2019-04-22
La censura di Bruxelles con la scusa dei terroristi sul Web
La prossima settimana Strasburgo voterà un regolamento da stato d'emergenza che consentirà il controllo del dissenso. Sanzioni spropositate per le grandi piattaforme che non elimineranno i contenuti «scomodi».La Commissione per le libertà civili del Parlamento europeo ha approvato un progetto di regolamento, codice «Com 2018 640 final», con l'obbiettivo dichiarato di contrastare la pubblicazione online di contenuti terroristici. La notizia ha suscitato scarso clamore, per usare un eufemismo, ed è strano perché ha a che fare con la libertà di espressione, di parola e di stampa (e quindi, con la censura). Le nuove norme saranno votate dall'assemblea plenaria di Strasburgo nella settimana entrante. Quella che si profila - sotto le mentite spoglie di una contromisura alla propaganda delle forze del male - è l'istituzionalizzazione, sul piano legale, di un impeccabile sistema di censura, anche preventiva. Il che solleva tutta una serie di questioni, soprattutto giuridiche, da non sottovalutare. In primis, quella su una normativa da stato di emergenza, sul terrorismo, in assenza di un'emergenza terrorismo. Solo qualche giorno fa, l'Economist ha dedicato un pezzo alla sostanziale scomparsa del fenomeno nel vecchio continente e alla drastica diminuzione degli attacchi e delle vittime jihadiste in Europa nell'ultimo quinquennio. Quindi, è facile intravedere nel regolamento un secondo fine che non pertiene agli attentati, ma al controllo del dissenso. Il sospetto è confermato dalla lettura del testo connotato, come tutte le norme comunitarie, da una verbosa e burocratica prolissità. E ciò in barba alla cifra costitutiva di ogni decente legislazione penale: la dettagliatissima specificità della regola, finalizzata ad evitare abusi ed arbitrii. Ma anche a dispetto del requisito caratteristico di qualsiasi legge ben fatta: quello compendiato nella famosa massima di Demostene secondo cui la norma deve essere scritta «in modo semplice e a tutti comprensibile, e non letta da uno in un senso e da uno in un altro senso». C'è poi l'entità spropositata delle sanzioni pensate per i vari Google & company, in mancanza di un loro sollecito adeguamento. La multa, secondo l'articolo 18 comma 4, può arrivare fino al quattro per cento del fatturato annuale (quindi, cifre monstre). È del tutto ovvio che, di fronte alla prospettiva di dover pagare somme così ingenti, i responsabili delle grandi piattaforme, per non saper né leggere né scrivere, provvederanno a rimuovere senza indugio i contenuti incriminati. Anche, magari, di fronte a un semplice articolo di cronaca, o di critica, o di satira il quale contenga riferimenti ambigui, o addirittura solo presunti, al fenomeno terroristico. E qui arriva il secondo enorme baco, sul piano giuridico. Posto che i giganti digitali si tutelano da sé e hanno molto più a cuore la loro libertà di far quattrini che non la libertà di parola dei rispettivi utenti, chi tutela questi ultimi? A sentire le autorità europee non ci sarebbe alcun problema giacché, nell'articolo 6, è scritto che le misure di rimozione devono «tener conto dei diritti fondamentali degli utenti e della fondamentale importanza della libertà di espressione e informazione in una società aperta e democratica». E sapete chi dovrebbe tutelare i sacri valori? Secondo l'articolo 10, non un magistrato, ma gli stessi gestori delle piattaforme online i quali appronteranno, a buon pro del soggetto censurato, «efficaci» meccanismi di reclamo. Con tanti saluti al diritto di poter far valere le proprie ragioni davanti a un giudice terzo. Un effetto collaterale del terrorismo applicato alla libertà, diciamo. Ma non è finita qui. L'articolo 5 prevede, accanto agli «ordini di rimozione», i «deferimenti», che sarebbero poi degli allarmi soft, per così dire, inviati al provider in ipotesi di fatti non abbastanza gravi da meritare la censura oraria. In tal caso, il provider potrà anche rifiutarsi di obbedire, ma a suo rischio. Nel dubbio, l'articolo 6 gli viene in soccorso consigliandogli, «ove opportuno», di dotarsi di «strumenti automatizzati» per «rimuovere e disabilitare il contenuto terroristico». Il che significa il rischio concretissimo di incappare nella ghigliottina propedeutica di sofisticati algoritmi i quali cancelleranno le voci «sospette» in base all'insindacabile filtro di una macchina. Filtro inevitabilmente severissimo e tarato sulla priorità di salvaguardare le casse delle big corporation, mica le velleità del pensiero critico. Ma chi saranno gli zelanti custodi incaricati di difenderci dal Terrore? Ciascuno Stato designerà i propri, ci dice l'articolo 17, ma stando alle regole sulla giurisdizione dell'articolo 15 sarà competente lo Stato dove si trova non