2024-09-13
Londra e Washington daranno a Kiev il permesso di usare missili che non ha
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky con Anthony Blinken, segretario di stato americano (Getty)
I razzi a lungo raggio sono pochi e la Russia ha le contromisure. Vladimir Putin: «Nato coinvolta». Sergej Lavrov: «Stiamo liberando il Kursk».Intanto Joe Biden sanziona una compagnia europea che favoriva ingressi illegali dal Nicaragua. Lo speciale contiene due articoli «L’Ucraina può vincere la guerra». Antony Blinken, segretario di Stato americano, durante la sua visita a Varsavia di ieri, ha assicurato: gli Usa «sono attenti alle richieste» di Kiev, che preme per usare in territorio russo i missili a lungo raggio. In realtà, il rappresentante di Washington, che ha visto Volodymyr Zelensky mercoledì, vorrebbe prima conoscere nel dettaglio i bersagli e i programmi delle forze ucraine. Sarebbe invece caduto il veto di Londra: ieri, il Guardian ha citato «fonti del governo britannico», secondo le quali la resistenza avrebbe ottenuto il via libera a impiegare gli Storm shadow all’interno della Federazione. Tutto ciò può davvero cambiare le sorti del conflitto? Davvero l’Ucraina, così, può vincere la guerra?Persino la Bbc è scettica. Ieri ha scritto che la luce verde concessa da Downing Street «potrebbe essere un caso di “troppo poco, troppo tardi”». Mosca, infatti, ha preso le contromisure: ha spostato bombardieri, arsenali e altri equipaggiamenti strategici al di là della gittata degli Storm shadow. Almeno, al di là di quella ufficiale, che ammonta a 250 chilometri. Zelensky ha mangiato la foglia: ha lamentato che il «ritardo» degli occidentali sta spingendo i nemici a trasferire al riparo i loro asset militari. In verità, secondo alcuni analisti, le testate Uk sono capaci di spingersi fino a 560 chilometri. Gli Atacms americani, sulla carta, raggiungono i 300. Quali che siano i reali poteri di quei gioielli di tecnologia bellica, sembra che le contraeree russe abbiano imparato a fare i conti con gli aviolanciati di Mbda, schierati nel Donbass da un bel po’.Ai limiti tecnici si sommano i limiti logistici. Fonti Usa hanno chiarito che una buona parte degli Atacms forniti all’Ucraina è stata lanciata. Adesso, il Pentagono ha la possibilità di spedirne un numero ristretto, se non vuole intaccare le capacità militari degli stessi Stati Uniti. Si può indurre l’industria ad aumentare la produzione. Ma un missile, specie se è dotato di una serie di sofisticati sistemi elettronici, non è una confezione di biscotti; per ampliare le catene di montaggio, i tempi sono lunghi. Forse incompatibili con le urgenze della nazione aggredita.Un discorso simile vale per gli Storm shadow: ad aprile, il ministero della Difesa inglese aveva annunciato grossi stanziamenti per i razzi, che costano la ragguardevole cifra di 2,2 milioni di sterline l’uno. Tuttavia, benché non sia nota - per ovvie ragioni di sicurezza - l’esatta disponibilità di tali missili, è plausibile che la Gran Bretagna, che ne ha consegnati diversi a Kiev, non ne abbia moltissimi in dotazione. Intanto, si è andata diradando anche la flotta di Sukhoi Su-24, i caccia ucraini sui quali erano integrati gli Storm shadow, che invece non vengono montati sugli agognati F-16, appena spediti a Zelensky. Per quelli, gli americani dovrebbero donare batterie di Jassm, che distruggono obiettivi fino a quasi 1.000 chilometri di distanza. Ma qui entriamo nel campo delle pure ipotesi. Forse della fantageopolitica. Ora, ciò che più preme è la dura quotidianità degli scontri sul campo. E al fronte, la situazione non è rosea per le forze guidate da Oleksandr Syrsky.Che la sorte del Donetsk sia appesa a un filo è noto. La barbarie, ieri, ha coinvolto pure tre operatori della Croce rossa, uccisi, ha riferito Kiev, da un bombardamento degli invasori. Da diverse ore, poi, la Russia ha avviato un tentativo di riconquista del Kursk, un’operazione che ha colto di sorpresa i reparti ucraini. Il ministro degli Esteri di Mosca, Sergej Lavrov, ha dichiarato che l’esercito sta spingendo con sicurezza le truppe nemiche fuori dall’oblast occupato e che avrà sicuramente successo. Il diplomatico ha quindi confermato che dieci villaggi sono stati già liberati. Il Cremlino sa che la Federazione non è al sicuro: il portavoce di Vladimir Putin, Dmitry Peskov, considera «ovvio» che Kiev continuerà «gli attacchi terroristici» contro i civili in Russia. Fatto sta che Zelensky in persona ha dovuto riconoscere che, nel Kursk, è in atto una controffensiva, sebbene abbia garantito, un po’ sbrigativamente, che la reazione era prevista e che essa è «coerente con il piano ucraino».Rimane un dato ineludibile: con l’incursione di agosto, il «nuovo Churchill» si è giocato il tutto per tutto. Se avvenisse un tracollo nel Donbass e lo zar riuscisse a riprendersi le regioni conquistate da