2023-07-21
Kissinger, déjà-vu la missione a Pechino. Ma adesso la Cina è un pericolo globale
Henry Kissinger e Xi Jinping (Ansa)
Come 50 anni fa, l ’ex segretario di Stato lavora per la distensione con il Dragone, ora superpotenza e minaccia, in primis per la Ue.Proseguono i tentativi di distensione tra Usa e Cina. È in questo quadro infatti che va inserita la visita di Henry Kissinger a Pechino: una visita in cui l’ex segretario di Stato americano ha incontrato il responsabile Esteri del Partito comunista cinese, Wang Yi, il ministro della difesa cinese Li Shangfu e lo stesso Xi Jinping. In particolare, il presidente cinese si è mostrato molto caloroso nei confronti del suo ospite, definendolo un «vecchio amico». «Non dimenticheremo mai i nostri vecchi amici e non dimenticheremo mai il tuo contributo storico allo sviluppo delle relazioni Cina-Usa e al rafforzamento dell’amicizia tra i due popoli», ha detto Xi, per poi aggiungere: «Cina e Usa sono ancora una volta al bivio su dove andare, e le due parti devono fare di nuovo una scelta». Dal canto suo, Kissinger ha definito «un grande onore» poter visitare la Cina. «La relazione Usa-Cina è di vitale importanza per la pace e la prosperità di entrambi i Paesi e del mondo», ha affermato. Il faccia a faccia con Xi si è rivelato più cordiale di quello dell’altro ieri con Wang Yi. Nell’occasione, quest’ultimo aveva dichiarato che sarebbe «impossibile» tentare di riformare la Cina, e «ancora più impossibile» accerchiarla e contenerla. Wang aveva anche auspicato che Washington prendesse le distanze dalle «attività separatiste indipendentiste di Taiwan». Non è probabilmente un caso che la visita di Kissinger si sia sovrapposta a quella dell’inviato speciale statunitense per il clima, John Kerry: figura tra le più filocinesi dell’amministrazione Biden, negli scorsi giorni costui ha incontrato vari alti funzionari della Repubblica popolare, tra cui lo stesso Wang Yi. Una visita, quella di Kerry, avvenuta a sua volta pochi giorni dopo la missione diplomatica a Pechino del segretario al Tesoro americano, Janet Yellen. È d’altronde noto che vari presidenti americani hanno fatto affidamento proprio su Kissinger per rapportarsi alla Repubblica popolare, soprattutto nei momenti di difficoltà. È lui stesso a raccontare in On China il suo delicato viaggio nella Repubblica popolare nel 1989, quando - a seguito del massacro di Piazza Tienanmen - le relazioni tra Washington e Pechino si erano fatte particolarmente tese. Kissinger, che a maggio ha compiuto 100 anni, fu, da consigliere per la sicurezza nazionale e poi da segretario di Stato, il principale artefice dell’apertura diplomatica degli Usa alla Repubblica popolare, avviata nel 1972 ai tempi di Richard Nixon e Mao Zedong. Il senso di quella rivoluzione diplomatica all’epoca era principalmente quello di acuire le fratture tra la Repubblica popolare e l’Unione Sovietica: una strategia che, nel tempo, diede effettivamente i suoi frutti. L’ex segretario di Stato è sempre stato un fautore della Realpolitik e dell’equilibrio di potenza: un principio che difese esplicitamente nel suo libro del 2014 World Order, in cui trattò il meccanismo diplomatico emerso dalla Pace di Vestfalia nel 1648. Un approccio realista che ha spesso portato l’ex segretario di Stato in rotta di collisione con quanti a Washington, sia tra i dem sia tra i repubblicani, auspicano una politica estera basata sulla difesa dei valori democratici e dei diritti umani. È proprio partendo dalla sua visione che Kissinger ha ripetutamente sostenuto che le relazioni sino-americane dovrebbero tornare all’interno di un binario di solidità e prevedibilità. Bisogna però fare anche attenzione. Innanzitutto, la Repubblica popolare cinese degli anni Settanta era molto meno potente e pericolosa sul piano internazionale di quella odierna. Non dimentichiamo che la distensione di Nixon e Kissinger iniziò poco dopo la Rivoluzione culturale maoista, che aveva lasciato la Cina letteralmente in ginocchio. In secondo luogo, va detto che le dinamiche tra Washington e Pechino oggi non si dipanano in un contesto realista improntato al principio dell’equilibrio di potenza. La svolta nella relazione tra i due Paesi è avvenuta nel dicembre 2001, quando la Cina è entrata nell’Organizzazione mondiale del Commercio. Una svolta, questa, che fu predisposta l’anno prima dall’allora presidente americano Bill Clinton, nell’erronea convinzione che il coinvolgimento nel Wto avrebbe spinto il Dragone verso la via del liberalismo interno: una scommessa totalmente persa, vista la stretta autoritaria promossa da Xi. Il paradigma quindi oggi non è più quello dell’equilibrio di potenza ma della globalizzazione. Pechino ha usato sovente pratiche commerciali scorrette come strumento di competizione e di pressione politica sull’Occidente. Inoltre, anche a causa della disattenzione americana, la Cina ha via via aumentato il proprio peso in seno all’Onu (si pensi soltanto all’Oms). Senza questo quadro di riferimento, è impossibile comprendere appieno la linea severa promossa dall’amministrazione Trump nei confronti di Pechino. Manipolando le leve della globalizzazione, la Cina è diventata un problema per gli Usa specialmente sul piano socioeconomico interno. Una situazione che Trump ha cercato di affrontare. E con cui lo stesso Joe Biden è costretto a fare difficoltosamente i conti. E tuttavia, d’altra parte, un’escalation della tensione tra Usa e Pechino si ripercuoterebbe in primis sui Paesi europei. È per questo che oggi le relazioni tra Washington e Pechino sono più complicate rispetto agli anni Settanta. Prima il problema erano gli steccati ideologici. Ora è una working class americana impoverita che (non propriamente a torto) vede nella Cina il principale responsabile del proprio declino. La frittata l’ha fatta Clinton. Ma è da dimostrare che la strada proposta oggi da Kissinger sia quella giusta.
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