Le sanzioni non sono mai state abolite: solo sospese. Così il dicastero della Salute invia a una renitente un atto con cui, «in autotutela», annulla anche per il futuro qualunque richiesta di soldi. Dopo anni vince il buonsenso.
Lo Stato italiano prende finalmente atto che la furibonda stagione degli obblighi vaccinali contro il Covid-19 ha rappresentato qualcosa di molto vicino a una persecuzione illegittima e a un «abuso di potere». Una convinzione che già è condivisa da milioni di italiani, ma che da oggi ha il supporto - anzi, addirittura la «certificazione» - dello Stato medesimo.
Lo dimostra la vicenda che andiamo a raccontarvi, per certi versi surreale, ai limiti del grottesco, ma anche consolante giacché rappresenta una sorta di pubblica abiura rispetto a una delle tante, troppe, degenerazioni dell’assolutismo vaccinale (di Stato) dell’era pandemica.
Protagonista della storia è un avvocato padovano, Elisa Pavanello, la quale - alla pari di moltissimi altri connazionali - ricevette, nel marzo 2022, una lettera del ministero della Salute e dell’Agenzia della riscossione. Con la medesima la si rendeva edotta di essere destinataria di un procedimento sanzionatorio in quanto renitente alla leva della vaccinazione coatta (introdotta dal governo Draghi nei confronti dei soggetti over 50). Nella missiva, si contestava alla legale patavina il fatto di non aver iniziato il ciclo vaccinale alla data del primo febbraio 2022 e le si intimava di adempiere entro dieci giorni, dando altrimenti prova della sussistenza di un valido motivo che giustificasse l’inottemperanza alle prescrizioni di legge. L’avvocato rispondeva, nei termini previsti, con una articolata missiva con cui si protestava tutta una serie di violazioni e irregolarità della ingiunzione ricevuta.
Per tutta risposta, nel febbraio del 2023, il ministero della Salute e l’Agenzia della riscossione notificavano all’avvocato un avviso di addebito con il quale le irrogavano la sanzione amministrativa di 100 euro da pagare entro 60 giorni. L’avvocato proponeva ricorso avanti al giudice di Pace di Padova che, con sentenza del 13 luglio 2023, annullava l’avviso di addebito poiché, per effetto del dl 162 in vigore dal 31 dicembre 2022 - dalla stessa data e fino a giugno 2023 - dovevano intendersi sospese tutte le attività di irrogazione di sanzioni per soggetti inadempienti all’obbligo vaccinale. La sentenza, decorsi i termini per l’appello, passava in giudicato e, a questo punto, la diretta interessata pensava che la controversia potesse considerarsi conclusa. Ma invece non lo era del tutto perché la stessa riceveva, in data 18 settembre 2024, una comunicazione letteralmente (e per due volte) incredibile da parte del ministero della Salute.
Con tale informativa, il ministero comunica all’avvocato l’annullamento d’ufficio, in autotutela, dello stesso avviso di addebito che era già stato annullato, come visto, dal giudice di Pace. Il che già rappresenta un «non senso» sul piano giuridico. Ma veniamo alla motivazione del provvedimento ove si legge testualmente: «In seguito all’acquisizione di ulteriori informazioni da cui risulta insussistenza dell’inadempienza dell’obbligo vaccinale di cui all’art. 4 quater del decreto legge 44 del 2021, è disposto annullamento d’ufficio ai sensi di art. 21 nonies comma 1 della legge 241 del 1990». Ebbene, la norma da ultimo citata dal ministero è quella che consente alla pubblica amministrazione l’annullamento d’ufficio di atti viziati da violazione di legge o eccesso di potere. Ci troviamo, quindi, in presenza di una sostanziale ammissione (da parte dei vertici dello Stato) della illegittimità delle sanzioni. Infatti, il ministero non motiva l’annullamento facendo riferimento alla sentenza, ma alla «insussistenza dell’inadempienza dell’obbligo vaccinale».
