2023-02-18
La furia verde ora colpisce gli allevamenti di bestiame
La Commissione Ue vuole inasprire gli oneri sulle ditte che trattano suini, pollame e bovini: sono a rischio soprattutto le imprese piccole e medie, benché Bruxelles usi stime obsolete e sottovaluti i potenziali danni. Un regalo a chi produce carne sintetica e insetti.Il totalitarismo verde è un Leviatano ingordo: non si farà bastare le nostre case, le nostre automobili, né i tir che trasportano beni di consumo. Dopo l’irruzione nei garage e nelle abitazioni, pretende di entrarci in cucina, di toglierci la carne vera per rifilarci la polpetta sintetica e la farina d’insetti. La prossima vittima dell’eurotagliola ecologista, quindi, è già designata: gli allevatori. Il sito Euractiv ha messo le mani sul documento che la Commissione europea ha mostrato, alcune settimane fa, al gruppo di lavoro ambiente, in vista del Consiglio europeo di marzo, in cui si dovrebbe discutere la nuova direttiva sulle emissioni industriali. Il progetto va avanti dalla scorsa primavera, quando Coldiretti, in Italia, denunciò precocemente il piano letale di Bruxelles: abbassare le soglie oltre le quali un’impresa che tratta pollame e suini è considerata inquinante e includere, nella black list ecologicamente corretta, anche le ditte che maneggiano più di 150 bovini. mangimi sostenibiliIn cosa si tradurrebbe l’inasprimento? È semplice: verrebbero imposti nuovi oneri agli allevamenti con almeno 500 maiali o 300 scrofe, 10.000 galline ovaiole e 150 vacche adulte o 375 vitelli. Per farla breve, le aziende, tra gli altri adempimenti necessari, dovrebbero richiedere una serie di permessi ambientali, infilandosi in un iter burocratico sfibrante; nonché ottenere, da società esterne, certificati che attestino l’adozione di buone pratiche ecologiche. Ad esempio, il potenziamento della ventilazione meccanica, la riduzione dei consumi energetici, l’impiego di mangimi sostenibili. Una mazzata. Soprattutto per le piccole e medie imprese, che non somigliano manco lontanamente ai colossi dell’hamburger artificiale di Bill Gates, checché ne dicano i calcoli della Commissione. Calcoli, peraltro, sbagliati.Secondo Euractiv, infatti, la bozza che finirebbe in Consiglio si basa su stime obsolete. Attenendosi ai dati del 2016, l’esecutivo europeo ha valutato che gli allevamenti penalizzati sarebbero il 18% di quelli suini, il 15% di quelli di pollame e il 10% di quelli ovini. Ma utilizzando i più recenti censimenti Eurostat delle aziende zootecniche, si scopre che la scure potrebbe abbattersi su molte più ditte di quelle ipotizzate dalla squadra di Ursula von der Leyen: il 61% degli allevamenti di maiali, il 58% di quelli che trattano pennuti e il 12,5% di quelli che adoperano le vacche. In totale, almeno il 20% delle aziende europee con bestiame sarebbe danneggiato dal giro di vite. C’è un motivo ufficiale, se gli eurocrati si sono aggrappati a cifre vecchie: le statistiche aggiornate al 2020 sono ancora in fase di revisione. Il guaio è che, tra le due approssimazioni, cioè tra l’usare numeri stantii e il fidarsi di conteggi provvisori, i boiardi di Bruxelles hanno scelto quella più grossolana e inutile.Nonostante le controversie, a quanto pare, la presidenza svedese dell’Ue vorrebbe che già il mese prossimo si raggiunga un accordo tra gli Stati, a partire dalla proposta della Commissione. L’Europarlamento, invece, sta prendendo più tempo: un via libera della plenaria, da quanto ci riferiscono fonti ben informate, potrebbe non arrivare prima dell’estate 2023. Coldiretti, comunque, resta sul piede di guerra. Sentito dalla Verità, Paolo Di Stefano, responsabile dell’associazione in Europa, punta il dito sulla superficialità dell’esecutivo dell’Unione: «Il pasticcio sui dati dimostra che la Commissione non prepara nemmeno adeguati studi di impatto, benché essi siano uno dei requisiti del processo legislativo. Non è un caso se il Consiglio ha già respinto una direttiva sui pesticidi, ritenendo insufficiente la documentazione a corredo. Registriamo soltanto un approccio ideologico e, perciò, non possiamo che respingere in blocco» la riforma.come in olandaA questo punto, diventa sempre più facile unire i puntini. L’Olanda, che aveva già adottato un proprio piano per ridurre drasticamente il numero di allevamenti, ha pagato gli allevatori perché chiudessero bottega. «Talora», ricorda Di Stefano di Coldiretti, «ha offerto loro persino investimenti nei laboratori che producono carne sintetica». Ma guarda. Sarà stato un caso? Addio alle mucche, che appestano il pianeta con le loro puzzette; nel piatto è meglio infilarci il macinato prodotto in vitro. Sarà un caso anche se adesso, l’Oms annuncia una possibile pandemia di aviaria? Le grandi testate hanno richiamato in servizio le virostar, da Matteo Bassetti in giù (o in su). Sul Corriere, Ilaria Capua paventava il salto di specie del virus, puntando il dito sugli allevamenti intensivi di polli, che servono a fornire «proteine nobili a basso costo» a miliardi di esseri umani. Ancora con questo vezzo di nutrire la gente… Il popolo ha fame? Dategli grilli e cavallette.
