2025-10-01
La base pentastellata odia ancora il Pd. Il campo largo perde con i candidati dem
Emilia Romagna a parte, le ultime sfide regionali dimostrano che l’elettorato grillino non digerisce l’«alleato» al timone.Più che largo è un campo a geometria (e convenienza) variabile, destinato a desertificarsi. Francesco Boccia, capo dei senatori del Pd, ha provato a minimizzare: «Sono solo elezioni locali». Chi le ha caricate di significato nazionale e le ha investite di un senso progettuale però è stata Elly Schlein - segretario Pd - che nelle Marche è venuta sette volte a dire: «Siamo testa a testa, abbiamo costruito una coalizione coesa e Matteo Ricci è il candidato di tutta la coalizione». Da 48 ore del segretario del Pd si sono perse le tracce. Si è limitata a dire: «Era difficile». Non fa di più Giuseppe Conte, che sussurra: «La proposta di alternativa non ha convinto gli elettori». A cominciare dai suoi. Se la segretaria del Pd incassa una sconfitta bruciante - perde il 3%, il Pd non è più il primo partito nelle Marche - chi non ha giustificazione alcuna è proprio lui: Giuseppe Conte. Cinque anni fa i pentastellati, con un candidato autonomo, avevano l’8,4%; oggi sono al 5,2, ma soprattutto hanno determinato il naufragio di Matteo Ricci perché - lo certificano tutti gli analisti - a gonfiare l’astensione (ha votato solo il 50,01%) sono stati proprio loro. A Conte glielo avevano detto. Una settimana fa due pezzi da novanta del M5s marchigiano - Feliziano Ballatori e Massimo Gianangeli - hanno inviato un comunicato: «L’immagine di Conte che sostiene Matteo Ricci - candidato del centrosinistra, legato al Pd nazionale e coinvolto in vicende giudiziarie - è la dimostrazione di un Movimento che ha smarrito ogni coerenza inseguendo un unico scopo: le poltrone; non lasciatevi ingannare». La disfatta dei 5 stelle si è portata dietro anche un risultato negativo di Avs, sceso al 4,2%. Appare evidente che Matteo Ricci era il candidato peggiore per costruire il campo largo: per la base grillina era invotabile. E c’è la conferma che il campo largo funziona solo se il candidato è pentastellato. Vedremo come andrà in Calabria con Pasquale Tridico e in Campania con Roberto Fico, che però sono indigesti alla base del Pd. Potrebbe verificarsi un fenomeno Ricci eguale e contrario. Analizzando i flussi dei voti delle regionali marchigiane emerge chiaramente una fuga dal campo. Su 13 volte che il campo largo si è presentato davanti agli lettori, dieci è stato bocciato. Le uniche vittorie sono quelle di Michele De Pascale in Emilia Romagna (i pentastellati anche lì persero 50.000 voti con un’astensione record), in Sardegna con Alessandra Todde, candidata dei 5 stelle, e in Umbria con Stefania Proietti (che non è iscritta al Pd e e se avesse una tessera sarebbe quella dei francescani). Si conferma che se il candidato è del partito di Elly Schlein il campo largo va in frantumi. La dimostrazione più clamorosa? Quella delle regionali liguri. Il Pd ha montato una campagna durissima contro Giovanni Toti - a proposito della gogna mediatica (inesistente) per Matteo Ricci per l’avviso di garanzia - e ha proposto come unica scelta Andrea Orlando: lui è la personificazione del Partito democratico e lo hanno sonoramente bocciato. Molto arrabbiati per il risultato marchigiano sono i «Fratonelli», che si leccano le ferite di Avs: «L’unità resta una condizione necessaria ma non sufficiente per vincere». Sarà per questo che Elly Schlein in una striminzita considerazione ha sostenuto: «Ci abbiamo messo tanto impegno ma stavolta non è bastato, continuiamo con grande determinazione». La Schlein è elvetico-americana, ma l’avverbio «stavolta» non è equivocabile: sta per una volta sola. Ma non è cosi. Quando in Abruzzo - diviso dalle Marche dal Tronto - ha vinto per la seconda volta Marco Marsilio (Fdi), c’è stato il crollo dei 5 Stelle perché il candidato era Luciano D’Amico del Pd. In Basilicata stesso scenario: Vito Bardi del centrodestra ha messo ko Piero Marrese del Pd e anche lì con un crollo dei pentastellati. Fino ai referendum voluti da Maurizio Landini. Dunque, se la Schlein che finirà sotto il torchio dei riformisti non ride, anche Giuseppe Conte avrà di che piangere, ma lui è il capo di un partito personale. Che ai marchigiani non è piaciuto. Lo testimoniano tre istituti che hanno letto i flussi dei voti. Per Nicola Piepoli l’astensione ha colpito di più il centrosinistra perché i temi in stile Gaza hanno tenuto lontani gli elettori; per Lorenzo Pregliasco (di YouTrend) «i Cinque Stelle fanno sempre fatica alle regionali, ma stavolta il profilo di Matteo Ricci non è bastato a mobilitare la base», mentre Antonio Noto (Opinio) sostiene che «l’astensione ha pesato sui 5 Stelle, ma circa il 13% di loro ha votato per Acquaroli». Secondo Noto ha tenuto il Pd (che però ha perso il 3%), ma «se si guardano i dati, Francesco Acquaroli cresce in percentuale, mentre Matteo Ricci rispetto al 2020 arretra». Magari qualcuno del Pd riformista ha votato per Forza Italia (8,6%), che è cresciuta e ha cannibalizzato i voti della Lega moderata (i candidati vicini a Roberto Vannacci sono andati male) che, avendo perso due voti su tre (sta al 7,4 dal 22,4% che aveva), ha alimentato l’exploit di Fratelli d’Italia (27,4% e primo partito). Il caso di studio resta però il Campo largo, anche se un detto marchigiano spiega: «Sèmë tutta ’na gente, ma nën sèmë tutta ’na mende». Siamo tutti la stessa gente, ma non abbiamo tutti le stesse idee.
J.K. Rowling e Beatrice Venezi (Ansa)
Nel riquadro, il ministro della Salute britannico Wes Streeting (Ansa)