2025-09-12
Il piano Italia di Stellantis: dismettere i siti
Lo stabilimento Stellantis di Melfi (Imagoeconomica)
Alla vigilia del vertice di Bruxelles che deciderà il destino dell’auto Ue, la casa italo-francese vende lo stabilimento di Cento dove si realizzano motori e annuncia nuovi stop della produzione a Melfi e Cassino. Intanto l’ad Filosa chiede incentivi e flirta con Trump.Fare il confronto con Magneti Marelli, Comau e Iveco, i grandi marchi dismessi da Stellantis(Fca)-Exor negli ultimi anni viene difficile. Parliamo di tre multinazionali (batterie, robotica avanzata e difesa) che hanno fatto la storia dell’industria italiana. Ma seppur meno appariscente e per certi versi scontata - da tempo la casa automobilistica aveva fatto capire le sue intenzioni - la vendita della VM Motori, con il sito di Cento che è passato in non molti mesi da più di 1.000 a 350 lavoratori, quasi tutti in cassa integrazione, ha un significato altrettanto iconico. Un po’ per il momento. L’annuncio della cessione a Marval, azienda specializzata in lavorazioni meccaniche di precisione per componenti motore in mano al fondo di private equity Azzurra Capital, arriva infatti alla vigilia di un vertice decisivo per il futuro dell’automotive. Oggi a Bruxelles, il presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen incontra i rappresentanti delle principali case produttrici europee in preda a una crisi di rigetto da elettrico. I maggiori costruttori tedeschi e francesi, compresa la stessa Stellantis, prima hanno sposato senza porre vincoli il catastrofico piano basato sul Green deal, poi vista l’impraticabilità dello stesso con tanto di pesanti ricadute su ricavi e utili, si sono rimangiati tutto. Stop ai motori termici entro il 2035? Senza un passo indietro crolliamo. Multe per chi non rispetta i vincoli? Bisogna rivedere il sistema. Player cinesi? Fate presto, difendeteci dalla concorrenza sleale. Visto il discorso sullo stato dell’Unione di Ursula di poche ore fa è difficile aspettarsi un repentino cambio di passo. Sta di fatto che l’ad Antonio Filosa si presenta con una nuova cessione. Ripetiamo. Che a Cento sarebbe andata in questo modo lo si sapeva da tempo, ma è altrettanto vero che il finale annunciato è una delle prime conseguenza della fallimentare transizione verso l’elettrico. «Questo sito», ricorda il coordinatore nazionale automotive della Fim-Cisl Stefano Boschini, «dava lavoro a circa 1.300 persone non più di tre anni fa. Si realizzavano motori industriali, marini e per le auto. Poi con il crollo della produzione di vetture endotermiche sono venute meno anche le commesse e tutto è lentamente precipitato. Che Stellantis volesse vendere lo stabilimento di Cento era noto da tempo, la decisione l’aveva presa il precedente ad, Carlos Tavares, ora aspettiamo fiduciosi segnali dai nuovi acquirenti». E il primo segnale concreto potrebbe arrivare già la prossima settimana (o comunque nelle prossime settimane), quando tutti i 350 lavoratori del sito dovrebbero riprendere i loro posti lasciandosi alle spalle la cassa integrazione. Insomma, va via Stellantis e si torna a lavorare. E del resto della profondità della crisi della casa automobilistica nata dalla fusione tra Peugeot ed Fca abbiamo ogni giorno nuove testimonianze. A Cassino (lo stabilimento dove la situazione è più critica) si lavora a singhiozzo ormai da mesi: gli operai sono rientrati il 2 settembre, dopo una lunga pausa estiva, e già la scorsa settimana ci sono stati due fermi (5 e 8 settembre). Ieri l’ennesimo annuncio: stop alla produzione lunedì 15 settembre.Mentre a Melfi (Potenza), che non è messa come Cassino ma quasi, «a causa della mancanza di componenti, l’attività sarà sospesa nella giornata di venerdì 12 (oggi ndr) dalle ore 6 alle 14». E così le richieste dell’ad Filosa (nel corso della Kepler Cheuvreux Autumn Conference) alla Commissione europea da appello si trasformano in un vero e proprio grido di aiuto: «Nell’Unione europea», sottolinea, «servono i super incentivi per le auto piccole. Indipendentemente dal propulsore, a parità di propulsore, un’auto piccola inquinerà sempre meno e avrà emissioni di CO2 inferiori rispetto a una più grande. E noi crediamo che questo debba essere preso in considerazione nell’equazione». Quindi? «Il nostro suggerimento all’interno dell’Acea (l’associazione europea dei costruttori ndr), ma mi sembra di capire che sia stato sostenuto dall’Acea nel suo complesso, è quello di proporre l’introduzione di misure di flessibilità, ovvero la possibilità di rinnovare il parco auto». Anche perché - e Filosa l’ha ricordato anche ieri - il parco auto in Europa è di circa 250 milioni di vetture con un’età media è di oltre 12 anni. «Quindi dobbiamo comprendere che incentivando il consumatore, non noi, la possibilità di sostituire una vecchia auto con una più nuova, l’ambiente ne trarrà ovviamente beneficio, perché le auto più nuove sono meno inquinanti di quelle vecchie. L’industria ne trarrà un beneficio immediato, perché si tratta di una domanda aggiuntiva». Parole già sentite. Cambiano i manager (da Tavares a Filosa), viene stravolta la strategia sull’elettrico, ma le ricette per Stellantis restano sempre le stesse: servono più soldi pubblici. Anche perché non bastava il Green deal a tagliare i margini del settore, sono arrivati anche i dazi di Trump, rispetto al quale però il Marchionne boys spende parole al miele: «Comprendiamo perfettamente l’obiettivo dell’amministrazione statunitense, vuole riportare gli investimenti, l’assemblaggio e creare posti di lavoro negli Usa. Lo abbiamo capito molto chiaramente e vogliamo lavorare di conseguenza». Motivo? «Stiamo avendo uno scambio di idee produttivo», aggiunge, «con l’amministrazione statunitense. Quindi, anche se la questione delle tariffe doganali non è ancora definita al 100%, sta diventando sempre più chiara e noi siamo pronti ad agire». Tradotto: anche Stellantis (avevamo già parlato di Volkswagen) tratta con Bessent & C. per avere sconti sui dazi. E a breve sono attese novità.
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