2021-03-10
La Consulta sdogana i «figli arcobaleno»
La Corte costituzionale rende note le motivazioni delle sentenze in cui respinge le richieste di due coppie gay. Per l'ennesima volta, però, torna a chiedere alla politica di approvare una norma che apra, nei fatti, a fecondazione eterologa e utero in affitto.Ogni volta che la Corte costituzionale interviene, la pressione sul Parlamento aumenta. E si tratta di una forza che spinge in una direzione molto precisa: lo sdoganamento definitivo dei «figli arcobaleno», dell'utero in affitto e della fecondazione eterologa per le coppie omosessuali. Ieri sono state pubblicate le motivazioni di due sentenze che la Consulta aveva emesso nei mesi scorsi in merito ai casi di due coppie omogenitoriali, una maschile e una femminile. Ebbene, per due volte i giudici supremi - pur respingendo le richieste dei ricorrenti - ribadiscono con decisione che bisogna quanto prima produrre una legge a tutela degli interessi dei minori coinvolti, e che regolamenti una volta per tutte l'intricata questione dei bambini delle coppie omo. La vicenda della due donne colpisce particolarmente. Parliamo di una coppia lesbica che ha deciso di avere un figlio all'estero, utilizzando appunto la fecondazione eterologa, a cui in Italia la minoranza Lgbt non può accedere. Dopo la nascita del bambino, il rapporto tra le due donne «è diventato conflittuale» e la madre biologica rifiuta di coinvolgere l'ex compagna nell'educazione del piccolo. È facile comprendere quanto sia spinosa la situazione. Abbiamo una donna che può rivendicare la maternità biologica del bambino, e un'altra che non ha alcun legame con lui. Il buonsenso vorrebbe che quest'ultima non fosse considerata «madre». Eppure, come noto, da qualche tempo è passato il concetto che basti «il desiderio», cioè la «condivisione del progetto di maternità» per pretendere di essere riconosciute come mamme a tutti gli effetti. Ci sarebbero, dunque, una «madre biologica» e una «madre intenzionale». Di fronte a questo quadro, la Consulta insiste che si trovi una soluzione in Parlamento. E lo fa con tono piuttosto duro: «Il grave vuoto di tutela dell'interesse del minore, nato da fecondazione eterologa praticata all'estero da due donne il cui rapporto, dopo anni, è diventato conflittuale», scrive, «non sarà più tollerabile se si protrarrà l'inerzia del legislatore». Ma certo: una coppia pretende di infischiarsene della biologia, insiste per avere figli grazie alla tecnologia, poi comincia a litigare per la gestione del figlio. Ma è colpa dei parlamentari ostinati se non si tutela «l'interesse del minore». Verrebbe da dire che, forse, si dovrebbero evitare pratiche vietate dalla legge e, soprattutto, si dovrebbe smettere di far prevalere su tutto il desiderio sfrenato. A quanto pare, tale ipotesi non è contemplata. La storia della coppia di uomini, invece, è leggermente diversa. Riguarda, spiega la Consulta, «un bambino nato nel 2015 in Canada da una donna nel cui utero era stato impiantato un embrione formato con i gameti di una donatrice anonima e di un uomo di cittadinanza italiana. Quest'ultimo si era sposato in Canada - con atto trascritto in Italia nel registro delle unioni civili - con un altro uomo, anch'esso cittadino italiano, con il quale aveva condiviso il progetto genitoriale. In forza di una sentenza canadese, il bambino era stato quindi iscritto come figlio di entrambi gli uomini nel registro locale dello stato civile. I due uomini chiedono ora il riconoscimento dell'efficacia di tale sentenza nel nostro ordinamento». In questo caso, nella nascita del bambino sono coinvolte ben quattro persone. La donatrice anonima, la madre surrogata e i «due padri». Secondo la Corte, qui l'interesse del minore sarebbe quello di «ottenere un riconoscimento anche giuridico dei legami che nella realtà fattuale già lo uniscono a entrambi i componenti della coppia, ovviamente senza che ciò abbia implicazioni quanto agli eventuali rapporti giuridici tra il bambino e la madre surrogata». Chiaro, no? Aspettare non si può più: bisogna riconoscere che entrambi sono «padri» del piccolo. Basta leggere le frasi messe per iscritto dai giudici della Consulta per capire che il loro pressante invito a legiferare non è neutro. Nel caso delle due donne, la Corte suggerisce alcune soluzioni, «dalla riscrittura delle previsioni sullo status filiationis, a una nuova tipologia di adozione che garantisca tempestivamente la pienezza dei diritti dei nati». Per i due uomini, invece, «occorrerà assicurare la tutela degli interessi del bambino al riconoscimento del suo rapporto giuridico anche con il genitore “intenzionale", “attraverso un procedimento di adozione effettivo e celere, che riconosca la pienezza del legame di filiazione tra adottante e adottato, allorché ne sia stata accertata in concreto la corrispondenza agli interessi del bambino». Se le indicazioni della Consulta non puntassero in una direzione già prestabilita, e gradita al mondo Lgbt, si potrebbe dire che la soluzione al problema dei figli arcobaleno esiste già. Riguarda in particolare le coppie di maschi, ma sarebbe semplicissimo estenderlo alle donne. Basterebbe approvare la proposta di legge di Fratelli d'Italia per rendere l'utero in affitto reato universale (l'iter in Commissione giustizia alla Camera è partito a settembre). Il problema, infatti, è che le coppie gay continuano ad aggirare la legge. Vanno all'estero e si sottopongono a pratiche che qui sono vietate, poi tornano e pretendono la legittimazione dello Stato. Questi trucchetti sulla pelle dei bambini devono finire. Ha detto bene ieri Giorgia Meloni: «La maternità surrogata è una pratica che deve essere punibile non solo in Italia ma anche se commessa all'estero. I bambini non sono prodotti da banco, e non si comprano». Si vuole davvero tutelare il maggior interesse dei bambini? Bene, si approvi la legge che vieta pratiche ritenute dalla stessa Consulta altamente lesive della dignità umana. Chi rifiuterà di sostenerla dimostrerà di non essere veramente contrario all'utero in affitto, e di non essere realmente interessato alla sorte dei bambini.