Ma è un altro l’aspetto più succoso della vicenda che ci fa comprendere il peso e il valore specifico di un atto amministrativo che, in prima battuta, potrebbe sembrare inutile. Sempre nella missiva del 18 settembre 2024, si specifica pure che l’annullamento è dettato «in considerazione dell’interesse pubblico ad evitare un contenzioso e conseguente dispendio di risorse umane e finanziarie». Insomma, lo Stato non vuole buttare i soldi dei contribuenti in una battaglia persa. Tanto da aggiungere un solenne impegno: «Il procedimento sanzionatorio di cui trattasi non avrà alcun seguito e non sarà necessario, da parte dell’interessato, effettuare alcun pagamento».
A questo punto, bisogna guardare alle date: la sospensione del recupero delle sanzioni in questione risulta, ad oggi, prorogata fino al 31 dicembre 2024. Ergo, se non intervenisse la proroga di tale sospensione, in linea di principio nulla vieterebbe allo Stato di ricominciare, l’anno venturo, un’attività di recupero nei confronti della ricorrente (la quale si è vista annullare l’avviso di addebito solo perché la sanzione era, medio tempore, sospesa). E nulla impedirebbe di procedere con consimili attività nei confronti di cittadini che versino in una situazione analoga. Ma il ministero ha invece, e a tutti gli effetti, con la menzionata comunicazione, dichiarato di abdicare definitivamente a tale possibilità, quantomeno nei confronti della protagonista del caso in esame. Ci troviamo di fronte a un atto di resa dello Stato o, come minimo, di ammissione che gli obblighi di legge nei confronti degli over 50 sono, se non illegittimi tout court, quantomeno iniqui e destinati a sfociare in processi inutili e costosi per le casse pubbliche.
Possiamo concludere affermando che nel caso qui segnalato - ma ciò vale anche tutte le decine di migliaia di situazioni identiche pendenti in tutta Italia - lo Stato non solo non può (per il momento, in base a una sospensione ex lege), ma soprattutto non vuole procede a recupero coattivo. E ciò per quella ragione non solo di forma (giuridica), ma anche di sostanza (politica) che è stata denunciata innumerevoli volte su queste pagine ed è compendiabile in sette parole: violazione di legge ed eccesso di potere. Più precisamente: violazione di legge costituzionale e intollerabile abuso di potere sulla base di presupposti (anche scientifici) rivelatisi, come noto, inesistenti. Che ora la Repubblica, attraverso il suo ministero di riferimento per materia, lo abbia nesso nero su bianco, lascia ben sperare per il futuro.
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Nel 1975 usciva Sorvegliare e punire, libro cult dello scrittore e filosofo francese Michel Foucault in cui si indagavano le origini della società della «sorveglianza», dall’età dei lumi alla fine del Novecento.
Da allora, di acqua ne è passata sotto i ponti e la sorveglianza sulle nostre vite è diventata infinitamente più estesa ed intrusiva di quanto non avesse raccontato Foucault. Eppure, in un contesto siffatto - dove siamo scrutati e passati al setaccio in ogni minuto «pertugio» del nostro quotidiano - l’unico aspetto su cui il Sistema non sorveglia a dovere, o non sorveglia affatto, è quello delle reazioni avverse ai vaccini. In particolare, nel nostro Paese, stando agli ultimi dati (che l’Aifa si è appena degnata di aggiornare) si parla di appena 18 eventi gravi ogni 100.000 dosi, un dato di gran lunga inferiore a quello registrato in Germania o negli Usa.
Uno dei motivi, come noto, è il farraginoso meccanismo della cosiddetta sorveglianza «passiva». In Germania, invece, il ministero della Sanità ha dimostrato di voler fare sul serio invitando tutti i cittadini a denunciare le reazioni avverse usufruendo di un apposito link inoltrato via mail. Noi non siamo ancora giunti a tanto ma, se non altro, lo scorso 20 giugno è entrato a regime un sistema di segnalazione nuovo di zecca. L’Aifa, in una pagine del suo sito, lo descriveva con queste testuali parole : «Il 20 giugno 2022 entrerà in funzione la nuova Rete Nazionale di Farmacovigilanza (Rnf), che è il sistema con cui in Italia sono raccolte, gestite e analizzate le segnalazioni di sospette reazioni avverse a farmaci (Adr). La nuova Rnf sarà caratterizzata da funzioni avanzate per la gestione e l’analisi delle segnalazioni di sospette reazioni avverse in modo da garantire una sempre più accurata valutazione del profilo di sicurezza dei medicinali». Per trovare il minimo accenno alle reazioni avverse anche dei vaccini, è necessario aprire un’altra pagina, sempre di Aifa, sulla medesima iniziativa.
