2020-02-01
La bastonata fiscale sulle partite Iva è un rebus di date e spacca i giallorossi
Secondo la Lega l'inasprimento dei vincoli sulla flat tax sotto i 65.000 euro dovrebbe slittare al 2021. M5s favorevoli, no del Pd.In economia le aspettative contano eccome. Quasi quanto i risultati a consuntivo. Tipo quelli comunicati ieri dall'Istat. L'economia italiana nell'ultimo trimestre dello scorso anno è diminuita dello 0,3% rispetto al precedente. Andando di questo passo sarebbe più del -1,2% annuo. Mai così male da sette anni a questa parte quando Mario Monti era ancora per poco insediato a Palazzo Chigi. L'incertezza o la mancanza di fiducia nel futuro legata, ad esempio, alla convinzione di non poter mantenere il posto del lavoro indurrà il consumatore a rimandare se non accantonare spese importanti quali, ad esempio, l'acquisto di un'autovettura. Qualora il pessimismo sia generalizzato i tanti comportamenti sommati l'uno all'altro diventeranno più letali di un coronavirus inducendo l'economia nel complesso a rallentare se non a contrarsi. Quelle che i sociologi chiamano profezie che si autoavverano. Se in tanti pensiamo che una cosa accadrà ci comporteremo in maniera tale che il risultato delle nostre azioni sarà ciò proprio ciò che noi temiamo o speriamo. E in una situazione di pesante incertezza vivono oggi oltre trecentomila contribuenti che non sanno quante tasse pagheranno nel 2020.La legge di bilancio ha infatti introdotto rilevanti modifiche - ovviamente in senso peggiorativo - in regime di fiscalità agevolata per le partite Iva. La tassa unica (cosiddetta flat tax al 15%) rimane formalmente in vigore per tutti quei professionisti il cui fatturato non superi i 65.000 euro. Ma i vincoli introdotti rischieranno di ridurre di quasi un quarto la platea dei beneficiari il cui numero rischia di scendere da 1,4 milioni a poco meno di 1,1 milioni di contribuenti. Non potranno più accedere a tali agevolazioni infatti coloro che hanno anche un reddito da lavoro dipendente superiore a 20.000 euro (vale a dire una busta paga mensile di poco più di 1.400 euro lordi) oppure quei pensionati che nel 2019 hanno ricevuto trattamenti pensionistici superiori a 30.000 euro annui. Il vicepresidente della Commissione Finanze alla Camera, il leghista Alberto Gusmeroli, ha quindi scritto assieme ai colleghi di partito presenti in commissione un esposto al Garante del contribuente il cui statuto fissa in 60 giorni il limite di tempo che deve intercorrere tra l'approvazione delle modifiche in materia fiscale e la loro applicazione. E non potendo, anche sulla base di una circolare delle Agenzie delle entrate, modificarsi il regime fiscale applicato a un contribuente se non con decorrenza 1 gennaio, ne discenderebbe che questo inasprimento fiscale non potrebbe entrare in vigore se non dall'1 gennaio 2021. In ballo ci sono tanti bei soldi. Se avesse ragione Gusmeroli chi dichiarerà circa 70.000 euro nel 2020 (di cui oltre 30.000 derivanti da assegni pensionistici) si troverebbe a pagare - seguendo il regime forfettario voluto dal governo gialloblù - poco più di 12.000 euro che salirebbero invece ad oltre 21.000 euro qualora fossero applicate subito le regole fiscali inventate dal ministro Roberto Gualtieri. Senza considerare gli obblighi di fatturazione elettronica e di assistenza del commercialista con gli ulteriori relativi costi. Di fronte a tale incertezza pure la maggioranza si è però divisa. Chiamati ad esporre le loro tesi di fronte all'Associazione nazionale commercialisti, il viceministro di Via XX Settembre, Maria Cecilia Guerra (Pd), reclama l'immediata applicazione di questo inasprimento già a partire dal 2020. «Parli per sé» è stata in sintesi la risposta della presidente della commissione Finanze, Carla Ruocco (M5s). Il Parlamento non propenderebbe affatto per questa tesi di fatto sposando, almeno a parole e per ora, il ricorso presentato dai deputati leghisti. E se non sanno che pesci prendere nella maggioranza di governo figuratevi gli oltre 300.000 contribuenti interessa di fronte ai quali si presenteranno due alternative. La prima è data dal ricorso presso i competenti organi così andando ulteriormente ad intasare la mole dei contenziosi fiscali in essere qualora il governo desse ragione alla Guerra anziché alla Ruocco. Ipotesi più che probabile dato il M5s, pur di non andare al voto, sarà più che disponibile a ingoiare qualsiasi boccone. Altrimenti non rimane che chiudere la partita Iva e quindi, se possibile, lavorare in nero piuttosto che non fare nulla. Nel primo caso assisteremmo alla comica situazione di un governo che della battaglia all'evasione fiscale ne ha fatto una bandiera per poi trovarsi a vederla crescere proprio in conseguenza delle sue scelte. La seconda alternativa invece - quella cioè del riposo forzato - si concretizzerebbe in una perdita di Pil oltreché di gettito. Il regime forfettario rispondeva del resto a un'esigenza precisa. Se vi sono zone del Paese con una disoccupazione giovanile pari al 50% senza guerre civili per le strade, è evidente che siamo in presenza di un'economia sommersa che grazie a un regime forfettario particolarmente conveniente (che ad esempio consentisse di pagare aliquote effettive del 5%-10% su quanto dichiarato) avrebbe potuto spingere molti giovani ad emergere. Cosa infatti avvenuta con una crescita stimata delle aperture di partite Iva del 5%. Tutte cose comprensibili ai più tranne che a questo governo.
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