
Il vescovo di Macerata, Nazzareno Marconi, ha scritto al prefetto: «Rovina i cervelli e fa diventare tossici. Prendo posizione perché amo la gioventù».Nazzareno Marconi, vescovo di Macerata, lei ha coraggiosamente deciso di esprimersi su un tema caldo dell'attuale dibattito politico come la legalizzazione della cannabis, arrivando anche a prendere una posizione pubblica e a scrivere al questore di Macerata, Antonio Pignataro. Non ha paura di finire nel tritacarne delle strumentalizzazioni?«Io, come ho scritto al questore, ho troppo a cuore la difesa della vita e del futuro dei giovani, per farmi spaventare dall'accusa di fare con ciò propaganda politica. Ritenere questo delicato tema un discorso “di parte" è sbagliato. È un dovere di tutti approfondire seriamente la questione, e io sono convinto che chiunque lo facesse con onestà intellettuale non potrebbe mai arrivare a difendere la cannabis. Io questa materia la conosco molto bene per due ragioni. La prima è dovuta alla mia esperienza quarantennale di educatore di giovani. La seconda nasce dall'amicizia, lunga 15 anni, con i giovani ex tossici delle Case della Carità dell'Umbria».Cosa afferma il magistero della Chiesa sul tema della droga?«San Giovanni Paolo II aveva già chiaramente detto nel 1991 che “non si può parlare della libertà di drogarsi né del diritto alla droga", perché l'essere umano non ha il diritto di danneggiare sé stesso, e nel giugno 2014 papa Francesco si è espresso dicendo che “la droga non si vince con la droga! La droga è un male, e con il male non ci possono essere cedimenti o compromessi". Ha anche precisato che “le legalizzazioni delle cosiddette droghe leggere, anche parziali, oltre a essere quanto meno discutibili sul piano legislativo, non producono gli effetti che si erano prefisse"».È una questione di fede, di morale religiosa o ritiene che pure la scienza possa pronunciarsi in questo senso?«Le citazioni che si potrebbero fare a questo riguardo sono davvero molte. Mi limito a ricordare Roberto Colombo, docente di neurobiologia e genetica umana della facoltà di medicina e chirurgia dell'Università Cattolica a Roma, il quale ha chiarito che “nel caso dell'assunzione di cannabis, come di ogni altra sostanza stupefacente, non è questione di milligrammi o di concentrazioni, di parti anziché della dose intera. È in gioco l'intero della persona, dell'adulto come del giovane e dell'adolescente, la sua libertà in crescita, il suo cammino individuale e comunitario, il compito che esercita o che l'attende nella società"». Cosa risponde a chi sostiene che non è moderno e al passo con le idee della comunità internazionale proibire la cannabis? «Rispondo con le parole di uno scienziato come Silvio Garattini, presidente dell'Istituto farmacologico Mario Negri di Milano, il quale ha affermato che “ogni Stato decide per sé e se uno Stato legittima l'impiego di sostanze che danneggiano la salute dei suoi cittadini questo non significa affatto che tutti gli altri debbano seguirlo nel suo errore". Garattini, parlando da scienziato e avendo come unica preoccupazione quella della salute pubblica non ha avuto paura di pronunciare queste parole: “La verità scientifica ci dice che la cannabis è rischiosa e che causa danni, lo ripeto, soprattutto nei giovanissimi che ancora hanno un sistema cerebrale in via di sviluppo. In più sappiamo che l'uso di cannabis aumenta di molto la probabilità che si passi all'uso di droghe più pesanti"».In realtà di tratta di un aspetto della farmacologia che si dibatte da anni.«Sì, è vero, già nel 2001 Giovanni Battista Cassano, docente dell'Università di Pisa, denunciava che la marijuana agisce nelle stesse strutture del cervello interessate dalla cocaina e dalla morfina, e costituisce un gradino, sia per l'assunzione delle droghe “pesanti", sia come attivatore di patologie psichiatriche di tipo paranoide o crisi di depersonalizzazione».E tuttavia la disinvoltura di alcuni mezzi di comunicazione ha diffuso la convinzione della «canna» inoffensiva. «Purtroppo, è proprio così. Quante volte ci sentiamo dire l'abusata frase “fa più male l'alcol quando ci si sbronza", come se la questione fosse scegliere il meno dannoso di due veleni, dimenticando che entrambe le sostanze avvelenano l'esistenza umana».Macerata, che è una città universitaria, secondo lei è più a rischio da questo punto di vista?«Sì lo è. E proprio per questo tutti noi dobbiamo avvertire la responsabilità, non solo di comunicare nozioni, ma di educare un numero significativo dei giovani che saranno la futura classe dirigente del Centro Italia. Incentivare uno stile di vita che renda facile e normale per loro sbronzarsi ogni giovedì sera e affrontare la fatica delle tensioni e delle inevitabili prove della vita fuggendo nelle droghe più o meno velenose, è una responsabilità grave verso il loro futuro e quello del nostro Paese, di cui i maceratesi onesti non dovrebbero caricarsi».Cosa risponde a chi riduce la questione della cannabis alla dimensione quantitativa? È davvero un problema di percentuali e milligrammi? «Lo dico soprattutto alla luce della mia esperienza di educatore: la cosa più pericolosa, a prescindere dalla concentrazione della sostanza in milligrammi, è l'assunzione della mentalità del tossico. Un giovane che fugge dalla fatica del vivere, del mettersi in relazione con gli altri, del portare il suo pezzo di sofferenza, attraverso una qualsiasi sostanza per quanto sembri o anche sia innocua, si comporta da tossico e inizia una discesa pericolosa che può portare molto lontano nel male. Non è un caso che i tossicodipendenti inizino sempre con una canna. Dicono a San Patrignano che il 98% degli eroinomani e cocainomani hanno iniziato con la cannabis».Se volessimo utilizzare il metodo investigativo degli antichi romani, esperti di diritto, e porci quindi la domanda cui prodest?, a che conclusioni giungeremmo?«Chi ci guadagna e quanto guadagna dall'operazione commerciale della cosiddetta cannabis light? Se la cannabis “ricreativa" diventasse legale nei maggiori Paesi mondiali, chi controlla il mercato, secondo dati Onu, gestirebbe un affare da 500 miliardi di dollari. Sollecitato da un interessante riflessione di Pietro Saccò pubblicata da Avvenire, mi sono chiesto perché quando a spingere per la liberalizzazione della cannabis erano i piccoli partiti libertari o i movimenti della controcultura la battaglia non ha avuto esito positivo, mentre quando a mobilitarsi sono stati i fondi speculativi e la grande industria, l'efficacia della pressione liberalizzatrice è aumentata spaventosamente?».
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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