2024-11-23
La Bce cura i suoi mali con i nostri risparmi
Christine Lagarde insiste: «La liquidità dei cittadini europei è concentrata nei depositi e non affluisce ai mercati in volumi sufficienti». Un tentativo di rilanciare l’Unione usando i capitali privati, ma senza rimediare ai danni del Green deal e delle altre politiche nocive.«I mercati dei capitali in Europa restano frammentati, ostacolando il convogliamento dei risparmi verso investimenti essenziali. Con il calo della posizione dell’Europa nell’innovazione e l’aumento delle tensioni geopolitiche, è più urgente che mai avanzare verso l’Unione dei mercati dei capitali». L’appello è stato rilanciato ieri dalla presidente della Bce, Christine Lagarde, nel suo intervento allo European banking congress a Francoforte. Facendo riferimento al suo intervento dello scorso anno, Lagarde ha sottolineato come nel frattempo «il divario tecnologico tra Stati Uniti ed Europa è ormai innegabile. Anche l’ambiente geopolitico è diventato meno favorevole, con crescenti minacce al libero scambio provenienti da ogni parte del mondo. Essendo l’economia più aperta tra le principali, la Ue è più esposta a queste tendenze rispetto ad altre». Il problema è che negli ultimi vent’anni in Europa abbiamo operato in modo sostanzialmente astratto e per certi versi non tenendo conto che l’Europa non è un sistema isolato ma un sistema aperto che interagisce con altri sistemi. Accorgersene adesso è tardivo. L’Unione dei mercati dei capitali, lo ha ammesso ieri la stessa Lagarde, non sta avanzando «perché non è definito in modo sufficientemente preciso e segue un approccio legislativo frammentato, con oltre 55 proposte normative e 50 iniziative non legislative dal 2015. Gli interessi consolidati si oppongono o indeboliscono ogni singolo provvedimento provocandone in ultima istanza il fallimento». Qualche mese fa l’ormai ex ministro dell’economia tedesco, Christian Lindner, aveva dichiarato caustico di essere «per un’unione dei mercati dei capitali non a più velocità, ma ad alta velocità, cioè andare avanti rapidamente con tutti i 27». Tutti per uno e uno per nessuno. La presidente della Bce è però convinta che il problema di fondo sia un altro, ovvero che «i risparmi europei non affluiscono ai mercati dei capitali in volumi sufficienti poiché sono concentrati in depositi a basso rendimento. Nel 2023, gli europei hanno risparmiato circa il 13% del loro reddito, rispetto all’8% negli Stati Uniti. Tuttavia, circa 11,5 trilioni di euro, pari a circa un terzo del totale delle attività finanziarie delle famiglie, sono detenuti in contanti e depositi. Una delle principali ragioni è che gli investimenti al dettaglio in Europa sono frammentati, opachi e costosi». Secondo l’analisi della Bce, «se le famiglie dell’Ue allineassero il rapporto tra depositi e attività finanziarie a quello delle famiglie statunitensi, uno stock fino a 8.000 miliardi di euro potrebbe essere reindirizzato verso investimenti a lungo termine basati sul mercato, ovvero un flusso di circa 350 miliardi di euro all’anno». Lagarde, in sostanza, riprende il filo gettato da Mario Draghi nel suo piano di 400 pagine per la competitività. Con il mantra del suo predecessore: bisogna usare i fondi privati. Senza una presa di coscienza necessaria: il primo nemico dell’Europa sono le politiche europee adottate sin qui. Che hanno ingolfato gli investimenti e il motore dello sviluppo economico europeo. La macchina non gira per colpa del Green deal (pensiamo all’impatto su un settore come quello dell’automotive), che anche la Bce ha sponsorizzato, e per la carenza di investimenti tecnologici almeno nell’ultimo decennio. Dai dati previsionali dell’indagine Pmi di novembre, l’attività dell’Eurozona è riscesa in contrazione per la seconda volta in tre mesi. I tassi di inflazione dei prezzi di acquisto e di vendita sono nel frattempo aumentati rispetto a ottobre. Con sullo sfondo il governo della Francia che si muove su un terreno instabile, la Germania alle prese con le elezioni anticipate e soprattutto una Commissione Ue spaccata, che non ha una maggioranza e che non è capace di decidere. La ricetta, intanto, sembra sempre la solita: l’Europa così com’è non funziona quindi ci vuole più Europa. Un’Europa da rilanciare anche con il ricorso soprattutto ai soldi dei privati e togliendo il potere di veto ai singoli Stati nelle decisioni dell’esecutivo di Bruxelles per accelerare le decisioni. Tutto questo con un piano consegnato nelle mani di Ursula von der Leyen, che negli ultimi anni ha contribuito a creare i problemi denunciati e cui sarà affidata la gestione degli investimenti necessari.Nel suo intervento di ieri, Lagarde è infine tornata ad auspicare la creazione di una «Sec europea, che potrebbe essere organizzata come una rete di uffici presenti negli Stati membri». In alternativa Lagarde immagina un 28esimo regime per gli emittenti di titoli che «beneficerebbero di un diritto societario e di una normativa sui titoli unificati, facilitando il collocamento, la detenzione e il regolamento transfrontalieri». Insomma, non basta Euronext, la super Borsa europea nata dalla fusione di sette listini tra cui Milano, Parigi e Amsterdam, perché le condizioni fiscali e burocratiche sono ancora diverse nelle singole piazze. La Ue non gode di quella unicità finanziaria che invece hanno Nyse e Nasdaq nel mercato borsistico Usa. Lì c’è una vera Borsa federata a prescindere dalle condizioni differenziate dei vari Stati. Anche in questo caso, però, si finge di ignorare il problema di fondo ovvero che da questa parte dell’Atlantico manca pure una vera unione fiscale.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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