2018-11-06
La Francia muore d’immigrazione. E pure a sinistra se ne accorgono
Nelle librerie transalpine l'ultimo saggio choc di Laurent Obertone, pieno di statistiche sul fallimento della «convivenza» con gli stranieri. Una realtà oggi riconosciuta anche dai giornalisti di «Le Monde».Dalla fantasia alla realtà. Avevamo lasciato Laurent Obertone con Guerriglia, il suo acclamato romanzo ucronico, ma sempre più verosimile, sulla guerra civile etnica prossima ventura in Francia. Ora lo scrittore torna a far discutere in patria con un libro che affronta lo stesso argomento, ma da tutt'altra angolazione. La France interdite (Ring) è infatti un saggio di inchiesta con tutti i crismi, lungo più di 500 pagine zeppe di numeri, citazioni e tabelle. L'obiettivo: demolire la più colossale delle bufale, quella secondo cui l'immigrazione è una chance e gli immigrati sono risorse. Una narrazione superficiale e irenistica, che cela tuttavia un mutamento antropologico della cui portata non abbiamo ancora preso coscienza. Scrive Obertone: «Dall'epoca di Cro Magnon fino al secolo scorso, ovvero durante almeno 45.000 anni, la proporzione di individui di origine eurasiatica stabilitisi su quello che corrisponde all'attuale territorio francese non è mai scesa sotto il 99,9% della popolazione. Invasioni comprese. Dalla fine del XX secolo ai nostri giorni, cioè in soli 40 anni, e malgrado un picco record di popolazione autoctona, la popolazione extra eurasiatica è bruscamente e considerevolmente cresciuta in Francia, arrivando a moltiplicarsi per 200». Calcolare la percentuale di stranieri presenti in Francia non è facile: lo spettro del racial profiling spaventa ed è tenuto a bada da leggi orwelliane. Persino linguisticamente, si fatica a trovare la parola giusta: «francesi» sono tutti quelli che hanno il passaporto francese, «bianchi» non si può proprio scrivere. Le statistiche che parlano di «immigrati» non tengono conto delle naturalizzazioni e, ovviamente, delle seconde e terze generazioni. Obertone utilizza, parodisticamente, l'espressione «diversità visibile», tratta dal gergo contorto con cui il politicamente corretto tenta di designare un dato di fatto che non riesce a esorcizzare: a prescindere dalla cittadinanza burocratica, c'è una parte della società francese che è «visibilmente» differente. Ebbene, secondo i calcoli dello scrittore, la «diversità visibile» corrisponderebbe oggi a una quota vicina al 20% del totale degli abitanti dell'Esagono. Ma non sono tanto le proporzioni attuali del fenomeno, a preoccupare, quanto il senso e la direzione del meccanismo in funzione. Secondo lo scrittore, dal 1999 al 2015, la popolazione francese autoctona è cresciuta del 4,9%, quella di origine turca del 40%, quella magrebina del 46%, quella di origine subsahariana del 138%. La sostituzione di popolo non è quindi una «teoria», ma una meta obbligata, se non si fa qualcosa per invertire la tendenza. Le proiezioni sulla demografia africana dei prossimi decenni, del resto, non lasciano spazio alla fiducia. Ma, spiega Obertone, farcene carico significa distruggere le nostre società senza aiutare le loro. Leggiamo: «Se il nostro continente “assorbisse" 20 milioni di africani all'anno, cosa totalmente impossibile, gli ci vorrebbero 100 anni per assorbirne 2 miliardi. Ora, da qui ad appena 80 anni, gli africani saranno due volte 2 miliardi». Di conseguenza, «la nostra “accoglienza", per massiva che sia, non cambierà assolutamente nulla rispetto alla demografia africana». C'è poi una questione di principio: «Perché uno Stato, anche poco popolato, dovrebbe abbandonare la propria sovranità e le proprie frontiere e la propria popolazione per il fatto che un lontano Paese non controlla la propria demografia?». Già. In ogni caso, gli effetti delle prime avanguardie di questa invasione biblica stanno già disarticolando il tessuto sociale europeo, con special riguardo a Francia, Belgio e Svezia, ma non solo. Obertone ha buon gioco nell'elencare, con minuziose citazioni, tutte le strategie di minimizzazione di fronte a questa bomba sociale, che ha nel terrorismo e nell'islamismo la sua espressione più estrema e visibile. Nel 2018, la Francia è stata colpita da attentati terroristici «solo» due volte: il 23 marzo, a Carcassonne e a Trèbes, con quattro morti e 15 feriti, e il 12 maggio, a Parigi, con un morto e cinque feriti. Anche aggiungendo i cinque progetti di attentati sventati, si tratta di una media in calo, rispetto agli anni precedenti. La bomba, tuttavia, resta innescata. E se gli allarmi di uno come Obertone possono essere tacciati di ideologia e «rifiuto del diverso», è tuttavia significativo come sempre più intellettuali progressisti stiano prendendo consapevolezza della cosa. Prendiamo Le grand abandon, di Yves Mamou (L'artilleur), che ha per sottotitolo: «Le élite francesi e l'islamismo». Mamou, va sottolineato, ha lavorato per 23 anni a Le Monde. Il suo atto d'accusa, tuttavia, è radicale: «Dagli anni Ottanta, i francesi hanno visto l'islam e l'islamismo installarsi quasi senza alcuna resistenza sul territorio nazionale. Il numero di moschee e luoghi di culto musulmani è quasi raddoppiato tra il 2000 e il 2012, passando da 1.536 a 2.449». Ebbene, secondo Mamou, queste trasformazioni «sono state volute e organizzate. Esse sono la conseguenza della frattura politica che si è consumata tra l'alto della società (le “élite") e il resto della popolazione». Secondo l'analista, «la casta al potere non ha solamente fatto secessione, ma ha ritenuto buono consolidare il suo potere sulla nazione stringendo alleanza con i gruppi islamici che, dal canto loro, non intendono certo “fare nazione" con la nazione in cui si sono installati. Lo scopo? Dissolvere il sentimento di appartenenza nazionale». Come si vede, Mamou sembra aver rotto da tempo i rapporti con la famiglia ideologica di Le Monde. Non così Gérard Davet e Fabrice Lhomme, autori di un altro saggio appena uscito, intitolato Inch'Allah. L'islamisation à visage découvert (Fayard). Si tratta di un'inchiesta sul dipartimento di Seine-Saint-Denis, in cui, con maggiori cautele linguistiche, si afferma una verità ineludibile: «Sì, l'islamizzazione è in corso a Seine-Saint-Denis, questo fenomeno che innesca a cascata altre sue evoluzioni, negative o positive. Nessun settore della società sfugge a questa prova: politica, economia, educazione, tutti gli aspetti della convivenza sono interessati e messi in discussione». Quali siano le possibili conseguenze positive non è dato sapere, ma l'ammissione ha una sua importanza. Anche se, a dirla tutta, fa una certa rabbia il fatto che arrivi a raccontarci l'inferno chi ha la responsabilità di averlo generato.