2022-02-27
La crisi energetica è stata innescata dai quattro errori fatti da Bruxelles
Pesa un mix di più fattori: lo stop all’Eastmed, il Green deal, l’addio ai contratti a lungo termine e l’asse Mosca-Berlino.Il confronto bellico che si sta sviluppando in Ucraina viene ad aggiungere il proprio carico alla drammatica crisi energetica già in atto da tempo in Europa. Una crisi indotta dall’impetuosa ripresa economica cinese seguita alla fine dei lockdown mondiali e peggiorata da una serie incredibile di errori compiuti dalle istituzioni europee.Tante sono state le cantonate prese dall’Unione europea e dalla Commissione che la guida. Cominciamo da quella che ora appare come la più evidente: aver considerato l’approvvigionamento del gas una mera questione di mercato e non invece, come adesso è chiaro a tutti, un tema di sicurezza strategica. In un quadro geopolitico in grande trasformazione, l’aver confidato nel puro mercato perché fossero garantiti i flussi di una materia prima tanto importante si è rivelata una scelta suicida. Il mercato, era l’erroneo ragionamento di fondo, fornirà sempre i volumi necessari. Il fatto che l’Unione europea sia un ricco cliente per i produttori di gas può anche essere un’ottima cosa per le tasche di qualcuno, ma costituisce una debolezza strategica nel momento in cui il 40% del fabbisogno viene fornito da un unico soggetto. C’è da sperare che la vicenda abbia insegnato che, almeno in certi settori, la mano del mercato è invisibile perché non esiste.Venerdì in Parlamento Mario Draghi ha parlato di imprudenza, riferendosi al fatto di «non aver diversificato maggiormente le nostre fonti di energia e i nostri fornitori negli ultimi decenni». Più che imprudenza, si è trattato di una scelta ben precisa. Ne è una dimostrazione, tra le tante, l’abbandono de facto del progetto Eastmed, che potrebbe portare in Italia fino a 12 miliardi di metri cubi di gas all’anno dai ricchissimi giacimenti nell’ampio tratto di mare tra Cipro, Libano, Israele ed Egitto. Pur avendola inserita nella lista dei progetti prioritari europei pubblicata a novembre 2021, in realtà l’Unione europea non ha intenzione di procedere con l’iniziativa per il timore di irritare la Turchia, che ne sarebbe esclusa, e anche perché dopo il lancio del programma Fit for 55 non c’è interesse a sviluppare progetti a lungo termine negli idrocarburi. Proprio questo è il secondo, grave errore commesso da Bruxelles: il lancio del Green deal, cioè di un cambio di paradigma tecnologico e geopolitico epocale, senza la minima preparazione, senza attenzione alle conseguenze, alle palesi criticità emergenti e senza un serio esame costi-benefici. L’accelerazione imposta al Green deal dalla Commissione con il Programma Fit for 55, poi, arrivò l’anno scorso nel pieno di una crisi economica senza precedenti. Sarà un caso, ma gli aumenti straordinari dei prezzi dell’energia cominciarono a verificarsi poco dopo la presentazione di Fit for 55, avvenuta il 14 luglio 2021. Come era logico attendersi, il solo annuncio del Green deal ha provocato una robusta frenata degli investimenti in idrocarburi, peraltro già in calo da anni, generando un ulteriore netto calo dell’offerta. In una Europa non ancora pronta a fare a meno di gas e petrolio, ecco che ora anche per l’Italia diventa urgente tornare addirittura al carbone, come ha annunciato lo stesso Draghi in Parlamento venerdì scorso. Il terzo errore europeo è stato quello di aver voluto sviluppare un hub europeo del gas su cui impiantare un sistema di prezzi a breve termine, slegati dalle consuete indicizzazioni ai prezzi del greggio. I contratti a lungo termine furono abbandonati tra il 2011 e il 2016 perché sembravano penalizzanti rispetto al mercato spot, allora poco sviluppato. Ora però siamo nella situazione opposta: il mercato spot, costituito anche da gas liquido che viaggia sulle navi da un capo all’altro del mondo, è altamente volatile e imprevedibile. È stata sufficiente una crescita della domanda asiatica per scatenare un rialzo dei prezzi in Europa che ancora non si è concluso. Quarto e forse più grave errore commesso da Bruxelles, collegato al quadro geopolitico, è aver consentito alla Germania di condurre una propria politica estera fatta di costante e progressivo avvicinamento alla Russia, in netto contrasto con le indicazioni della politica estera atlantista. È chiaro che, essendo la Germania il vero dominus delle istituzioni europee, nessuno a Bruxelles ha mai avuto l’intenzione o la possibilità di opporsi a questa deriva. Utilizziamo le parole di Helmut Schmidt pronunciate nel 1978 in un incontro con il consiglio della Bundesbank (il cui verbale è rimasto segreto sino al 2008) per chiarire questo punto. L’allora cancelliere della Repubblica federale tedesca dichiara in quella sede la necessità della copertura comunitaria per affermare la politica estera tedesca: «È necessario che ci rivestiamo di questo mantello europeo. Ne abbiamo bisogno […] per coprire questa crescente forza relativa - economica, politica, militare - della Germania in Occidente. Più essa diventa visibile, più difficile è assicurarci un margine di manovra». Le cose non sono cambiate granché, da quel giorno, anzi. La Germania unificata ha proseguito in questo progressivo scivolamento a Est sotto la bandiera blu stellata, provocando infine una fessura nel fronte atlantista che il Cremlino, cui la sagacia tattica non è mai mancata, oggi può sfruttare.
Marta Cartabia (Imagoeconomica)