2020-08-17
La battaglia di Tunisi (contro l’Italia)
Da Roma piovono ogni anno milioni di contributi, sussidi e aperture di mercato. Per tutta risposta, il governo nordafricano agevola gli sbarchi di migliaia di profughi e bombarda la nostra agricoltura con l'export di olio a prezzi stracciati.Bella riconoscenza, quella della Tunisia. L'Italia versa milioni di aiuti, l'Europa abbatte i dazi aprendo il mercato al Paese nordafricano in nome della cooperazione che dovrebbe migliorare le condizioni economiche dei Paesi extra Ue affacciati sul Mediterraneo, e quindi far regredire i fenomeni migratori. In cambio gli sbarchi in massa dalle coste tunisine continuano. Non solo. Le agevolazioni doganali per aiutare le economie cosiddette in via di sviluppo, oltre a rivelarsi inefficaci, si stanno trasformando in un boomerang. Forte di questi aiuti, la Tunisia (al pari della Turchia) può praticare una concorrenza selvaggia all'industria agricola europea e soprattutto italiana. È la guerra di Tunisi.I tunisini sono il gruppo più numeroso tra i migranti che stanno arrivando in Italia. Su oltre 15.300 persone sbarcate da gennaio al 13 agosto, 6.429 (il 42%) provengono dalla Tunisia. Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha minacciato di bloccare 6,5 milioni di euro di aiuti della cooperazione internazionale per indurre il Paese a collaborare per arginare i flussi migratori. Al momento non c'è stato un seguito ma la cifra indica l'entità dell'impegno italiano per sostenere l'economia di quel Paese. Un'azione più persuasiva, utilizzando la leva economica, la può fare l'Europa. L'occasione è fornita dal rinnovo degli Accordi di Cotonou, stipulati nel 2000 tra 79 Paesi dell'area Acp (Africa, Caraibi, Pacifico) e l'Unione europea. Sono scaduti quest'anno. Il trattato prevede l'apertura dei mercati Ue ai prodotti di Paesi in via di sviluppo, per lo più africani. Sul tavolo della trattativa si potrebbe mettere anche la questione dei migranti e rinnovare l'intesa solo con gli Stati che bloccano i flussi di clandestini e accettano il rimpatrio di quelli già arrivati da noi. Se, tra gli Stati partner dell'accordo di Cotonou, qualcuno dovesse rifiutare di accettare il rimpatrio dei connazionali emigrati illegalmente, l'Europa potrebbe sospendere assistenza e finanziamenti.È un'iniziativa che si collocherebbe nella stessa direzione della volontà di Di Maio di bloccare i 6,5 milioni di aiuti. Peraltro, la politica di sostegno all'economia dei Paesi dell'Africa mediterranea, in particolare all'agricoltura, si sta ritorcendo contro l'Europa e soprattutto contro l'Italia. Grazie a un accordo con l'Unione europea, la Tunisia dal 2005 può esportare in Europa fino a 56.700 tonnellate l'anno di olio d'oliva, senza dazi, che finiscono tutti in Italia. E non è finita qui. Nel 2016 l'Alto rappresentante per la politica estera della Ue, Federica Mogherini, impose, contro il parere della Commissione europea, l'arrivo supplementare di 70.000 tonnellate di olio di oliva tunisino sempre a dazio zero, per il 2016 e il 2017, perché, disse, bisognava rafforzare l'economia della Tunisia in difficoltà. Il tutto passò con il placet del Pd contro gli interessi dell'agricoltura italiana, condannata a pagare un caro prezzo. In Italia ci sono un milione di ettari di terreno coltivato a ulivo, siamo il secondo produttore mondiale di olio di oliva con 300.000 tonnellate l'anno e possiamo contare sul maggior numero di oli extravergine a denominazione in Europa (43 Dop e 4 Igp), con un patrimonio di 250 milioni di piante e 533 varietà di olive. Non si può dire lo stesso dell'olio tunisino. Secondo la Coldiretti, sono «produzioni di bassa qualità svendute a prezzi insostenibili e commercializzate dalle multinazionali sotto la copertura di marchi nazionali ceduti all'estero per dare una parvenza di italianità da sfruttare sui mercati». L'Italia è anche un grande consumatore. «Il mercato interno vale circa 550.000 tonnellate, avremmo quindi bisogno del doppio di quello che produciamo», afferma alla Verità David Granieri, vicepresidente di Coldiretti. «La Tunisia, proprio in virtù della politica di aiuti e dei dazi zero, inonda ogni anno l'Italia con 57.000 tonnellate di olio, pari a un terzo della produzione del nostro Paese, vendendolo a prezzi stracciati. In sostanza noi e l'Europa paghiamo questo Paese per farci concorrenza». Un litro di olio tunisino, grazie anche all'uso massiccio di manovalanza sottopagata e all'impiego di potenti antiparassitari vietati in Europa (due temi sui quali l'Europa chiude un occhio), ha un costo di produzione di 1,95 euro mentre quello della Puglia, che rappresenta il 50% dell'olio nazionale, è di 4 euro: più del doppio. «Siamo morti», dice amareggiato Granieri. E accusa: «L'Europa continua a fare una politica autolesionista. Ha costituito una agenzia internazionale, il Coi, con il compito di definire le regole del gioco per l'extravergine. Ma i parametri da rispettare sono talmente laschi che favoriscono la rincorsa dei prezzi al ribasso a danno della qualità. Inoltre, guarda il caso, il direttore esecutivo del Coi è un tunisino e la sede è a Madrid. La Spagna è il primo produttore. L'Italia è stata messa ai margini». Sull'olio si gioca anche una partita di geopolitica. «La Tunisia ha fatto un accordo con Marocco e Siria, una sorta di Lega araba dell'olio per dominare l'area del Mediterraneo in tandem con la Spagna. Vuole diventare il Paese leader del Maghreb», spiega Granieri. In questo scenario si è inserita la Turchia, che sta attuando una strategia molto aggressiva per conquistare fette di mercato. E siccome oltre il 90% della produzione mondiale di olio si realizza nell'area mediterranea, assumere qui una posizione dominante può diventare decisivo anche per altre partite, non ultima quella dei migranti. La prossima guerra, la madre di tutti i conflitti, sarà quella per il cibo.L'Italia sta subendo questi giochi. «C'è un accordo sotterraneo dell'Europa per svendere un pezzo dell'agroalimentare italiano», secondo Granieri. I trattati, a cominciare da quelli sulla cooperazione, marciano in questa direzione «favoriti dalle multinazionali del commercio e della distribuzione che hanno interesse a importare a prezzi più bassi possibile per realizzare margini superiori». Si spiega così anche la scarsa chiarezza delle etichette che impediscono al consumatore di individuare l'origine del prodotto. Alcuni Paesi africani hanno clonato le varietà di ulivo spagnole e italiane. La scarsa attenzione della nostra politica sta favorendo questo disegno. Nessuno si è ancora posto il problema di quanto ci costa l'inondazione di prodotti ortofrutticoli extra Ue a prezzi di concorrenza sleale. E intanto Tunisi continua a esportare in Italia olive e profughi.
Il ministro della Salute Orazio Schillaci (Imagoeconomica)
Orazio Schillaci e Giuseppe Valditate (Ansa)
Ecco #DimmiLaVerità del 5 settembre 2025. Il nostro Fabio Amendolara ci racconta il caso dei due turchi armati arrestati a Viterbo.