Fino al 17 aprile, in mostra a Palazzo Blu di Pisa ben 170 opere del genio indiscusso della street art e artista dal tratto inconfondibile, che proprio nella città della Torre ha soggiornato nel 1989 per dipingere su una parete del convento di Sant'Antonio il notissimo e gigantesco murale Tuttomondo, ultima opera pubblica realizzata prima della sua prematura scomparsa.
Fino al 17 aprile, in mostra a Palazzo Blu di Pisa ben 170 opere del genio indiscusso della street art e artista dal tratto inconfondibile, che proprio nella città della Torre ha soggiornato nel 1989 per dipingere su una parete del convento di Sant'Antonio il notissimo e gigantesco murale Tuttomondo, ultima opera pubblica realizzata prima della sua prematura scomparsa.Ora c’è Bansky. Ma all’origine, fra la fine degli anni ’70 e l’inizio dei ’90, ci furono Jean-Michel Basquiat e Keith Haring. E i muri di Manhattan e della metropolitana di New York « imbrattati » dalle loro opere. Graffiti. Street art. Colori in libertà, disegni tribali, tratti elementari dalla forte carica politico-sociale: l’Aids (pandemia del secolo scorso), i diritti dei gay e delle minoranze, l’Apartheid, la violenza, la droga, la guerra, i temi che emergono dalla loro opere. Amici l’uno dell’altro. Entrambi amici di Andy Warhol, guru della pop art e re della sua «factory » di artisti, noti, o destinati a diventarlo. Genio e sregolatezza. Vittime entrambi di una morte precoce: stroncato a 28 anni da un mix di droghe Basquiat, ucciso a 32 dall’Aids Haring.Ed è proprio a quest’ultimo che Pisa dedica una mostra a Palazzo Blu. Una mostra di 170 opere, tutte provenienti dalla Nakamura Keith Haring Collection - collezione privata di Kazuo Nakamura (uno dei maggiori character designer del Sol Levante) - di Hokuto, in Giappone.La Mostra a Palazzo BluCurato da Kaoru Yanase ( Chief Curator della Nakamura Keith Haring Collection) e diviso in nove sezioni, il percorso espositivo ripercorre l’intera carriera artistica di Haring e la sua ampia gamma di tecniche espressive: da Subway Drawings (1981-1983), i «disegni della metropolitana», che segnarono l’inizio della sua notorietà e restano senza ombra di dubbio i suoi lavori più noti al grande pubblico, fino alle diciassette serigrafie intitolate The Bluprint Drawings, la sua ultima serie su carta pubblicata nel 1990, un mese prima della sua morte. Nel mezzo, anche di un gran numero di cover: una delle più note è per un album di David Bowie del 1983, che raffigura due omini stretti in un radioso abbraccio.Una parabola artistica breve ma intensa quella di Haring, fatta di tele coloratissime, tinte fluorescenti che brillano sotto la luce nera e da soggetti inconfondibili, universali e inequivocabili: omini danzanti, cuori, cani che abbaiano, piramidi, dischi volanti ed extraterresti, disegni tribali, linee infinite che seguono percorsi inverosimili. Tutto stilizzato, tutto semplificato. Forse anche perché Haring ha lavorato per tutta la vita con i bambini di ogni età e provenienza, pubblicando per loro libri e organizzando laboratori creativi.Ma in mostra c’è anche la parte più «oscura» dell’artista, quella più consapevole e dolorosa, che nasce dopo la scoperta di essere positivo all’HIV: è di questo periodo la serie Apocalipse (1988), realizzata in collaborazione con lo scrittore beat William Burroughs e caratterizzata, oltre che dalla tecnica del collage, da un tratto più profondo e complesso, con scene di caos amplificate, specchio di un tormentato inferno personale, seppur con l’immancabile tocco ironico e satirico. Haring, la morte e la speranzaOrmai devastato dall’Aids, due giorni prima di morire, troppo debole anche per parlare, Haring prense un pennarello e, dopo vari tentativi, riuscì a disegnare qualcosa: quel qualcosa era un « bambino radiante», il contorno di un neonato stilizzato e gattonante che irradiava luce ovunque, senza mai fermarsi. Quel bambino era il suo « autoritratto», Harring stesso e la sua arte, che gli ha regalato l’immortalità ed è arrivata ovunque. Come la luce. Come ha sempre desiderato lui: arrivare ovunque grazie alla sua arte, per diffondere messaggi universali ed edificanti. Di speranza. Nonostante tutto...Haring a Pisa e il murale «Tuttomondo»Un discorso a parte merita il murale «Tuttomondo» e il rapporto che l’artista ebbe con la città toscana, che rivive in mostra grazie ad una meravigliosa serie di immagini in bianco e nero. L'avventura pisana di Keith Haring nacque da un incontro fortuito tra l'artista e il giovane studente Piergiorgio Castellani, avvenuto a New York nel 1987. Castellani propose ad Haring di realizzare qualcosa di grande in Italia e l'artista accettò: fu così che prese forma il «Keith Haring Italian Project», un vero e proprio lavoro corale. Castellani portò Haring a Pisa, la Chiesa mise a disposizione la parete del Convento di Sant'Antonio quale superficie per dipingere, il Comune e la Provincia coordinarono il progetto, l'università partecipò tramite diversi studenti che aiutarono l'artista quali assistenti. Il 20 Giugno 1989 viene così inaugurato «Tuttomondo», monumentale dipinto murale che occupa una superficie di 180 metri quadri , diventato negli anni una delle grandi attrazioni della città di Pisa, custode di una delle ultime grandi opere dell’artista. Un vero e proprio inno alla gioia, che tutt'oggi è considerato il suo testamento artistico.
L' Altro Picasso, allestimento della mostra, Aosta. Ph: S. Venturini
Al Museo Archeologico Regionale di Aosta una mostra (sino al 19 ottobre 2025) che ripercorre la vita e le opere di Pablo Picasso svelando le profonde influenze che ebbero sulla sua arte le sue origini e le tradizioni familiari. Un’esposizione affascinante, fra ceramiche, incisioni, design scenografico e le varie tecniche artistiche utilizzate dall’inarrivabile genio spagnolo.
Jose Mourinho (Getty Images)
Con l’esonero dal Fenerbahce, si è chiusa la sua parentesi da «Special One». Ma come in ogni suo divorzio calcistico, ha incassato una ricca buonuscita. In campo era un fiasco, in panchina un asso. Amava avere molti nemici. Anche se uno tentò di accoltellarlo.