2024-06-17
«La cancel culture è stupida, perciò è destinata a esaurirsi»
Alessandro Piperno (Ansa)
Nel suo ultimo romanzo, lo scrittore Alessandro Piperno racconta di un professore vittima del politicamente corretto. «Oggi si dà troppa importanza alle emozioni, c’è una retorica dell’autenticità».Origini ebraiche da parte di padre, classe 1972, Alessandro Piperno insegna letteratura francese a Tor Vergata. È curatore della collana «I Meridiani» di Mondadori e con la casa editrice di Segrate ha da poco pubblicato Aria di famiglia, il secondo di una trilogia iniziata nel 2021 con Di chi è la colpa.Due romanzi distinti ma connessi: qual è il punto di unità?«Per dare un nome a questa trilogia sarei tentato di rubare a Herman Hesse il titolo di un suo libro, Le stagioni della vita. È questo il tema segreto che tiene assieme i tre libri. La narrativa che amo è inestricabilmente legata allo sfilacciarsi del tempo. In Di chi è la colpa ho provato a indagare le dolcezze dell’infanzia e i drammi dell’adolescenza. Ora mi sono concentrato sui dissesti della maturità e della vecchiaia». E ha già un titolo per il terzo?«Non ancora, lo sto scrivendo. Tornerò indietro di qualche decennio per occuparmi della giovinezza del professor Sacerdoti, protagonista di Aria di famiglia: le speranze, gli amori, e quello che nei romanzi ottocenteschi si sarebbe chiamato l’esordio in società. Non c’è modo migliore di gestire l’uscita di un nuovo libro che mettersi subito a scriverne un altro. Stavolta ne ho addirittura due, un libro e un saggio sull’arte di scrivere e che si intitolerà Ogni maledetta mattina. Non mi è mai capitato. Troppa grazia. Non è facile passare dall’uno all’altro ma ci provo».Ogni mattina: è la sua routine?«Già, ogni maledetta mattina. Quello è il segreto. Se riesci a scrivere un certo numero di righe al giorno, in un paio d’anni hai un libro. Sono un tipo abitudinario. Scrivo tutti i giorni, anche il sabato e la domenica. Mi alzo prestissimo, vado in studio e mi metto alla scrivania. L’università è un impegno borghese che svolgo con solerzia burocratica».Quel «maledetta» fa però pensare a un tormento. Lo è?«All’inizio sì, e non deve stupire. La scrittura è un esercizio che ti mette a contatto con ciò che non sai fare, e quindi con la tua inettitudine. Poi ho imparato a farci i conti e a divertirmi. Guai se non mi diverto. Quando ho le paturnie non ci provo nemmeno, a scrivere. Mi limito a rivedere quello che ho fatto nei giorni buoni. Insomma, non è sempre una luna di miele. Se è vero come diceva qualcuno che scrivere un romanzo significa risolvere problemi, uno alla volta, è chiaro che si tratta di un lavoro allo stesso tempo frustrante e eccitante».L’amore per gli autori francesi quando iniziò?«Sono un francesista sui generis. Da ragazzo avevo un debole per la storia dell’arte. Sono arrivato a laurearmi in letteratura francese perché desideravo a tutti i costi fare una tesi su Proust e l’ebraismo. È lui, Marcel Proust, il mio uomo all’Havana. Gli autori che amo sono poi quelli che danno conto delle Grandi Leggi che regolano l’esistenza di ciascuno di noi, e che lo fanno con stile: Montaigne, Baudelaire, Céline…».È Flaubert a mettere nei guai il protagonista del suo romanzo.«Il famoso epistolario di Flaubert, peraltro meraviglioso, è pieno di cose scorrette. Misoginia, nichilismo, furori anti-democratici. L’uomo non era dei più semplici e temperanti. Era un orso misantropo. Citare stralci delle sue lettere oggi può essere compromettente e pericoloso. Nel farlo il mio narratore si mostra parecchio incauto e ne paga lo scotto».Quando una studentessa gli presenta una tesi su «stereotipi e sessismo nelle canzoni di Lionel Richie» lui non si trattiene e le dice che allora tanto vale sbarazzarci di buona parte della poesia lirica occidentale.«Ho infilato nel romanzo una tesi su un cantante pop come Lionel Ritchie perché mi sembrava un ottimo modo per ironizzare sulla deriva grottesca presa dagli studi accademici negli ultimi anni».Sacerdoti viene allontanato dall’università, accusato di maschilismo. Ma sceglie di mettere da parte l’orgoglio e abbassare le penne.«Di fondo il professor Sacerdoti è un vigliacco, proprio come me. Non ha grandi principi da difendere, né ideali da divulgare, se non forse l’amore per la letteratura. È questa passione a rovinarlo, e anche una sinistra attitudine all’auto-distruzione».L’attacco verso di lui è violento, viene messo all’indice, insultato.«Chiunque è stato sottoposto a una gogna mediatica lo sa. Sa che non c’è modo di arginare la valanga di sterco che ti piove addosso. La cosa positiva è che alla lunga questa violenza inconsulta e insensata non lascia traccia».Eppure era un uomo che aveva scelto un cauto distacco anche dai sentimenti come modo di vivere.