2020-08-21
L’«Handelsblatt» esulta: a Roma comandano i camerieri di Berlino
Il quotidiano tedesco loda il «governo affidabile» di Giuseppi e certifica che M5s e dem ci hanno trasformati in un satellite di Germania e Cina. Così ci inguaieremo con gli Usa (anche con Joe Biden presidente).La scelta di associare l'aggettivo «affidabile» al governo italiano guidato da Giuseppe Conte può lasciare sconcertati. Anzi, genera immediatamente una domanda di controprova: affidabile per chi? Una prima risposta a questo interrogativo fa già capire molte cose: a ritenere «affidabile» questo gabinetto è l'Handelsblatt, il giornale tedesco specializzato in economia e finanza, in un commento affidato alla sua corrispondente per l'Italia, Regina Krieger. L'articolo ruota su tre valutazioni di fondo: un giudizio complessivo positivo sul governo (appunto: «affidabile») a maggior ragione nel pieno della sfida sanitaria ed economica post pandemia; un confronto con l'esperienza precedente e le eventuali alternative (quindi Conte sarebbe più affidabile); e un'asticella minimamente (ma proprio minimamente) innalzata solo nelle righe finali dell'articolo, quando si dice che la prova decisiva sarà costituita dal piano che l'esecutivo italiano dovrà presentare a ottobre per il Recovery fund. Ma capite bene che, dal punto di vista di un lettore tedesco, si tratta davvero del minimo sindacale delle critiche o dei dubbi possibili verso l'Italia, nel quadro di quello che invece appare come un chiaro commento di approvazione. E proprio qui sta il punto: che si deve pensare di un governo che riscuote applausi e incoraggiamenti essenzialmente a Pechino e a Berlino? Sul legame con la Cina, parlano fin troppo chiaro molte cose, fino alle gravi rivelazioni nell'articolo di questa mattina, sulla Verità, di Claudio Antonelli. Quanto alla Germania, il pezzo di Handelsblatt rinnova domande di fondo sulla genesi del Conte 2, e sul fatto che tra Berlino e Bruxelles (e per altro verso, a Parigi) diversi attori abbiano ritenuto di aver efficacemente posto le basi per il commissariamento del nostro Paese, senza nemmeno bisogno di un vistoso arrivo formale della Troika. Ieri è stato Francesco Galietti (Policy Sonar) il primo ad accorgersi di questo ulteriore tassello di un mosaico già chiaro nel suo disegno: «Avere come riferimenti Pechino e Berlino, essere nella sfera di influenza di Cina e Germania, pesa molto, ed è un problema per le relazioni atlantiche dell'Italia», fa notare Galietti. Al quale non è sfuggita la recente decisione Usa nel senso di un massiccio spostamento di truppe Usa da Ramstein, in Germania, verso il Nord Est italiano (nuova dislocazione destinata a interessare addirittura un terzo dei militari Nato in uscita dalla Germania). Naturalmente, occorre sempre evitare letture troppo rigide, troppo schematiche, ma il senso complessivo di ciò che accade è fin troppo chiaro: Washington è (giustamente) preoccupata della penetrazione cinese già in atto nell'area balcanica, e si pone il problema di presidiare - in termini fisici e di influenza - il confine orientale italiano, evitando ad esempio una sorta di assorbimento di Trieste nelle dinamiche geoeconomiche già dominanti nei porti slavi. Ora, tornando dai cieli della geopolitica alla più concreta quotidianità delle scelte italiane, c'è da chiedersi come sia possibile che a Roma, anche nelle sedi istituzionali più elevate, si sottovaluti un posizionamento di politica internazionale dell'Italia (Pechino più Berlino) destinato a metterci in rotta di collisione con Washington. Inutile girarci intorno: da un lato, rischiamo di offrirci come cavallo di Troia della penetrazione cinese in Europa, e dall'altro di farci usare come docili pedine del disegno tedesco di un'Ue sempre più «terza» tra Anglosfera e potenze orientali. Due scelte inaccettabili per gli Usa. I superficiali rispondono a queste obiezioni indicando sul calendario la data del 3 novembre, giorno delle presidenziali Usa. Ed è fin troppo ovvio che i membri di un certo establishment tradizionale italiano ed europeo, abituati per anni a fare le cheerleaders prima per Bill Clinton e poi per Barack Obama, facciano veglie di preghiera invocando la sconfitta di Donald Trump. Ma, premesso che è sempre imprudente vendere la pelle dell'orso prima del tempo, resta il fatto che le scelte italiane di queste settimane risulterebbero indigeste, a Washington, pure a un'amministrazione democratica. Certo, il linguaggio cambierebbe e i toni pure. Ma nemmeno i dem Usa apprezzano l'idea del disimpegno europeo rispetto alla Nato e ai contributi alle spese per la Difesa: fu Obama a usare un'espressione sprezzante (free riders, cioè scrocconi) verso i Paesi Ue alleati, membri della Nato, ma non sufficientemente impegnati rispetto agli obblighi della Difesa comune occidentale. E proprio Joe Biden, accusato in passato di essere stato troppo morbido rispetto a Pechino, dovrebbe ora mostrare, se eletto, una postura ben più assertiva e rigida verso la Cina, e dunque non potrebbe in nessun modo applaudire questo scarrellamento geopolitico italiano. Sarà bene che più di qualcuno vigili e rifletta bene, prima che l'Italia renda irreversibili scelte sbagliate, costosissime e pericolose.