Certo, anche il vaccino è un farmaco, ma la pudica ritrosia, per così dire, anche solo a «nominare» il fatidico siero o addirittura a collegarlo, sia pure indirettamente, alla nozione di «avversità» fa un po’ specie. Tuttavia, dove non osano i ministeriali, a quanto pare osano le Ulss. In particolare, facciamo riferimento a una mail inviata il 27 di luglio dalla Ulss 6 del Veneto a tutti i propri dipendenti avente ad oggetto «Subject: segnalazione di sospetta reazione avversa a farmaci - segnalazione online - video-tutorial». Nel testo della mail - a differenza dell’asettico comunicato concepito dall’Aifa - si legge a chiare lettere la parola «vaccino».
Ecco il tenore letterale del messaggio: «Dal 20 giugno 2022 è entrata in funzione la nuova Rete Nazionale di Farmacovigilanza (Rnf), che è il sistema con cui sono raccolte, gestite e analizzate le segnalazioni di sospette reazioni avverse a farmaci. La nuova modalità di segnalazione online ha sostituito il portale «Vigifarmaco» non più attivo. Si ricorda l’importanza di segnalare tutte le sospette reazioni avverse da farmaci e vaccini; questo rappresenta un obbligo per tutti gli operatori sanitari. Per facilitare la segnalazione è stato predisposto il seguente video-tutorial (urly.it/3pm49) della durata di circa 10 minuti». Anche nel tutorial la parolina tabù è espressamente menzionata al minuto 5.19 laddove la voce fuori campo raccomanda: «Ricordiamo che è importante inserire il (numero del, ndr) lotto per vaccini e farmaci biologici». Tale metodo non può reputarsi un format di «vigilanza attiva» (perché è comunque rimesso alla iniziativa dei sanitari). Colpisce, però, il tono della mail accompagnatoria in cui, meritoriamente, si ricorda l’importanza di segnalare tutte le sospette reazioni avverse da farmaci e vaccini in quanto «questo rappresenta un obbligo per tutti gli operatori sanitari». Ma c’è di più: il programma di segnalazione reperibile al link di cui sopra può essere usufruito anche dai comuni cittadini.
Quindi, chiunque ne abbia necessità può guardarsi il breve e chiaro tutorial (per capire come fare) e poi procedere. Certo, una domanda sorge spontanea: perché tale solerzia solo ora? Ad ogni buon conto, la mail dell’Ulss di Padova può rappresentare il sospirato inizio di un approccio finalmente sensato, realistico e obbiettivo al tema degli effetti collaterali dei vaccini anti-Covid. Del resto, si tratta di un’operazione prettamente scientifica: quella di osservare e «vigilare».
Niente di straordinario, in un’epoca dedita a un unico culto (quello della «Scienza») e in cui impera una sola fede (quella «scientifica») garantita da una selezionata casta di sacerdoti (gli «scienziati»).
Sennonché, per «vigilare» non basta osservare; è necessario volerlo fare. Ci vorrebbe molta meno ideologia e un pizzico in più di cinismo come ci ricorda il saggio monito di Oscar Wilde: «Il cinismo è l’arte di vedere le cose come sono, non come dovrebbero essere».
- Una sentenza della Consulta ha smontato un articolo della legge 210/1992: per il diritto all'indennizzo basta la «raccomandazione». Proprio come sta avvenendo per il Covid.
- Dato che le richieste di risarcimento sono in crescita, il Pirellone istruisce i manager sanitari in attesa di indicazioni da Speranza. Il Codacons intanto soffia sul fuoco.
Lo speciale contiene due articoli.
