2018-12-08
La Castelli e Toninelli negano l’evidenza ma l’ecobonus resta sempre una tassa
La misura prevede un incasso per lo Stato. Quindi è un'imposta, non un incentivo. Sarà bene dirlo ai 5 stelle: non funziona così. Le tasse si chiamano tasse, e non sono affatto «bellissime». Quanto ai contribuenti, si accorgono perfettamente di ciò che viene loro imposto, e non sono disponibili a essere trattati da ebeti.Peggio delle tasse, c'è solo la presa in giro sulle tasse: negare l'evidenza, chiamare le cose con un altro nome, pensare che i contribuenti, oltre a essere spremuti e torchiati, debbano anche essere irrisi e umiliati. Una specie di addizionale sadica, che presuppone un taxpayer masochista. Sarà bene dirlo ai 5 stelle: non funziona così. Le tasse si chiamano tasse, e non sono affatto «bellissime». Quanto ai contribuenti, si accorgono perfettamente di ciò che viene loro imposto, e non sono disponibili - meno che mai in tempi di Internet e di informazione totale e istantanea - a essere trattati da ebeti.Prima offesa all'intelligenza degli italiani (copyright: Luigi Di Maio, e a cascata una serie di esponenti M5s): «Non è una tassa, ma un incentivo». Cari ministri, viceministri, sottosegretari e parlamentari grillini: questa è una balla. Se una misura, un intervento, una previsione normativa, comporta un'entrata, cioè un esborso a carico del contribuente, allora si chiama «tassa». Se invece comporta un'uscita, cioè una spesa a carico dello Stato, allora si chiama «incentivo». Sarà bene evitare soprannomi, mascheramenti, trucchi e truccatori. Anche perché non ci casca nessuno. Secondo insulto al buon senso: ma come si fa a fingere che non si tratti di una tassa quando il quantum è addirittura valutato e valutabile ex ante, cioè subito? L'esborso infatti non dipende dal consumo, dal chilometraggio, da un comportamento successivo: è puramente e semplicemente legato a un certo tipo di acquisto. Potete anche ribattezzarla «Filippo» o «Danilo» (in onore dell'illustre ministro Toninelli), ma sempre di una tassa si tratta. Terzo assalto alla pazienza dei cittadini: far finta di non capire che ci sia un'evidente discriminazione. Se compro una Tesla, mi frego le mani, mentre se compro una Panda 1.200, vengo stangato. Quarto peccato (mortale) contro la mansuetudine del contribuente: incaricare l'ineffabile Laura Castelli di «spiegare». Ieri la malcapitata, interpellata sui 300 euro in più di costo di una Panda 1.200, ha soavemente risposto: «Comprino una Panda 1.000». Ora, a parte il fatto che la Panda 1.000 non esiste, a parte il feroce sarcasmo sui social network («E perché non due da 500?», si sono chiesti i più spiritosi), a parte l'inevitabile evocazione di pane e brioche, a parte tutto questo, c'è una soglia al di là della quale anche i più miti si inalberano. Gentile Castelli, gentile Toninelli, informarsi (e riflettere) prima di parlare non è solo utile: è indispensabile per evitare figuracce. Così com'è consigliabile abbandonare l'idea illiberale che il fisco sia una specie di «martello etico» da dare in testa a chi ha comportamenti «sgraditi» al governo pro tempore. In un sistema minimamente liberale, lo Stato può sensibilizzare, aprire un dibattito, rendere i cittadini più informati e consapevoli, ma non «punire» fiscalmente una parte della popolazione che ha opinioni od orientamenti diversi. Sarà bene impararlo e non dimenticarlo.