2019-04-29
Kilocalorie, c’è chi ne celebra la morte. Ma vale ancora la vecchia regola: per dimagrire bisogna ridurle
Sono una misura imperfetta (il modo in cui le bruciamo dipende pure dai nutrienti che ci sono nelle pietanze). Ma non dobbiamo rinunciarci. Attenzione ai troppi zuccheri che ci danno picchi glicemici e poi ci fanno tornare affamati.Le kilocalorie del cibo sono state per anni una nostra ossessione. E invece adesso, secondo l'Economist, potremmo celebrare «la morte delle calorie». Si intitola proprio così il lungo articolo pubblicato sul settimanale inglese da Peter Wilson. Egli prende le mosse dal racconto di vita vera di tale Salvador Camacho, ingegnere progettista presso un ospedale messicano, adulto normopeso ma ex bambino obeso. Dopo aver subito una rapina con rapimento ed essersi risvegliato in un campo seminudo e con le mani legate, Salvador aveva riportato uno stress post traumatico talmente forte da finire in stato di depressione e abuso di alcool e cibo: da 70 kg di peso era passato velocemente a 103. Dopo otto anni così, Salvador è finito al pronto soccorso per un grave attacco di aritmia cardiaca. A quel punto, ha cercato di rimettersi in sesto e superare il trauma, si è sottoposto a una terapia anti ansia e, soprattutto, a una dieta ferrea. «In quanto uomo, aveva bisogno di 2.500 calorie al giorno per mantenere il suo peso (l'obiettivo per le donne è 2.000). I nutrizionisti hanno detto a Camacho che, se avesse mangiato meno di 2.000 calorie al giorno, il deficit settimanale di 3.500 avrebbe significato la perdita di peso di 0,5 chili a settimana», spiega Wilson. Così ha fatto Camacho, aggiungendo anche attività fisica intensa. In tre anni ha perso 10 chili, ma poi, ha raccontato egli stesso a Wilson, ha smesso di dimagrire. Ancora Wilson: «Come regola generale, è vero che se mangi meno calorie di quelle che bruci, diventerai più magro (e se ne consumi molte di più, diventerai più grasso). La caloria come misura scientifica non è in discussione. Ma calcolare l'esatto contenuto calorico del cibo è molto più difficile di quanto suggeriscano i precisi numeri impressi sulle confezioni del cibo. Due prodotti alimentari con identici valori calorici possono essere digeriti in modi molto diversi. Ogni corpo elabora le calorie in modo diverso. Anche per un singolo individuo, l'ora del giorno in cui si mangia è importante. L'ingannevole semplicità di conteggiare le calorie è pericolosamente imperfetta». criterio validoNo, ora non lanciatevi sulla cioccolata o i salumi! Il discorso di Wilson è interessante, ma celebrare un'effettiva morte delle calorie e darsi alla pazza gioia non è affatto una buona idea. L'approssimazione del calcolo calorico non inficia la regola base del dimagrimento, che può avvenire soltanto se si consumano più calorie di quante se ne assumano. Le calorie sono vive e lottano con o contro di noi. Le chiamiamo calorie, ma la definizione corretta è kilocalorie (kc). In nutrizione, la kilocaloria indica l'energia necessaria per innalzare di un grado la temperatura di un chilo di acqua distillata a pressione di un'atmosfera, e corrisponde a 1.000 piccole calorie. Il cibo è la nostra energia. Perciò mangiamo: per acquisire energia tramite il complicato processo della digestione. Il fabbisogno calorico umano, infatti, viene anche detto fabbisogno energetico. In realtà, un dispendio energetico esiste anche se anziché pimpanti e produttivi siamo ricoverati all'ospedale ingessati da capo a piedi, dunque immobili. Per dormire, per esempio, consumiamo circa 50 kilocalorie orarie. Il che significa che in una notte di sonno di 8 ore consumiamo circa 400 kilocalorie. Ogni attività comporta un dispendio energetico. Il consumo energetico è composto da: consumo metabolico a riposo, anche detto metabolismo basale, che equivale a circa il 60-70% del totale; metabolismo cinetico, il cui effetto termogenico è indotto dal movimento (normale e sportivo) e che incide per il 15-30%; la termogenesi indotta dagli alimenti (in considerazione dell'attività motoria e della resa digestiva del cibo), che incide per il 5-15% e, solitamente, non viene calcolata quando si opera il computo del fabbisogno calorico giornaliero. In sostanza, il corpo funziona come una stufa per la quale il cibo è la legna che vi arderà dentro. macchina termicaCi spiega Wikipedia: «Il punto di partenza teorico è molto meccanicistico e assimila il corpo umano a una macchina termica: la potenza termica media equivalente in ingresso dal metabolismo di un vivente considerati questi fattori va in condizioni normali a bilanciare la dissipazione di potenza dell'organismo verso l'ambiente e la produzione di potenza meccanica (l'attività fisica), senza apprezzabile immagazzinamento o consumo di riserve a lungo termine di lipidi. Assumiamo inoltre il sistema metabolico non patologico come stazionario, almeno per un periodo dell'ordine del giorno solare, essendo i pasti regolari ogni giorno. Il fabbisogno medio giornaliero risulta quindi una stima del fabbisogno energetico umano chimico ottenuto come prodotto tra questa potenza media e la durata del giorno, molto utilizzato a fini pratici in campo tecnico, e ancora misurato in calorie». La caloria non origina come misura dell'energia umana, ma dell'energia termica in senso stretto. Spiega Wilson che caloria deriva da calor, «calore» in latino, e nacque come misura di efficienza dei motori a vapore perché una caloria era l'energia richiesta per riscaldare 1 chilo di acqua di un grado Celsius. Fu all'incirca nel 1860 che gli scienziati tedeschi iniziarono a utilizzare quel valore per calcolare l'energia del cibo. Il chimico americano Wilbur Atwater diffuse l'idea che la caloria poteva essere impiegata per calcolare l'energia contenuta nel cibo e l'energia che il corpo spendeva, introducendo anche i concetti di macronutrienti (carboidrati, proteine e grassi). La preoccupazione di Atwater non era calcolare il fabbisogno calorico per dimagrire, ma per nutrirsi il meglio possibile in un periodo in cui la malnutrizione era assai diffusa. Sapere, per esempio, che le patate fornivano più energia degli spinaci poteva aiutare i non abbienti a selezionare il cibo in base al suo potere energetico. Così, nel Novecento, si affermò l'idea che non era tanto importante cosa si mangiasse in termini di macronutrienti, ma in termini calorici. «Puoi mangiare quello che ti piace, caramelle, torta, carne grassa, burro, panna, ma conta le calorie!», scrisse Lulu Hunt Peters in Dieta e salute, tomo che vendette milioni di copie e iniziò a trasformare il mangiatore, che intanto conosceva l'abbondanza di cibo rispetto ai suoi avi, in un pallottoliere antropomorfo e golosissimo. Si passò poi all'indicazione delle calorie sui cibi già pronti, che negli anni Sessanta del secolo scorso, complice l'ingresso della donna nel mondo del lavoro non terriero e non casalingo e, in generale, della vita nella contemporaneità, divennero normali strumenti di alimentazione perché v'era sempre meno tempo per cucinare partendo dagli alimenti grezzi. Così si determinò una produzione di cibo industriale iperlavorato e infarcito di sostanze chimiche (in primis i conservanti). Quel cibo sempre meno naturale e così disponibile cambiò anche l'alimentazione, comportando il problema opposto all'iponutrizione, cioè l'ipernutrizione. E la prima ondata di obesità diffusa, che a sua volta portò alla necessità di calcolare sempre più ossessivamente l'apporto calorico per riuscire a dimagrire dalla grassezza che l'alimentazione industriale diffondeva. A quel punto, si demonizzarono innanzitutto i grassi animali e comparvero nel mercato alimentare industriale i grassi vegetali, altrettanto calorici ma dichiarati meno pericolosi per la salute. Gli zuccheri erano ancora innocenti. Nel 2016, spiega Wilson, un ricercatore dell'Università della California ha scoperto documenti del 1967 che mostravano come le compagnie di zucchero finanziassero segretamente studi all'Università di Harvard per incolpare il grasso per la crescente epidemia di obesità. colpevoli e innocentiL'industria alimentare, allora, ha eliminato il grasso, per sostituirlo con zucchero, amido e sale. E grassi vegetali. Più tardi si è scoperto come i grassi vegetali non fossero in assoluto salutari e che anche gli zuccheri avevano una responsabilità in obesità e malattie come il diabete. Tutto questo ha determinato un rinnovamento dell'ossessione calcolatoria intorno a calorie e nutrienti del cibo. Sono infinite le diete che sono state proposte da allora. Ogni dietologo aveva e ha la sua formula magica. Attualmente, siamo arrivati a livelli di pura follia nell'analisi del cibo che mangiamo e nella quota di artificialità dello stesso. Finta carne, finta pasta, finti dolci, proteine in polvere in barattolo da assumere a cucchiaiate, pasti in forma di barrette energetiche e così via. Per questa ragione, siamo diventati sempre più consapevoli del fatto che ritornare a piatti cucinati tradizionalmente (e con ingredienti il più possibile genuini) della dieta mediterranea sia l'optimum. E resta la regola che per dimagrire, se necessario, occorre consumare più di quanto si incameri. Però apprendere alcune caratteristiche di funzionamento delle calorie su cui Wilson ha posto l'attenzione può esserci utile. Susan Roberts, una nutrizionista della Tufts University di Boston, ha scoperto che le