Se il vaccino è così decisivo nella lotta al Covid-19, perché lo Stato non «prescrive» il vaccino obbligatorio? Secondo molti, la ragione è di natura economica: nel momento in cui si decidesse di imporre la vaccinazione, scatterebbe anche l'imperativo di tutelare gli eventuali danneggiati. Ciò è stabilito da una legge datata: la 210/1992, che prevede indennizzi a favore di quanti hanno riportato danni a seguito di vaccinazioni obbligatorie. Quindi, secondo questa chiave di lettura, il governo continua nella sua politica «persuasiva» per non dover pagare un prezzo troppo alto in ristori da immunizzazione. Ma è corretta questa lettura? O invece già ora, a prescindere dalla obbligatorietà del vaccino, lo Stato è tenuto a indennizzare chi riporta danni collaterali legati alla somministrazione?
Per tentare una risposta, è di straordinario interesse una recente sentenza con la quale la Corte costituzionale (118, 23 giugno 2020) ha dichiarato parzialmente illegittimo l'articolo 1, comma 1 della già citata legge 210/1992. Si tratta di una norma poco conosciuta perché smentisce la favola bella dei vaccini innocui per definizione: come noto, pressoché ogni farmaco può provocare reazioni avverse. Non a caso, il nostro Paese si è dotato di una disciplina giuridica a tutela delle vittime dei vaccini. E lo Stato ha continuato a erogare quattrini a favore degli sventurati incappati in problemi di varia natura. Ma perché la legge in questione è finita sotto la lente della Corte costituzionale? Tutto nasce dalla vicenda di una giovane pugliese che, da piccola, si era sottoposta per ben due volte (2003 e 2004) alla somministrazione di un vaccino contro l'epatite A: un rimedio «raccomandato» (quindi, non obbligatorio) dalla Regione ai ragazzi sotto i 12 anni. La sfortunata, a seguito della inoculazione, risultò affetta da lupus eritematoso sistemico. Si rivolse al tribunale che riconobbe un nesso di causa tra vaccinazione e successiva patologia e le attribuì il diritto all'indennizzo.
La decisione è stata confermata dalla Corte d'appello di Lecce, ma il ministero della Salute è ricorso in Cassazione per far annullare la pronuncia. Secondo il ministero, infatti, nessun ristoro doveva essere liquidato perché il vaccino non era obbligatorio ma solo raccomandato; e la legge 210 del 1992 riconosce il diritto solo a chi non ha potuto sottrarsi alla inoculazione perché «costretto» dallo Stato. La Cassazione ha sollevato un'eccezione di illegittimità della norma del 1992 e rimesso gli atti alla Corte costituzionale. Secondo la quale la legge 210 è contraria alla Carta laddove prevede il diritto all'indennizzo solo a beneficio di coloro i quali riportano pregiudizi a causa di un vaccino obbligatorio e non anche a favore di chi - a quel vaccino - si è sottoposto magari sulla base di una mera «raccomandazione» della pubblica autorità. La Consulta ha, come detto, dato ragione ai giudici del Palazzaccio, rilevando che, nel caso di specie, la cosiddetta «raccomandazione» fosse in realtà una «ampia e insistita campagna di informazione», per effetto della quale la giovane era stata convocata presso gli ambulatori dell'Asl mediante una missiva che presentava la vaccinazione «non tanto come prestazione raccomandata, ma quasi come se fosse stata obbligatoria».
In effetti, la differenza tra «obbligo» e «raccomandazione», nettissima in teoria, nella pratica medico sanitaria, è assai più sottile. Tradotto: se i danni sono provocati da un vaccino (imposto o raccomandato che sia) la cui somministrazione è giustificata da un interesse collettivo, allora la collettività stessa deve farsi carico delle lesioni causate ai singoli.
Appare evidente come questa pronuncia si applichi alla situazione odierna. L'introduzione del green pass è senza dubbio qualcosa di più di una forte «raccomandazione». Chi non si vaccina muore: quando lo dice un premier, cos'altro c'è da aggiungere? Ergo, i danni da vaccino anti Covid vanno indennizzati. Se ciò fosse chiaro a milioni di italiani vaccinati, e in particolare a migliaia di questi che abbiano hanno riportato conseguenze potenzialmente dovute alla puntura, le conseguenze in termini di costi per lo Stato sarebbero tutt'altro che irrilevanti. Soprattutto, molte più persone sarebbero incentivate a percorrere la strada del riconoscimento del nesso di causa tra il vaccino e i danni plausibilmente conseguenti. Adesso l'allarme è doppio. Infatti, la corsa - ovviamente giustificata dalla drammaticità della situazione dei mesi scorsi - verso soluzioni frenetiche e di fatto impositive, rischia seriamente di essere pagata non solo in termini di salute individuale (laddove fossero acclarati i nessi causali con le reazioni avverse), ma anche di finanza pubblica.
