Dietro il colpo di Stato in Myanmar si allunga l'ombra di Pechino, a caccia dei 17 minerali più cercati al mondo per gli usi tecnologici. Ma i sospetti sul Dragone, in competizione con Washington per queste risorse, riguardano pure il putsch in Zimbabwe. E non solo.Il recente colpo di Stato in Myanmar sta sempre più assumendo delle connotazioni di carattere geopolitico. E, nel complicato quadro birmano, non è affatto escludibile che stiano giocando un ruolo chiave le cosiddette «terre rare». Si tratta di 17 elementi chimici fondamentali per la realizzazione di dispositivi elettronici (dagli smartphone ai tablet, passando per macchinari legati al settore della Difesa). In realtà, la loro presenza (per quanto localizzata soprattutto in determinate aree del globo) non è così «rara» come suggerisce il nome. Si tratta tuttavia di elementi di difficile estrazione, che hanno determinato - negli ultimi anni - una crescente competizione geopolitica tra Stati Uniti e Cina. La centralità di questa questione divenne drammaticamente chiara nel maggio 2019, quando - nel mezzo delle tensioni commerciali tra Washington e Pechino - la Repubblica popolare minacciò di tagliare le proprie esportazioni di terre rare.Ma che cosa c'entra il Myanmar? C'entra, perché stiamo parlando di uno dei principali Paesi produttori di questi elementi. Secondo quanto riferito dallo U.S. Geological Survey, nel 2020 il Myanmar si è collocato al terzo posto in termini di produzione di terre rare con 30.000 tonnellate: dietro quindi la Cina (140.000 tonnellate) e gli Stati Uniti (38.000 tonnellate). In particolare, Pechino importa storicamente terre rare dal Myanmar, per quanto - negli ultimi tempi - si fosse verificato qualche problema. Nel corso del 2019 (quindi prima che la pandemia esplodesse), il confine tra Myanmar e Cina è stato chiuso per un certo periodo di tempo, con la conseguente interruzione dell'export di questi elementi. Era il dicembre di quell'anno, quando il Global Times (organo di informazione del Partito comunista cinese) riportò che il Myanmar stesse per sospendere le proprie esportazioni di terre rare verso la Cina, suggerendo pertanto che Pechino dovesse «diversificare i fornitori». Sempre il Global Times ha tuttavia di recente riferito che, nel corso del 2020, Pechino avrebbe importato circa la metà delle terre rare presenti in Myanmar.Insomma, non è affatto da escludere che, con il golpe di sei giorni fa, la Repubblica popolare abbia voluto assicurarsi un maggior controllo sulle terre rare birmane. Certo: non è al momento dato sapere se effettivamente ci sia Pechino dietro la deposizione e l'arresto di Aung San Suu Kyi. Tuttavia qualche segnale che va in questa direzione oggettivamente si scorge. Non solo la Cina si è mantenuta molto vaga nel commentare il colpo di Stato, ma - come riferito dalla Bbc - ha anche bloccato una dichiarazione del Consiglio di sicurezza dell'Onu che condannava il golpe. Tutto questo, senza trascurare che -lo scorso 12 gennaio - il ministro degli Esteri cinese Wang Yi avesse incontrato l'attuale capo dei golpisti a Naypyidaw, il generale Min Aung Hlaing. D'altronde, almeno per ora, gli effetti del golpe non sembrano essersi rivelati troppo negativi per il Dragone. Martedì, il Global Times ha riferito che le importazioni cinesi di terre rare «sono rimaste inalterate dall'evento politico in Myanmar»: questo perché «la maggior parte delle miniere si trova nel Nord del Paese e sono sotto il controllo dell'esercito birmano». Eppure, il foglio del Partito comunista cinese ha lasciato intendere di temere che eventuali sanzioni americane contro il Myanmar possano determinare un incremento dei prezzi. È quindi plausibile che il neo presidente americano Joe Biden (che ha effettivamente minacciato sanzioni quattro giorni fa) possa considerare la questione birmana anche sotto il profilo delle terre rare, soprattutto se l'intenzione dovesse essere quella di mettere indirettamente i bastoni tra le ruote a Pechino. Il tema è d'altronde molto sentito dalle parti di Washington. A settembre, l'allora inquilino della Casa Bianca, Donald Trump, aveva siglato un ordine esecutivo per ridurre la dipendenza americana sulla questione delle terre rare, riprendendo una linea che era stata avanzata pochi mesi prima dal Pentagono sul piano della produzione militare.Del resto, che la Cina stia cercando di fare incetta di terre rare non è certo una novità. Così come non stupiscono i sospetti sulle sue attività politiche in tal senso. Pechino ebbe infatti un ruolo piuttosto ambiguo anche in occasione del golpe, verificatosi in Zimbabwe nel 2017: non solo per la forte influenza economica sul quel Paese, ma anche perché - come sottolineato all'epoca da Cnn e Cnbc - il generale Constantino Chiwenga si era recato proprio a Pechino pochi giorni prima di mettere in atto il colpo di Stato volto alla deposizione dell'allora presidente Robert Mugabe. Sarà un caso ma, neanche due anni dopo, si è scoperto che lo Zimbabwe possegga ingenti riserve di terre rare. Era sempre il 2019 quando invece il China Nonferrous Metal Mining Group firmò un memorandum per entrare in un progetto legato alle terre rare in Madagascar (Paese che si colloca al settimo posto per la produzione di tali elementi). L'Africa, agli occhi di Pechino, è quindi appetibile anche per questo.
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