2020-01-07
La Farnesina triste a gestione Di Maio: pernacchie dall’Ue e silenzio da Trump
Bruxelles risponde ai teoremi pentastellati sull'Iran bocciando la missione in Libia, voluta dal ministro. E Mike Pompeo ci ignora.Nota congiunta di Emmanuel Macron, Angela Merkel e Boris Johnson. Berlino telefona a Roma a cose fatte.Lo speciale contiene due articoli.Un solo esempio per dimostrare due evidenze: l'inesistenza dell'Ue (tanto invocata retoricamente quanto incapace di giocare un ruolo minimamente costruttivo in qualunque crisi) e, ciò che è più doloroso per l'Italia, la crescente mancanza di credibilità del governo giallorosso, che incassa l'ennesima umiliazione internazionale.Infatti, proprio nelle ore in cui Giuseppe Conte e Luigi Di Maio provavano ad accreditare un ruolo italiano per costruire una qualche iniziativa europea nella crisi esplosa tra Usa e Iran, era proprio l'Ue a sgonfiare come un palloncino l'idea di una missione europea con un forte ruolo italiano su una crisi molto più vicina a noi e molto più rilevante per i nostri immediati interessi nazionali: quella in Libia. Formalmente, sarebbe stato Al Serraj, l'uomo di Tripoli (a lungo appoggiato dall'Italia, ma oggi sostenuto dalla Turchia) contrapposto al generale Haftar (supportato da Russia, Egitto, Arabia Saudita ed Emirati) a chiedere a Bruxelles di soprassedere. E, per altro verso, un po' tutti hanno avuto gioco facile a usare come scusa la quasi certa responsabilità di Haftar nel recente attacco alla scuola militare di Tripoli, che ha causato decine di vittime.E così - a meno di sorprese imprevedibili - l'Alto rappresentante Ue Josep Borrell (uno spagnolo dalla linea politica identica a quella di Federica Mogherini, che l'aveva preceduto nel ruolo), Luigi Di Maio e i capi della diplomazia di Francia, Germania e Regno Unito resteranno a casa. Di certo, non partiranno oggi, giorno in cui la missione congiunta si sarebbe dovuta svolgere.Doppio schiaffo per Di Maio, dunque: da un lato, da parte di Al Serraj, che sembra ben contento del sostegno turco e quasi non gradisce altre intromissioni, anzi mostra di aver scaricato Roma; dall'altro, da parte delle cancellerie europee (Parigi in testa), disinteressate a mobilitarsi per i sempre più traballanti interessi italiani. Del resto, non si capisce per quale ragione gli altri Paesi europei, in un teatro di per sé complicatissimo come quello libico e in una situazione dagli esiti per definizione incerti, dovrebbero garantire un ruolo di primo piano a Di Maio, o farsi guidare e rappresentare da lui. Ognuno gioca per sé: Parigi per Parigi, Berlino per Berlino, e solo alcuni illusi eurolirici italiani continuano a credere in un ipotetico impegno comune e condiviso. L'Italia, giova ricordarlo, ha 400 uomini a Misurata, ha installazioni Eni onshore e offshore, e rischia di perdere la partita sia sul fronte del rubinetto energetico sia su quello del rubinetto dell'immigrazione. Se a prevalere, come non sembra probabile, sarà il fronte turco, per noi sarà un disastro totale (e va notato come Erdogan stia inviando in Libia anche miliziani e mercenari jihadisti, non esattamente una novità rassicurante); se a prevalere sarà il fronte che fa capo ad Haftar, Roma sconterà il fatto di non averlo mai appoggiato, nonostante il maldestro e tardivo tentativo della Farnesina, in queste ore, di cambiare linea e ristabilire un contatto. Se infine Erdogan e Vladimir Putin raggiungeranno un'intesa spartitoria (domani l'incontro), fatalmente questa sorta di «supercondominio» russo-turco lascerà agli altri solo le briciole. Complessivamente, si tratta di un requiem per la politica estera italiana. Tra Iraq, Libano e Libia siamo l'alleato degli americani con più truppe, eppure Mike Pompeo si è «dimenticato» di chiamare Roma; ora quest'altra umiliazione bruciante. Anche sul Colle più alto, che ha avallato la nascita del governo giallorosso, dovrà prima o poi venire il momento di elaborare il lutto: un esecutivo che era nato rivendicando (oggi possiamo dire: millantando) credito internazionale, viene trattato come un player irrilevante.Ieri Di Maio ha provato a gettare fumo scrivendo un lungo post di segno pacifista su Facebook («la guerra genera altra guerra, la violenza chiama altra violenza, la morte altra morte»), ma, retorica a parte, il titolare della Farnesina è apparso a mani vuote sulla Libia: «Sono in continuo contatto con i miei omologhi europei e non solo. L'8 sarò al Cairo, poi Algeria e Tunisia. Questo pomeriggio (ieri, ndr) faremo il punto alla Farnesina sugli ultimi sviluppi». Di certo, fonti bene informate assicurano che ha fatto rumore, alla Farnesina, l'intervista alla Verità di un militare autorevole come il generale di corpo d'armata Vincenzo Santo, già capo di Stato maggiore del comando Nato (Isaf e Rs) a Kabul. Una dura requisitoria e l'indicazione di una linea totalmente alternativa ai balbettii del governo: passare a sostenere Haftar, decidere un blocco navale e una no-fly zone, mettere in sicurezza le installazioni Eni, far capire a Erdogan che l'Italia intende proteggere i suoi interessi strategici. Se solo la Farnesina non fosse di fatto sede vacante. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-farnesina-triste-a-gestione-di-maio-pernacchie-dallue-e-silenzio-da-trump-2644289250.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-big-deuropa-si-allineano-agli-usa-litalia-balbetta-e-non-si-posiziona" data-post-id="2644289250" data-published-at="1757724102" data-use-pagination="False"> I big d’Europa si allineano agli Usa. L’Italia balbetta e non si posiziona L'Europa che conta inizia ad allinearsi agli Stati Uniti. Angela Merkel, Emmanuel Macron e Boris Johnson hanno sottoscritto ieri una dichiarazione congiunta, in cui si chiede all'Iran di tornare ad ottemperare l'accordo sul nucleare, siglato nel 2015. «Chiediamo all'Iran di ritirare tutte le misure che non sono in linea con l'intesa sul nucleare», hanno affermato. «La nostra attenzione», prosegue la dichiarazione, «deve essere concentrata a evitare una ulteriore escalation, che rischierebbe di superare un punto di non ritorno». Ma non è tutto: perché, oltre al dossier nucleare, i tre si dicono «profondamente preoccupati per il ruolo che l'Iran ha svolto nella regione, in particolare con le Guardie della Rivoluzione Iraniana e la Forza al Quds sotto il comando del generale Soleimani». Una posizione abbastanza critica verso Teheran che, sempre ieri, è stata fatta propria anche dall'Alto rappresentante dell'Unione europea per la politica estera, Josep Borrell. «Deploro profondamente», ha affermato, «l'ultimo annuncio dell'Iran sul Jcpoa […] La piena attuazione dell'accordo sul nucleare da parte di tutti è ora più importante che mai per la stabilità della regione e la sicurezza globale. Continuerò a lavorare con tutti i partecipanti su come andare avanti». Insomma, anche Bruxelles sembra aver scelto la linea dura nei confronti della Repubblica islamica, allineandosi nei fatti alla posizione di Donald Trump, che ieri pomeriggio non a caso ha ribadito: «L'Iran non avrà mai un'arma nucleare!». Domenica sera, Teheran ha annunciato di non sentirsi più vincolata a nessuna delle restrizioni imposte dall'intesa del 2015. Gli ayatollah hanno ciononostante fatto sapere di essere pronti a un passo indietro, qualora Washington accetti di porre fine alle dure sanzioni economiche cui ha sottoposto l'economia iraniana. Un'eventualità che - almeno nel breve termine - sembra abbastanza improbabile, visto che domenica il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, ha dichiarato che la strategia statunitense di massima pressione su Teheran sta funzionando «assolutamente», definendo tra l'altro «terribile» l'accordo del 2015. Sebbene Francia, Germania e Regno Unito continuino a difendere la vecchia intesa, la condanna dell'ultimo annuncio iraniano avvicina - significativamente - le tre nazioni a Washington. Non dimentichiamo che, appena pochi giorni fa, lo stesso Pompeo aveva esternato un certo disappunto nei confronti del Vecchio continente, colpevole secondo lui di non aver mostrato abbastanza sostegno all'America dopo l'uccisione del generale iraniano Qasem Soleimani: «Francamente, gli europei non sono stati così utili come avrei voluto fossero. Gli inglesi, i francesi, i tedeschi devono tutti capire che ciò che abbiamo fatto, ciò che hanno fatto gli americani ha salvato vite anche in Europa», aveva sostenuto il capo del dipartimento di Stato statunitense. Che le parole di Pompeo non fossero cadute nel vuoto era parso chiaro già l'altro ieri, quando il Regno Unito ha parlato del raid contro Soleimani come un «diritto all'esercizio dell'autodifesa» da parte americana. Adesso, con la dichiarazione congiunta di ieri, anche Germania e Francia sono uscite dall'ambiguità degli scorsi giorni, convergendo maggiormente con gli orientamenti di Washington, sia sul tema nucleare sia sulla questione Soleimani. E Roma? Ieri in serata Palazzo Chigi ha diramato una nota per riferire di una «lunga conversazione telefonica» intercorsa fra Conte e la Merkel sulla questione iraniana, che ha il sapore del contentino ai giallorossi. Intervenendo sulla crisi mediorientale, il premier ha dichiarato: «È prioritario promuovere un'azione europea forte e coesa per richiamare tutti a moderazione e responsabilità, pur nella comprensione delle esigenze di sicurezza dei nostri alleati». La linea dell'Italia, insomma, continua a rimanere confusa, appesa a formule vaghe e senza strategia concreta.
Attività all'aria aperta in Val di Fassa (Gaia Panozzo)
Gabriele D'Annunzio (Getty Images)
Lo spettacolo Gabriele d’Annunzio, una vita inimitabile, con Edoardo Sylos Labini e le musiche di Sergio Colicchio, ha debuttato su RaiPlay il 10 settembre e approda su RaiTre il 12, ripercorrendo le tappe della vita del Vate, tra arte, politica e passioni.
Il ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida (Ansa)