
Lettera di Francoforte a Roberto Gualtieri e ai presidenti delle Camere. Irritazione per non essere stati consultati. E si sottolineano i punti critici: ampie fasce della popolazione penalizzate e costi. I dubbi sul bonus Befana.«Frenare l'uso delle banconote significa solo colpire le classi meno abbienti e i più anziani». Chi lo ha scritto? Risposta 1: La Verità lo scorso 19 dicembre 2019. Risposta 2: la Bce in un parere non richiesto ma soprattutto non ascoltato inviato ad alcune delle più importanti cariche dello Stato.Risposta 3: entrambi.Per quanto incredibile possa sembrarvi, la risposta giusta è la numero 3. Ne siamo venuti a conoscenza ieri grazie al senatore della Lega Alberto Bagnai. La Banca centrale europea, addirittura tre giorni prima che Claudio Antonelli su queste colonne desse conto di quanto bolliva allora in pentola nella legge di bilancio, ha inviato una missiva indirizzata al titolare del Mef, Roberto Gualtieri (il cui account twitter denominato @guatierieurope è già di per sé tutto un programma), unitamente ai presidenti delle nostre due Camere: la senatrice Maria Elisabetta Alberti Casellati e il deputato Roberto Fico. Gli ampi passaggi resi noti evidenziano come la Bce chieda «di essere consultata in merito alla legge di prossima adozione […] che stabilisce una nuova soglia per i pagamenti in contati». Vabbè, penserete voi, Francoforte vorrà rincarare la dose, visto che dal prossimo 1° luglio 2020 il limite per i pagamenti cash scende a 2.000 euro dagli attuali 3.000, per poi ulteriormente abbassarsi a 1.000 euro dal 1° gennaio 2022. Già ci immaginiamo la Bce a spronare l'attuale esecutivo e le due Camere a far sì che questo limite possa essere ulteriormente abbassato in modo da rendere tutti - ma proprio tutti - i pagamenti tracciabili e visibili al Grande fratello fiscale. Neppure un caffè s'abbia a bere senza aver pagato con il bancomat. E invece la Bce, già indispettita per essere stata ignorata, se ne esce con la seguente argomentazione che vale la pena riportare testualmente «Mentre in uno Stato membro possono esistere in generale altri mezzi legali di estinzione dei debiti pecuniari diversi dai pagamenti in contanti, la loro disponibilità in tutti gli strati della società a costi comparabili con i pagamenti in contanti dovrebbe essere verificata con attenzione dalle autorità nazionali competenti. Questo perché tali altri mezzi possono avere caratteristiche diverse rispetto ai pagamenti in contanti e quindi possono non costituire delle alternative del tutto equivalenti». Che è praticamente un modo elegante per dire che ampie fasce della popolazione potrebbero non avere accesso a tali strumenti bancari di pagamento con ciò rischiando di precludere loro la possibilità di poter consumare i prodotti anche di prima necessità. È del resto quanto documentava Antonelli a proposito della Svezia, dove vi sono evidenti problemi di marginalizzazione degli over 75 e dei minori che sono tagliati fuori dai circuiti di pagamento. Vabbè, dirà il piddino di guardia. Bisogna combattere l'evasione fiscale e qualche morto e ferito qua e là va messo in conto. Brutalizziamo per farci capire, si intende. Peccato però che sia sempre la Bce a scrivere - sempre testualmente - «che si dovrebbe quindi dimostrare chiaramente che tali limitazioni permettano, di fatto, di conseguire la dichiarata finalità pubblica della lotta all'evasione fiscale». Ricapitoliamo. Da una parte abbiamo la Bce che ci scrive che «la possibilità di pagare in contanti rimane particolarmente importante per taluni gruppi sociali che per varie legittime ragioni preferiscono utilizzare il contante piuttosto che altri strumenti di pagamento. Il contante è anche generalmente apprezzato come strumento di pagamento in quanto, quale moneta legale, è ampiamente accettata, è rapida e agevola il controllo delle spese di chi paga». Un sistema, sempre usando le parole della Bce, che «non consente legalmente di imporre tariffe per il suo utilizzo». E lo fa addirittura stigmatizzando quanto fatto dalla Grecia e dalla Spagna che hanno abbassato la soglia per l'utilizzo del contante rispettivamente a 500 e 1.000 euro. Dall'altra parte abbiamo invece il nostro governo che giustifica questa scemenza con la scusa della lotta all'evasione e con in premio la caramellina del cashback. Da alcuni chiamato come bonus Befana. Il 6 gennaio 2021, ci hanno infatti ripetuto gli esponenti della maggioranza, i cittadini che avranno utilizzato nel corso del 2020 la carta di credito o il bancomat per effettuare gli acquisti potranno vedersi accreditati sul conto corrente una discreta somma come premio per l'utilizzo di questo strumento di pagamento che rende tutto tacciabile. Uno straordinario incentivo su cui il governo ha stanziato per il 2021 la somma di tre miliardi. Si è parlato di una cifra pari al 19% degli acquisti effettuati per chi paga con strumenti alternativi al contante. Insomma, per un premio del genere vale comunque la pena non interpellare e neppure ascoltare chi il contante lo stampa, e cioè la Bce. Sarebbe tutto bellissimo, non fosse che questo bonus Befana non è stato ancora approvato. O meglio, è stato approvato ma non è ancora di fatto operativo. Il rimborso in denaro avverrà infatti «alle condizioni e sulla base dei criteri individuati dal decreto del ministro dell'Economia e delle finanze di cui al comma 289». Stiamo parlando dell'articolo uno - e unico - della legge di bilancio che al comma 289 (degli 884 in cui si articola) ci dice che il cashback entrerà in vigore se e solo se il ministro Gualtieri emetterà il relativo decreto entro il 30 aprile 2020. Ma non è fantastico?
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