La Lombardia su tutela dalle denunce
Fioccano le richieste di indennizzo o risarcimento per eventi avversi causati dal vaccino anti Covid-19 e la Regione Lombardia detta ai suoi direttori generali delle aziende sanitarie territoriali (Asst e ast) la linea da tenere.
In questi giorni, mentre in piazza si protesta per il green pass che dal 6 agosto permetterà di partecipare a molte attività della vita sociale, alle Asst e Ats arriva una lettera dell'amministrazione guidata Attilio Fontana sulle «indicazioni per la gestione delle richieste di indennizzi/danni da vaccinazioni anti Sars-Cov-2». Potrebbe essere una conseguenza della battaglia sulla vaccinazione il cui obbligo non è dichiarato, ma in parte realizzato, attraverso il green pass, che diventerà necessario per poter partecipare a eventi, andare in piscina o al ristorante (al chiuso), oltre che per viaggiare e andare in vacanza. «Stanno giungendo con intensità crescente alle nostre aziende (come alle aziende sanitarie di tutto il territorio nazionale) richieste per indennizzo/risarcimento a seguito di somministrazione di vaccino», si legge nella lettera di Regione Lombardia. «Tali richieste, sostanzialmente tutte identiche, riferiscono il verificarsi di eventi successivi alla somministrazione del vaccino». La Regione Lombardia, in attesa che «il ministero fornisca opportune indicazioni in merito», nell'assicurare che «nessuna azione verrà intrapresa», informa che «le richieste di risarcimento per danno da somministrazione del vaccino dovranno essere comunicate dalle Asst/enti erogatori ai rispettivi assicuratori».
Particolari interessanti emergono dalla seconda pagina della lettera, che ricorda la normativa vigente sugli indennizzi e che prevede un riconoscimento economico a favore di chiunque abbia riportato «lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psicofisica», a seguito di vaccinazioni obbligatorie e per alcune «non obbligatorie». Attualmente l'obbligo della vaccinazione anti Sars-Cov-2 è solo per gli operatori sanitari (medici, farmacisti, infermieri operatori socio assistenziali). «In tutti gli altri casi», scrive la Regione, «si tratta di vaccinazione non obbligatoria (seppure fortemente raccomandata, offerta ai cittadini per classi di priorità come da Piano strategico nazionale dei vaccini)». Proprio su questo punto si apre una questione da dirimere e su cui il ministero non ha ancora detto nulla, anche se almeno da un mese è stata annunciata dall'associazione per i diritti dei consumatori, Codacons, la class action contro lo Stato per chiedere un risarcimento in favore degli under 60 vaccinati con Astrazeneca (circa 1,5 milioni di persone), costretti a cambiare la seconda dose con un altro preparato anti Covid. Secondo il presidente del Codacons, Carlo Rienzi, i cittadini che «si ritengono lesionati dalla comunicazione farraginosa e contraddittoria da parte delle istituzioni» possono chiedere «fino a 10.000 euro di risarcimento» per «il danno potenziale e per il rischio corso sul fronte sanitario, anche in assenza di danni effettivi alla salute». Per il Codacons circa 10.000 persone avrebbero già richiesto l'indennizzo. Se lo Stato dovesse risarcire tutti coloro che si sono angosciati per «la diffusione di informazioni contraddittorie e contrastanti» in questi mesi, come del resto riconosciuto in una sentenza per l'Ilva di Taranto, probabilmente le richieste di indennizzo potrebbero vedere un'impennata non indifferente. In ogni caso, soprattutto da quando è stato introdotto il green pass, il confine tra obbligo e raccomandazione è sempre più labile.




