2022-08-06
La Cina tiene alta la tensione su Taipei mentre il Vaticano sorvola sulla crisi
Proseguono le incursioni del Dragone. Ma la Santa sede, che mantiene relazioni ufficiali con Taiwan, è silente. L’imbarazzo è legato al controverso accordo con Pechino del 2018, che il Papa è intenzionato a rinnovare.Mentre si aggrava la crisi di Taiwan, è significativo il silenzio del Vaticano sulla questione. Almeno fino a ieri sera, non risultavano eclatanti prese di posizione da parte della Santa sede. Un fattore che fa riflettere sotto almeno due punti di vista. Innanzitutto la crisi in corso è gravissima. Pechino non aveva mai condotto esercitazioni militari così ampie nell’area, mentre 68 caccia e 13 navi da guerra cinesi hanno attraversato ieri la linea mediana dello Stretto: una serie di manovre che, oltre al blocco dell’isola, non rende improbabile l’eventualità di un’invasione. Va inoltre ricordato che la Santa sede è uno dei 14 Stati che intrattengono relazioni diplomatiche con Taipei: un fattore, questo, che rende ancor più strana la sua ritrosia a intervenire. La risposta a questa apparente anomalia è probabilmente legata al controverso accordo tra Vaticano e Cina che, siglato originariamente nel settembre 2018, è stato rinnovato a ottobre 2020. Un’intesa che Papa Francesco ha detto di essere intenzionato a rilanciare il prossimo autunno. «Mi auguro che a ottobre si possa rinnovare», dichiarò a luglio in un’intervista a Reuters. Ricordiamo che il principale promotore dell’accordo è il segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin. Un accordo, tra l’altro, fortemente caldeggiato da vari ambienti legati al cattolicesimo progressista: dalla Compagnia di Gesù alla Comunità di Sant’Egidio. E proprio dalle parti di Sant’Egidio si è levata una voce su quanto sta accadendo a Taiwan. L’altro ieri, Agostino Giovagnoli - esponente della Comunità e componente del comitato scientifico dell’Istituto Confucio dell’Università cattolica di Milano - ha pubblicato un editoriale su Avvenire piuttosto morbido nei confronti della Cina. «Continuare a riconoscere il principio della sovranità cinese su Taiwan è [...] ancora il modo migliore per evitare che Pechino senta il bisogno di affermarla nei fatti con un’azione militare. E anche per fare i veri interessi degli abitanti di Taiwan che si sono così tenuti finora un sistema politico a loro più gradito», scrive Giovagnoli, criticando la visita di Nancy Pelosi sull’isola. Ora, in questo editoriale si scorgono due problemi. In primis, si omette di ricordare che la Santa sede intrattiene relazioni diplomatiche con Taipei. In secondo luogo, la questione della cosiddetta «sovranità cinese su Taiwan» è abbastanza scivolosa. Primo: come sottolineato dalla Hoover Institution e dal Wall Street Journal, la risoluzione Onu del 1971 che conferiva alla Repubblica popolare il seggio al Consiglio di sicurezza non stabilisce che Taiwan sia sottoposta all’autorità di Pechino. Secondo: Taipei non ha mai riconosciuto né è mai stata sotto il controllo della Repubblica popolare istituita da Mao nel 1949. Terzo: gli Usa, che pur sposano la politica dell’unica Cina, hanno rafforzato di recente i loro legami con l’isola attraverso due leggi firmate da Donald Trump (il Taiwan Travel Act del 2018 e il Taipei Act del 2020). Ricordiamo che Giovagnoli è un noto fautore dell’intesa tra Vaticano e Repubblica popolare. Nel 2019, curò anche il libro L’accordo fra la Santa Sede e la Cina. I cattolici cinesi tra passato e futuro: volume alla cui presentazione romana presenziarono, tra gli altri, il fondatore di Sant’Egidio Andrea Riccardi e l’ex premier Romano Prodi (due altri grandi sostenitori del «dialogo» con la Cina). Insomma, vista la riluttanza della Santa sede a intervenire sulla crisi taiwanese, parrebbe che nei sacri palazzi si voglia tutelare l’intesa sino-vaticana da eventuali scossoni. E questo nonostante si tratti di un’intesa controversa. In primis, non ha migliorato le condizioni dei cattolici in Cina: come sottolineato dalla Catholic News Agency e dal cardinal Joseph Zen, le pressioni dell’Associazione patriottica cattolica cinese proseguono, mentre sacerdoti e vescovi non allineati al Partito comunista continuano a essere arrestati. In secondo luogo, questo accordo ha creato significativo attrito tra la Santa sede e Washington, come dimostrato dai rapporti tesi tra Parolin e l’allora segretario di Stato americano Mike Pompeo nel 2020. Nonostante il Vaticano rimarchi la natura pastorale dell’intesa, Washington teme che - grazie ad essa - Pechino possa rafforzare la propria immagine internazionale e spingere i Paesi latinoamericani che riconoscono attualmente Taiwan a rompere le relazioni con l’isola. L’aspetto paradossale è che la crisi taiwanese che imbarazza i fautori dell’accordo sino-vaticano è stata innescata da quella stessa Pelosi che, recatasi a Roma lo scorso giugno, era stata ricevuta calorosamente dal Papa, per poi visitare la Comunità di Sant’Egidio. D’altronde, Oltretevere si sperava che, con una vittoria dei democratici alle elezioni presidenziali e parlamentari americane del 2020, la linea di Washington verso Pechino si sarebbe ammorbidita rispetto ai tempi di Trump. Un ragionamento che non ha tenuto tuttavia in debito conto le diverse correnti di pensiero sulla Cina in seno all’Asinello. Il Partito comunista cinese viola sistematicamente la libertà religiosa. La crisi di Taiwan può essere l’occasione per la Santa sede di far sentire finalmente forte e chiaro la sua voce. Lo faccia, prima che la situazione peggiori ulteriormente.