
Lo scivolone dell'epidemiologo Pier Luigi Lopalco durante un convegno in università scatena migliaia di critiche online. Lui si difende: «I test sui minori sono imposti dalla legge come ultimo passo. Ma sono i genitori a decidere».Professor Lopalco, la disturbo? «Ho capito, mi chiama per quel filmatino che sta girando su Facebook. Guardi, la platea era composta da centinaia di ragazzini di 15 anni. Loro mi hanno capito benissimo, gli imbecilli che mi attaccano no. Qualcuno mi ha addirittura paragonato a Josef Mengele, sono senza parole».Rewind. Da qualche giorno, impazza online uno spezzone di una cinquantina di secondi che riprende il professor Pier Luigi Lopalco, epidemiologo, docente di Igiene dell'università di Pisa e autore di oltre 100 articoli scientifici, mentre spiega all'università di Modena il procedimento di sperimentazione dei vaccini pediatrici. Gli scappa, come lui stesso racconta nel corso di questa chiacchierata con la Verità, una semplificazione di troppo: «Per mettere in commercio un vaccino servono da otto a dieci anni di ricerca, e questa ricerca clinica che significa? Che bisogna vaccinare dei bambini e bisogna vedere su questi bambini volontari il vaccino quanto sia sicuro e quanto sia efficace...», dice testualmente.La rete si è letteralmente scatenata e dal tam tam mediatico è nato un processo linguistico-scientifico-bioetico a carico del docente (che presso il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie di Stoccolma ha coordinato le strategie vaccinali a livello europeo), accusato di aver svelato gli orrori e gli abomini della sperimentazione sui minori (addirittura volontari). Una cosa a metà strada tra Big Pharma e il Terzo Reich. Qualche commento colto dal prato del Web: «Questo è un genio (manine che applaudono, ndr)»; «Ma io dico, vax o no vax a parte, ma questa gente come fa a essere invitata a parlare a delle conferenze?»; «Se fosse vero, io vorrei vedere a quale classe sociale appartengono questi bambini!». Non è mica finita: «Bambini volontari? Ma questa è da licenziamento in tronco... E le Procure? Che fanno? Questa si è appena autodenunciata... Indagare subito la signora e i suoi compari...» (in realtà, non è una signora a parlare ma un uomo, l'autore del commento era poco attento, evidentemente); «Ma questo è pazzo... Vanno sperimentati sui bambini... Veramente interessante...»; «Più evidente di cosi... Se lo dicono da soli che sono degli assassini». Chiaramente si esagera.«Anzitutto una premessa», spiega il docente, firmatario del Manifesto per la scienza del professor Roberto Burioni. «Ho usato un linguaggio, diciamo così, un po' triviale ma stavo parlando a degli studenti e non potevo essere troppo tecnico. Sinceramente, ho sottovalutato...». Professor Lopalco, ha sottovalutato la potenza dei social network, ma ora ce lo può spiegare com'è che si sperimenta un vaccino pediatrico? «Ripeto. Le persone che registrano queste cose per poi farci il commento sono di livello culturale piuttosto basso, e per fortuna rappresentano una piccola minoranza. In quell'aula tutti hanno ascoltato e tutti hanno compreso, e nessuno si è scandalizzato per quello che ho detto, avendo ovviamente seguito tutto il ragionamento». Riprendiamolo, allora, questo ragionamento. Come funziona la sperimentazione sui minori che, ovviamente, non possono essere volontari? «Il percorso consta di due fasi. Quella preclinica con studi e analisi di laboratorio e test su cellule e animali. E quella clinica che, a sua volta, viene suddivisa in tre step. Nel primo si somministra il vaccino candidato, che ha dato cioè buone risposte in fase preclinica, agli adulti. Nel secondo, invece, la sperimentazione avviene sui bambini». Quindi i minori sono effettivamente coinvolti. «Se un vaccino è registrato sui bambini, anche lo studio clinico dev'essere sviluppato su quella fascia d'età. E questo lo si fa per legge. Dicevo: il secondo step coinvolge un numero relativamente esiguo di soggetti, da poche centinaia a qualche migliaia, che provano il farmaco». E lo step tre? «Sostanzialmente è uguale al due, solo che il campione si allarga in maniera significativa fino a raggiungere le 60.000 unità in alcuni casi». Un attimo di pausa, e riprende: «Arruolarsi in uno studio clinico non significa andare nelle mani di Mengele - chiaro? - ma avere a disposizione un prodotto non ancora in commercio di cui si conoscono i probabili e molto possibili benefici». L'arruolamento come funziona, professore? Avviene solo all'estero o anche in Italia? «Guardi, io ho cominciato nel 1996 la mia carriera con il trial clinico del progetto pertosse che coinvolse quattro regioni italiane. Tramite le Asl arruolammo migliaia di bambini per uno studio clinico internazionale. I genitori, in maniera tranquilla e intelligente, capirono i benefici per i loro figli e diedero il consenso. Loro, gli adulti. Mica i bambini...».Professore, la domanda delle domande: c'è lo zampino di Big Pharma sui test sui bambini? (Sospiro) «Big Pharma ci mette i soldi. Una sperimentazione del genere, che dura dagli otto ai dieci anni, è particolarmente complessa e costosa. Bisogna finanziare lo sviluppo in laboratorio, seguire i bambini con infermieri e medici, raccogliere e analizzare i dati. Chi ha prodotto il vaccino, ma il discorso vale per qualsiasi altro farmaco, deve obbligatoriamente fare queste valutazioni cliniche. Poi registra il prodotto e cerca di venderlo». Incidente chiuso, allora? Parrebbe di no. «Alcuni scienziati hanno disimparato ad esprimersi correttamente in italiano», è il lapidario commento della professoressa Maria Luisa Villa, già direttrice della scuola di dottorato in Medicina molecolare dell'università di Milano. E pensare che il povero professor Lopalco ha pure vinto il concorso nazionale per la divulgazione scientifica del Cnr...
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
iStock
A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