già chi ha veicolato il contenuto, bensì «lo stabilimento principale del fornitore di servizi di hosting». Potrebbe così accadere che un cittadino italiano sia «bannato» da un censore straniero. Senza contare i prevedibili sviluppi futuri di una simile filosofia: quanto potrà ulteriormente restringersi lo spazio del «dicibile» quando, accanto al terrorismo, dovessero essere inseriti anche altri peccati meritevoli di attenzione? Per esempio, l'odio o la discriminazione o qualsiasi altra vaghissima categoria invisa al politicamente corretto? Tuttavia, non disperiamo. Il regolamento in questione è palesemente incostituzionale e dovrà quindi passare al vaglio della nostra Corte la quale, in ripetute occasioni (sentenze nr. 1146/1988, 284/2007 e 275/2016), ha statuito che neppure i regolamenti comunitari possono vulnerare i principi inviolabili e i diritti fondamentali della nostra Carta. Tra i quali rientra, en passant, la libertà di espressione garantita dall'articolo 21 laddove, al comma 1, si legge che «tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione» e che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Per chiudere, ricordiamoci che questa bella pensata non è del Parlamento europeo, ma della Commissione, un organo di ventisette «saggi» non eletti da nessuno che detiene, in Europa, il monopolio dell'iniziativa legislativa. Ma non preoccupiamoci. L'articolo 3.1 delle premesse al regolamento sul terrorismo ci informa che lorsignori hanno fatto un sondaggio. E il 90 per cento degli intervistati ha riferito di ritenere «importante limitare la diffusione di contenuti illegali online». Numero degli interpellati cui è stata sottoposta, per l'approvazione, questa perla di generico qualunquismo: 8.961. Un po' pochini, dite, per un territorio con 500 milioni di persone? Non sottilizziamo. È la democrazia ai tempi dell'Unione Europea, bellezza.
Thierry Sabine (primo da sinistra) e la Yamaha Ténéré alla Dakar 1985. La sua moto sarà tra quelle esposte a Eicma 2025 (Getty Images)
La Dakar sbarca a Milano. L’edizione numero 82 dell’esposizione internazionale delle due ruote, in programma dal 6 al 9 novembre a Fiera Milano Rho, ospiterà la mostra «Desert Queens», un percorso espositivo interamente dedicato alle moto e alle persone che hanno scritto la storia della leggendaria competizione rallystica.
La mostra «Desert Queens» sarà un tributo agli oltre quarant’anni di storia della Dakar, che gli organizzatori racconteranno attraverso l’esposizione di più di trenta moto, ma anche con memorabilia, foto e video. Ospitato nell’area esterna MotoLive di Eicma, il progetto non si limiterà all’esposizione dei veicoli più iconici, ma offrirà al pubblico anche esperienze interattive, come l’incontro diretto con i piloti e gli approfondimenti divulgativi su navigazione, sicurezza e l’evoluzione dell’equipaggiamento tecnico.
«Dopo il successo della mostra celebrativa organizzata l’anno scorso per il 110° anniversario del nostro evento espositivo – ha dichiarato Paolo Magri, ad di Eicma – abbiamo deciso di rendere ricorrente la realizzazione di un contenuto tematico attrattivo. E questo fa parte di una prospettiva strategica che configura il pieno passaggio di Eicma da fiera a evento espositivo ricco anche di iniziative speciali e contenuti extra. La scelta è caduta in modo naturale sulla Dakar, una gara unica al mondo che fa battere ancora forte il cuore degli appassionati. Grazie alla preziosa collaborazione con Aso (Amaury Sport Organisation organizzatore della Dakar e partner ufficiale dell’iniziativa, ndr.) la mostra «Desert Queens» assume un valore ancora più importante e sono certo che sarà una proposta molto apprezzata dal nostro pubblico, oltre a costituire un’ulteriore occasione di visibilità e comunicazione per l’industria motociclistica».
«Eicma - spiega David Castera, direttore della Dakar - non è solo una fiera ma anche un palcoscenico leggendario, un moderno campo base dove si riuniscono coloro che vivono il motociclismo come un'avventura. Qui, la storia della Dakar prende davvero vita: dalle prime tracce lasciate sulla sabbia dai pionieri agli incredibili risultati di oggi. È una vetrina di passioni, un luogo dove questa storia risuona, ma anche un punto d'incontro dove è possibile dialogare con una comunità di appassionati che vivono la Dakar come un viaggio epico. È con questo spirito che abbiamo scelto di sostenere il progetto «Desert Queens» e di contribuire pienamente alla narrazione della mostra. Partecipiamo condividendo immagini, ricordi ricchi di emozioni e persino oggetti iconici, tra cui la moto di Thierry Sabine, l'uomo che ha osato lanciare la Parigi-Dakar non solo come una gara, ma come un'avventura umana alla scala del deserto».
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