etichette sugli alimenti confezionati negli Stati Uniti indicano un apporto calorico inferiore alla realtà, in media, dell'8%. Le normative del governo americano consentono a tali etichette di minimizzare le calorie del 20% e nel caso di cibi surgelati il potere calorico indicato può giungere fino al 70% di quello reale. Il conteggio delle calorie si basa sulla quantità di calore che un alimento emette quando brucia in un forno. Ma il corpo umano è molto più complesso di un forno. Quando il cibo viene bruciato in un laboratorio si trasforma in calorie in pochi secondi. Mentre, ricorda Wilson, il viaggio nella vita reale dal piatto della cena al water closet richiede, in media, circa un giorno. Però può variare, addirittura da otto a 80 ore, a seconda della persona. Una caloria di carboidrati e una caloria di proteine hanno entrambi la stessa quantità di energia immagazzinata, quindi si comportano in modo identico in un forno. Ma quelle calorie nel corpo umano si comportano in modo abbastanza diverso. E stiamo ancora imparando: i ricercatori americani hanno scoperto l'anno scorso che, per più di un secolo, abbiamo esagerato di circa il 20% le calorie che assorbiamo dalle mandorle. Tutti i carboidrati si trasformano in zuccheri, che sono la principale fonte di combustibile del corpo. La velocità con cui il corpo riceve il carburante dal cibo può essere tanto importante quanto la quantità di carburante. I carboidrati semplici vengono rapidamente assorbiti nel flusso sanguigno, fornendo un vero e proprio picco energetico. Il corpo assorbe lo zucchero da una lattina di bibita gassata con una velocità di 30 calorie al minuto, mentre le calorie al minuto da carboidrati complessi come patate o riso sono due. Si intuisce come, in rapporto al rilascio di insulina, lo zucchero puro e i carboidrati complessi, si comportino diversamente. Il fegato può immagazzinare parte dell'eccesso di zuccheri nel sangue, ma lo trasforma in grasso. Quindi consumare grandi quantità di zucchero è il modo più rapido per creare grasso corporeo. E, una volta che l'insulina ha fatto il suo lavoro, i livelli di zucchero nel sangue crollano, il che significa che si ritorna affamati. Ingrassare, afferma Wilson, è una conseguenza della civiltà. I nostri antenati avrebbero avuto picchi glicemici quattro volte l'anno, quando una nuova stagione produceva frutta fresca. Oggi, moltissimi vivono quei picchi ogni giorno e una persona media nel mondo sviluppato consuma 20 volte di più lo zucchero che si consumava nel periodo di Atwater. Secondo l'Oms, tra il 1975 e il 2016 l'obesità è quasi triplicata in tutto il mondo: quasi il 40% degli over 18 - circa 1,9 miliardi di adulti - sono in sovrappeso. Ciò ha contribuito a un rapido aumento delle malattie cardiovascolari (principalmente malattie cardiache e ictus) che sono diventate la principale causa di morte in tutto il mondo. Le percentuali di diabete di tipo 2, spesso legate allo stile di vita e alla dieta, sono più che raddoppiate dal 1980. combustibile per il corpoLe proteine, la componente dominante di carne, pesce e prodotti caseari, agiscono come il principale elemento costitutivo per ossa, pelle, capelli e altri tessuti corporei. In assenza di sufficienti quantità di carboidrati, possono fare da combustibile per il corpo. Ma siccome sono digerite più lentamente dei carboidrati, è meno probabile che vengano convertita in grasso corporeo. Il grasso, invece, dovrebbe far sentire più pieni più a lungo, perché il corpo lo divide in piccoli acidi grassi più lentamente di quanto non processi carboidrati e proteine. Il grasso serve a produrre ormoni e proteggere i nostri nervi. Per millenni, il grasso è stato un modo cruciale per gli esseri umani di immagazzinare energia, permettendoci di sopravvivere a periodi di carestia. Ancora. Un certo insieme di geni si trova più spesso nelle persone sovrappeso rispetto a quelle magre, cioè alcune persone devono lavorare più duramente di altre per rimanere magre. Le differenze nei microbiomi intestinali possono alterare il modo in cui le persone trattano il cibo. Uno studio su 800 israeliani, nel 2015, ha rilevato che l'aumento dei livelli di zucchero nel sangue variava in risposta a cibo identico. Gli intestini di alcune persone sono il 50% più lunghi di altri: quelli più corti assorbono meno calorie. Tagliare e macinare il cibo fa parte della digestione, mangiare cibo già in parte «digerito» (esempio, il passato di verdure invece del minestrone) fa bruciare meno per la digestione e dà meno senso di sazietà a fronte di un apporto calorico identico a quello del cibo assunto solido.
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
Continua a leggereRiduci