2023-08-13
La mossa del dipartimento di Giustizia dice che Joe Biden è sotto inchiesta?
Hunter e Joe Biden (Getty Images)
La nomina a procuratore speciale dell’inquirente che si occupava dei guai fiscali di Hunter, oltre a dargli più poteri, apre un nuovo scenario. La pista delle influenze straniere per fare affari porta dritta al padre.Ricordate quando dicevano che i sospetti su Hunter Biden erano tutte teorie complottistiche? Beh, pare proprio che le cose non stiano così. L’altro ieri, il capo del Dipartimento di Giustizia, Merrick Garland, ha nominato come procuratore speciale l’attuale procuratore federale del Delaware, David Weiss, che dal 2019 sta portando avanti un’indagine penale sul figlio del presidente americano. «Martedì, il signor Weiss mi ha informato che, a suo giudizio, la sua indagine aveva raggiunto una fase in cui avrebbe dovuto continuare il suo lavoro come procuratore speciale. E ha chiesto di essere nominato tale», ha detto Garland. «Dopo aver considerato la sua richiesta, nonché le circostanze straordinarie relative a questa questione, ho concluso che è nell’interesse pubblico nominarlo procuratore speciale», ha aggiunto. Il capo del Dipartimento di Giustizia ha anche chiarito che il procuratore speciale è autorizzato a condurre l’indagine in corso e a investigare su qualsiasi questione emersa o che potrebbe emergere da tale indagine. Al termine delle sue attività investigative, Weiss dovrà consegnare un rapporto. Secondo Cnn, Garland non avrebbe informato in anticipo la Casa Bianca della sua mossa. Si tratta di una svolta significativa. Il procuratore speciale gode infatti di poteri molto più ampi rispetto al semplice procuratore federale. Tale nomina porta quindi a ritenere che l’indagine sul figlio di Joe Biden poggi su basi concrete. Ricordiamo che Hunter si era dichiarato colpevole di due reati fiscali e che aveva raggiunto un accordo relativamente all’accusa di possesso illecito di arma da fuoco. Tuttavia il patteggiamento complessivo che ne era sorto è crollato il mese scorso davanti al giudice. E venerdì lo stesso Weiss ha presentato un’istanza al tribunale, sostenendo che, dopo il sostanziale fallimento delle trattative tra le parti per un nuovo patteggiamento, è assai probabile che Hunter finirà sotto processo. Non è neppure escluso che il figlio del presidente possa essere accusato di ulteriori reati fiscali in California e a Washington Dc. Non solo. Proprio nell’udienza di luglio emerse che la Procura stava continuando a indagare su Hunter per sospetta violazione della legge americana che impone la registrazione ai lobbisti operanti per conto di entità straniere. Proprio questo fattore rischia di lambire pesantemente lo stesso Joe Biden. Stando infatti alla recente testimonianza alla Camera dell’ex socio di Hunter, Devon Archer, Biden - ai tempi della vicepresidenza - fu messo in contatto circa 20 volte dal figlio con i suoi soci in affari. Una circostanza che, secondo i repubblicani, dimostra come l’attuale presidente fosse coinvolto in attività di traffico d’influenza. Senza trascurare che documenti bancari recentemente resi pubblici hanno evidenziato che i Biden hanno, negli anni, ricevuto oltre 20 milioni di dollari da soggetti stranieri controversi: si tratta di oligarchi cinesi, ucraini, russi e kazaki (con alcuni dei quali l’allora vicepresidente si intrattenne a cena, insieme al figlio, in un ristorante di Washington nel 2014 e nel 2015). E qui emerge un mistero inquietante. Differentemente dalla nomina dei due procuratori speciali che indagano su Donald Trump e Biden per i documenti classificati indebitamente trattenuti, stavolta Garland non ha chiaramente specificato la ragione della nomina di Weiss, limitandosi a parlare di «circostanze straordinarie». Non è che per caso nell’indagine in corso è coinvolto anche l’inquilino della Casa Bianca? «Alla domanda se il presidente Biden sia indagato nell’ambito di questa inchiesta, un funzionario del Dipartimento di Giustizia ha rifiutato di commentare», ha riferito venerdì Fox News. Perché, anziché smentire, il Dipartimento di Giustizia si è trincerato dietro un «no comment»? La stessa Cnn ha sostenuto che la nomina di Weiss a procuratore speciale «solleva la domanda se l’indagine in corso su Hunter Biden si sia avvicinata al presidente, sebbene non vi siano indicazioni pubbliche che sia così». Per Biden, candidatosi in aprile alla rielezione, si tratta di una spada di Damocle pericolosa, mentre i repubblicani sono sempre più intenzionati ad avviare contro di lui un processo di impeachment in autunno. Quegli stessi repubblicani che non hanno preso troppo bene la nomina di Weiss. Innanzitutto rimproverano a quest’ultimo di aver concluso con gli avvocati di Hunter un patteggiamento, poi naufragato, troppo blando. Temono inoltre che Garland lo abbia nominato per rendere più difficile la possibilità che venga chiamato a deporre in tempi brevi alla Camera. In altre parole, i deputati del Gop paventano che, con questa mossa, il Dipartimento di Giustizia, finora non distintosi effettivamente per imparzialità, intenda ostacolare la loro indagine parlamentare sui Biden. Come che sia, quanto sta accadendo è molto grave. I sospetti su Hunter non erano teorie del complotto. Ed è strano che una tale vicenda susciti così scarso interesse mediatico. Questo quotidiano, in Italia, ha seguito quasi in solitaria, negli anni, documenti e rivelazioni sugli opachi affari di Hunter e dei suoi famigliari, oltre alle loro implicazioni politiche. E adesso possiamo dirlo: avevamo ragione a tenere alta l’attenzione.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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