Syrsky, Zelensky non avrebbe nemmeno più «merce» da scambiare al tavolo dei negoziati. Per comprare tempo, dovrebbe sperare che Kamala Harris vinca le elezioni e che prosegua, se non altro, la politica di escalation controllata di Joe Biden. Ecco perché i missili a lungo raggio, più che a sconfiggere i russi, al presidente ucraino servono per spingere noi ancor più dentro la contesa. Al limite, per trasformarla, da guerra per procura, in guerra diretta. Lavrov, ieri, ha denunciato: gli attacchi alla Federazione sono coordinati dalla Nato, che «trasferisce a Kiev i dati della sua ricognizione militare e spaziale». L’influente politologo Sergej Karaganov ha invitato i leader russi a smetterla di fare i finti tonti: «È tempo di dichiarare», ha detto, «che abbiamo il diritto di rispondere a qualsiasi attacco massiccio sul nostro territorio con un attacco nucleare». Anche Putin ha alzato i toni: se Kiev usa i missili a lungo raggio contro di noi, allora «i Paesi Nato sono in guerra con la Russia». Continuiamo a scommettere che sia un bluff? <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/kiev-missili-londra-washington-zelensky-2669198492.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="adesso-scholz-parla-da-meloniano-scegliamo-noi-chi-accogliere" data-post-id="2669198492" data-published-at="1726207935" data-use-pagination="False"> Adesso Scholz parla da meloniano: «Scegliamo noi chi accogliere» In Germania è definitivamente scoppiata la bomba migratoria e i cittadini tedeschi non si sentono più al sicuro. La situazione, quanto mai critica, è stata ben affrescata dal ministro dell’Interno, Nancy Faeser, in una lettera indirizzata alla Commissione europea: in Germania le strutture dell’accoglienza sono al collasso e le risorse di Stato e Länder sono «quasi esaurite». Incalzato dalle vittorie elettorali di Afd, il governo della coalizione semaforo ha quindi annunciato misure più severe per bloccare l’immigrazione clandestina. Le nuove disposizioni dovrebbero entrare in vigore lunedì prossimo e avere una durata di sei mesi. Ma per Olaf Scholz si sta rivelando più difficile del previsto trovare la necessaria copertura politica: i Verdi, immigrazionisti impenitenti, spingono per misure blande, mentre i partiti dell’Unione (Cdu e Csu) intendono respingere tutti i richiedenti asilo al confine, applicando alla lettera il cosiddetto sistema Dublino (gli immigrati se li prende in carico il Paese di primo ingresso). Tant’è che il vertice di martedì tra la Faeser e i conservatori, prima forza d’opposizione, è stato un completo fallimento: dopo pochi minuti, i cristiano-democratici hanno alzato i tacchi e hanno sbattuto la porta. Messo all’angolo, Scholz ha perso le staffe. Durante il dibattito generale di mercoledì al Bundestag, infatti, il cancelliere ha abbandonato il suo consueto aplomb e ha accusato la Cdu - con toni durissimi - di aver «fatto teatro», e cioè di aver deciso in anticipo di mandare a monte l’intesa. La risposta del leader della Cdu, Friedrich Merz, è stata perentoria: l’accusa di aver fatto solo scena è «semplicemente infame». In ogni caso, dichiarando che «per una discussione le porte rimangono aperte», Scholz si è messo a fare l’anti-immigrazionista: «Cosmopolitismo non significa far entrare chiunque lo desideri. Dobbiamo poter scegliere chi accogliere in Germania. Occorre ridurre il numero di coloro che arrivano irregolarmente e rimpatriare quelli che non possono restare». Parole che avrebbe potuto pronunciare Giorgia Meloni. Anche Oltreoceano, del resto, la sinistra sembra aver cambiato rotta: il governo di Joe Biden, per esempio, ha imposto restrizioni sui visti agli alti funzionari di una compagnia europea di voli charter per aver «favorito l’immigrazione irregolare» attraverso il Nicaragua. Ad ogni modo, è proprio vero che in Germania siamo di fronte a una «grande svolta» nelle politiche migratorie, come l’ha definita Scholz? A ben vedere, le cose stanno diversamente. Non a caso, nel suo accorato discorso, il cancelliere ha rievocato per l’ennesima volta il passato nazista del Paese e la necessità per la Germania di aiutare i perseguitati: «Questo dice la nostra Costituzione e non lo metteremo mai in discussione». Ma così, appunto, siamo punto e accapo: chiunque sosterrà di essere un rifugiato politico potrà entrare in Germania senza soverchie difficoltà. Ed è proprio quello che la Cdu non vuole più tollerare. Al di là di questo, inoltre, permangono anche numerosi problemi di natura logistica. Il sindacato della polizia tedesca (Gdp), per esempio, ha fatto sapere che, per ottemperare alle nuove disposizioni, occorre assumere non meno di 5.000 agenti, visto che le forze attuali sono ormai sovraccariche. Insomma, Scholz ha alzato i toni, ma non saranno certo due strilli a risolvere una situazione sempre più precaria.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.