2025-08-04
La Germania molla l’Ue sui dazi e tratta da sola con gli Stati Uniti
Il ministro delle Finanze tedesco Lars Klingbeil con il cancelliere Friedrich Merz (Getty Images)
Oggi incontro fra il titolare delle Finanze tedesco, che vuole salvare l’ industria automobilistica, e Bessent. Con un’Europa senza armi per negoziare in modo efficace, l’unica strada sono le intese bilaterali.L’ordine esecutivo con cui il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha ufficializzato i nuovi dazi, segna non solo una svolta delle relazioni e negli equilibri commerciali internazionali ma sta facendo affiorare la debolezza e le divisioni interne all’Europa. La Ue si sta spappolando. Il processo di integrazione dell’Unione potrebbe essere arrivato al capolinea, ammesso che fosse mai iniziato concretamente. Il presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, sotto il fuoco di fila delle Cancellerie dei Paesi membri per aver ceduto alla Casa Bianca, appare sempre più come un’anatra zoppa. Il suo ruolo al tavolo negoziale che nei prossimi giorni dovrà definire le esenzioni rispetto alla tariffa base del 15% decisa da Trump è di una estrema debolezza. Tant’è che gli Stati hanno cominciato a muoversi in ordine sparso per difendere i propri interessi. Chi fino a qualche settimana fa aveva criticato l’attivismo del premier Giorgia Meloni che avrebbe voluto mettere a disposizione dell’Europa il rapporto preferenziale con Trump ora si smarca da Bruxelles e si muove in solitaria. È il caso della Germania ma di qui a breve seguirà la Francia che ha già aspramente criticato la Von der Leyen per essere stata troppo arrendevole verso Washington e ora teme la stangata sul suo agroalimentare. Lars Klingbeil, ministro delle Finanze tedesco, è appena atterrato a Washington e oggi incontrerà il suo omologo statunitense Scott Bessent. È la sua prima visita ufficiale negli Stati Uniti, ma la situazione non lascia spazio a formalità. Il ministero delle Finanze tedesco ha comunicato che i temi in agenda saranno «mantenimento e ampliamento del partenariato transatlantico, cooperazione in forum multilaterali, questioni e sfide relative ai dazi». Detto in poche parole: Berlino tenterà di strappare qualche concessione sull’automotive. Magari promettendo investimenti negli States. Ricordiamo che sulle esportazioni di auto europee oltre oceano, c’è ancora un dazio del 27,5%. «I dazi danneggiano l’economia su entrambe le sponde dell'Atlantico: abbiamo bisogno di abbassarli e di mercati aperti», ha dichiarato Klingbeil che finora non ha sconfessato il ruolo della Von der Leyen né si è accodato alle critiche velenose di Parigi, ma se l’Europa non sa proteggere i suoi campioni industriali bisogna muoversi in modo unilaterale. In Italia, il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha detto che «bisogna lavorare perché dal quadro generale dei dazi al 15% si scenda poi nei dettagli. È lì che dovremmo difendere con le unghie e con i denti i prodotti italiani». A Bruxelles si continua a lavorare per arrivare alla scadenza dell’8 agosto quando entreranno in vigore i nuovi dazi. Oggi il comitato barriere doganali dovrebbe decidere se sospendere o archiviare il pacchetto di controtariffe preparato dalla Ue. La soluzione più probabile è che la lista sia congelata per sei mesi, per mantenere comunque un’arma sul tavolo nelle trattative finali. La parola però spetta ai 27 Paesi membri che devono pronunciarsi entro 14 giorni. Non sarà una partita facile con la Francia che avrebbe voluto attivare le ritorsioni da subito. Nel frattempo proseguono le trattative per strappare esenzioni su un numero più ampio possibile di prodotti a cominciare da vini, liquori, aeromobili, formaggi e altri beni alimentari. Tutta aperta la partita su acciaio e alluminio che mantengono dazi al 50% mentre è fluida quella sui farmaci appesi all’esito dell’indagine dell’amministrazione di Washington per stabilire se sia un settore in grado di fare concorrenza pericolosa all’industria americana. Al momento secondo Bruxelles le esportazioni di medicinali dovrebbero rientrare nel calderone dei dazi al 15%.I Paesi più colpiti, superato lo sconcerto iniziale, cercano una via d’uscita alla stangata. Il presidente brasiliano, Luiz Inácio Lula da Silva, getta acqua sul fuoco: «Troveremo una soluzione ma decidono i brasiliani e le loro istituzioni», afferma. Nuova Delhi tenta di resistere. L’India colpita con tariffe del 25% fa sapere che continuerà a comprare petrolio dalla Russia nonostante le minacce di Trump. Il ministero degli Esteri indiano ha dichiarato che la relazione con Mosca è «solida e collaudata nel tempo e non dovrebbe essere valutata attraverso la lente di un Paese terzo». La Svizzera, colpita con tariffe del 39%, prova a riaprire i negoziati.Tutto come previsto da Washington, con la Casa Bianca che ora attende la fila di chi vuole trattare e nel frattempo si gode il riconoscimento del successo della sua strategia commerciale pure dai media finora scettici e polemici. Il New York Times, citando dati del Tesoro, scrive che con i dazi introdotti da aprile, Trump ha incassato finora 152 miliardi di dollari, circa il doppio de dello stesso periodo 2024 (78 miliardi). Solo a luglio le tariffe hanno fruttato quasi 30 miliardi di dollari. Gli analisti prevedono che nel prossimo decennio, i nuovi dazi di agosto, potrebbero generare entrate aggiuntive per oltre 2.000 miliardi di dollari. C’è il rischio però del caro prezzi. Stando al Budget lab di Yale, un centro di ricerca politica indipendente, i prezzi aumenteranno dell’1,8% nel breve termine.
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