentire».