«Trovo che oggi venga data un’eccessiva importanza alla sfera emotiva. Nel romanzo metto in scena il dramma di un uomo a cui è stato insegnato che l’intelligenza impone un certo distacco dalle cose. Purtroppo per lui, ora gli tocca fare i conti con questa retorica dei sentimenti e dell’autenticità. Ne uscirà con le ossa rotte».Perché Sacerdoti non si difende, alla maniera del professore della Macchia umana di Roth, che subisce un episodio simile?«Lo straordinario Coleman Silk, proprio come molti altri personaggi rothiani dell’ultimo periodo, è un eroe shakespeariano. Per questo protesta la sua innocenza con vigore, s’infuria, lotta e solo alla fine soccombe. Il mio professore ha un temperamento diametralmente opposto. È un individuo ricurvo su sé stesso, un passivo aggressivo. Inoltre, non è così certo di essere dalla parte della ragione. Almeno in questo più simile a un personaggio di Kafka, in una parte di sé, ritiene di meritarsi ciò che gli capita».E la gogna del suo personaggio ha pure qualche analogia con la storia vera del professore della Statale Marco Bassani. Pubblicò una vignetta che ironizzava su Kamala Harris, ora si è dimesso denunciando il linciaggio mediatico.«Mi spiace, non conosco il caso Bassani nel dettaglio. Quello che posso dirle è che il numero di professori ordinari che scelgono la via del pre-pensionamento è allarmante. Io ne conosco almeno quattro. Dopo aver mollato sono rinati. L’idea che tanti docenti abbiano perso amore per l’insegnamento non mi sembra un bel segno e dovrebbe far riflettere le autorità accademiche».Cosa dovrebbe cambiare?«Tra regole cervellotiche, burocrazia vessatoria e stipendi inadeguati la vita di un professore è diventato un percorso a ostacoli. E da quel che mi dicono alcuni amici, nelle scuole superiori la situazione è persino peggiore».I professori devono anche stare attenti a quel che dicono?«Grazie al cielo almeno in questo l’Italia è un posto migliore rispetto agli Stati Uniti. Non siamo un Paese puritano. Ciò non di meno c’è una brutta aria. Un clima di costante intimidazione in cui non è facile vivere. Sembra quasi che la gente non veda l’ora di prenderti in fallo e di insultarti. Come diceva Philip Roth: “Siamo nati per essere insultati”».La cancel culture vorrebbe mettere all’indice alcuni autori.«Una moda fastidiosa e stupida, e in quanto tale è destinata a esaurirsi. Del resto, non è nemmeno una cosa così nuova. La Francia del secondo impero, l’Inghilterra vittoriana e la Russia zarista - per non dire di quella sovietica -, quelli sì che erano posti pericolosi per chiunque avesse voglia di esprimersi liberamente».Non è quindi preoccupato?«No. Sono certo che i nostri fortunati nipoti continueranno a leggere Omero, Erodoto e Catullo con buona pace di chi vuole epurarli dal Canone. In quanto ai classici francesi, non sono pochi quelli la cui ricezione risulta problematica: pensi a Sade o a Laclos. Dedicare loro un corso all’università può risultare più faticoso di una corsa ad ostacoli. Ma finché il mondo esisterà, continueranno a esistere anche persone disposte a leggerli».Il suo Sacerdoti dice di non fidarsi di alcun giudice.«Non allude a una categoria professionale naturalmente. Ma a chiunque si arroghi il diritto di giudicare un altro essere umano ex cathedra. Io stesso quando devo dare un voto a un esame mi sento in imbarazzo. Chi mi dà il diritto di giudicare? Non a caso nel precedente romanzo avevo scelto come esergo una frase di Tolstoj in cui mi identifico parecchio: “Dove si giudica non c’è giustizia”».Per il suo protagonista poi però le cose cambiano. «Credo che il vero twist del romanzo avvenga nel momento in cui entra in scena un bambino che modifica il destino del protagonista. Occuparsene non era certo nei piani del nostro solitario professore. Le sole cose di cui fino a quel momento si è preso cura sono i suoi libri. D’un tratto scopre le gioie e i tormenti dell’accudimento».E la coscienza del legame con il bambino avviene davanti alle immagini dell’irruzione di Hamas in territorio israeliano. Lei fa dire a Sacerdoti: «Noah era troppo piccolo per farsi un’idea precisa, io troppo grande per coltivare speranze». Anche Alessandro Piperno non ne coltiva?«Il 7 ottobre 2023 è stato uno dei peggiori traumi della mia vita. Ciò che è accaduto dopo non è stato meno spaventoso. Ho una avversione assoluta per Netanyahu e per la parte più oltranzista del suo governo. Insieme ad Hamas, che non vede l’ora di sacrificare i palestinesi più inermi sull’altare dell’integralismo islamista, li ritengo responsabili di ciò che sta avvenendo. Detesto i fondamentalisti di ogni confessione. Finché il pallino sarà nelle loro mani mi aspetto solo disastri. A questo sentimento di sgomento provo a opporre l’ottimismo della volontà, ma le assicuro che non è facile».
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