Iil presidente di Confindustria Energia Guido Brusco
Alla Conferenza annuale della federazione, il presidente Guido Brusco sollecita regole chiare e tempi certi per sbloccare investimenti strategici. Stop alla burocrazia, realismo sulla decarbonizzazione e dialogo con il sindacato.
Visione, investimenti e alleanze per rendere l’energia il motore dello sviluppo italiano. È questo il messaggio lanciato da Confindustria Energia in occasione della Terza Conferenza annuale, svoltasi a Roma l’8 ottobre. Il presidente Guido Brusco ha aperto i lavori sottolineando la complessità del contesto internazionale: «Il sistema energetico italiano ed europeo affronta una fase di straordinaria complessità. L’autonomia strategica non è più un concetto astratto ma una priorità concreta».
La transizione energetica, ha proseguito Brusco, deve essere affrontata con «realismo e coerenza», evitando approcci ideologici che rischiano di danneggiare la competitività industriale. Decarbonizzazione, dunque, ma attraverso strumenti efficaci e con il contributo di tutte le tecnologie disponibili: dal gas all’idrogeno, dai biocarburanti al nucleare di nuova generazione, dalle rinnovabili alla cattura e stoccaggio della CO2.
Uno dei nodi principali resta quello delle autorizzazioni, considerate un vero freno alla competitività. I dati del Servizio Studi della Camera dei Deputati parlano chiaro: nel primo semestre del 2025, la durata media di una Valutazione di Impatto Ambientale è stata di circa mille giorni; per ottenere un Provvedimento Autorizzatorio Unico ne servono oltre milleduecento. Tempi incompatibili con la velocità richiesta dalla transizione.
«Non chiediamo scorciatoie — ha precisato Brusco — ma certezza del diritto e responsabilità nelle decisioni. Il Paese deve premiare chi investe in innovazione e sostenibilità, non ostacolarlo con inefficienze che non possiamo più permetterci».
Per superare la frammentazione normativa, Confindustria Energia propone una legge quadro sull’energia, fondata sui principi di neutralità tecnologica e sociale. Uno strumento che consenta una pianificazione stabile e flessibile, in linea con l’evoluzione tecnologica e con il coinvolgimento delle comunità. Una recente ricerca del Censis evidenzia infatti come la dimensione sociale sia cruciale: i cittadini sono disposti a modificare i propri comportamenti, ma servono trasparenza e dialogo.
Altro capitolo centrale è quello delle competenze. «Non ci sarà transizione energetica senza una transizione delle competenze», ha ricordato Brusco, rilanciando la necessità di investire nella formazione e nel rafforzamento della collaborazione tra imprese, università e scuole.
Il presidente ha infine ringraziato il sindacato per il rinnovo del contratto collettivo nazionale del settore energia e petrolio, definendolo un esempio di confronto «serio, trasparente e orientato al futuro». Un modello, ha concluso, «basato sul dialogo e sulla corresponsabilità, capace di conciliare la valorizzazione del lavoro con la competitività delle imprese».
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