2022-01-24
«Basta con i vaccini perpetui. È ora di puntare sulle terapie»
L’esperta di San Francisco Jeanne Noble: «Dico no all’obbligo, rifiutare l’iniezione è una scelta personale. Le restrizioni vanno abolite: molti ricoverati positivi non hanno il Covid».Jeanne Noble non è una no vax, non è una pseudoscienziata, non è una divulgatrice di bufale, non è un premio Nobel rincretinito, per citare il giudizio di Elsa Fornero su Luc Montagnier. Noble ha un curriculum da fare invidia a tanti dei nostri telepredicatori pandemici, che quotidianamente ci bombardano di sermoni, allarmi e profezie sgangherate: è professoressa associata di Medicina d’emergenza e direttrice dell’unità di risposta al Covid all’Università della California, nella metropoli di San Francisco. Eppure, è contraria alle derive draconiane del famigerato «modello italiano», che le illustriamo, nonché alle pur meno drastiche contromisure prese nel suo sunshine State. In sintesi: no all’obbligo vaccinale, no all’assalto ai bambini con la siringa in mano, no alle mascherine all’aperto, no alla psicosi da bollettini dei contagi.Professoressa, in Italia, da un po’, è ridiventato obbligatorio indossare i Dpi all’aperto anche nelle regioni «bianche», cioè quelle classificate a minor rischio epidemiologico. Ha senso?«No. All’aperto, la trasmissione del Covid è incredibilmente rara: dà conto di meno dell’1% di tutte le infezioni e, probabilmente, di meno dello 0,01%. Politiche simili non avranno alcun impatto misurabile persino in aree ad alta trasmissione, figuriamoci in quelle a bassa circolazione virale». In un recente articolo uscito su Time, lei e la sua collega Monica Gandhi chiedete che si distingua tra i ricoverati con il Covid e quelli per il Covid. Altro tema scottante, nel Belpaese…«Be’, quest’ampia sovrastima dei ricoveri da Covid ha un impatto diretto sulle politiche pubbliche».Anche negli Usa?«In California, il segretario alla Salute, Mark Ghaly, ha esteso l’obbligo di mascherine nei luoghi chiusi fino al 15 febbraio, proprio in risposta all’aumento di ricoveri Covid e alla supposta necessità di “proteggere i nostri ospedali”». Aveva torto?«Se un terzo di questi ricoveri sono incidentali e includono pazienti che arrivano in reparto per motivi diversi dal Covid, ma ricevono un test positivo all’ingresso, significa che stiamo attuando restrizioni inutili».Bisogna riconoscere che i nostri governatori delle Regioni, su questo, si stavano muovendo in un’altra direzione rispetto alla California. «Anche la copertura mediatica sugli ospedali “al collasso”, però, tende ad accrescere il timore e l’ansia nelle persone. Il che non è sano per una democrazia, specie se il grado della crisi viene esasperato».Bisogna infischiarsene del numero di infezioni?«Sì. È più che ora di finirla di basare la gestione pubblica della pandemia sul numero di casi. Il numero di casi non è più indicativo dei successivi ricoveri o dei decessi. Anzi, di nuovo, esso tende ad aumentare l’ansia della gente e a portare a restrizioni non necessarie, che danneggiano le popolazioni vulnerabili».Però, se aumentano i contagi, aumenteranno pure i ricoverati, quand’anche questi fossero solo una frazione dei nuovi positivi.«Alcuni funzionari di sanità hanno sostenuto che, sebbene Omicron causasse una malattia meno grave, un numero di casi così elevato dava praticamente la garanzia che gli ospedali sarebbero stati lo stesso sopraffatti. Non è andata così».No?«Qui all’Università della California di San Francisco, in realtà, i ricoveri pediatrici stanno già diminuendo e il numero di ospedalizzazioni di adulti sembra aver raggiunto il picco. Al momento, abbiamo solo otto bambini ricoverati per Covid nei nostri due nosocomi pediatrici. Nei tre per adulti, abbiamo in totale 45 pazienti ospedalizzati per Covid. Non sono numeri travolgenti».Meglio abbandonare le misure di mitigazione e sfruttare Omicron per raggiungere la famosa immunità di gregge?«In effetti, credo che sia ora di lasciarci alle spalle le restrizioni. Vaccini molto efficaci sono disponibili da parecchi mesi. Quelli che hanno scelto di vaccinarsi hanno un’eccellente protezione dalla malattia grave e dalla morte».E i no vax?«Chi ha rifiutato la vaccinazione si sta assumendo un rischio maggiore, ma, a questo punto, credo che sia una loro scelta personale. Dobbiamo quindi soppesare rischi e benefici delle restrizioni anti Covid».Qual è il risultato del bilanciamento?«Nell’era post vaccinazioni, i costi di lockdown, chiusure delle scuole, limiti alle visite in ospedale e molte altre politiche draconiane, superano ampiamente i vantaggi, in termini di una piccola potenziale riduzione della trasmissione del virus».A proposito di politiche draconiane: l’Italia ha introdotto l’obbligo di vaccinazione per gli over 50.«Credo sia passato il tempo di imporre obblighi vaccinali. Dobbiamo cominciare a trattare il Covid in modo simile ad altre malattie endemiche. Creare una società stratificata, una dei vaccinati e una dei non vaccinati, è malsano per le democrazie e alimenterà la sfiducia nei confronti delle istituzioni pubbliche».Allora la stupirò: il nostro Paese condanna alla Dad, in caso di focolaio in classe, non solo gli studenti tra 12 e 17 anni non vaccinati, ma pure quelli vaccinati con due dosi da più di quattro mesi e privi di booster. «È il momento di farla finita con i lockdown delle scuole, o con qualsiasi altra limitazione alla frequenza delle lezioni. Non c’è prova che rispedire i bambini a casa dall’ambiente sorvegliato della scuola riduca la diffusione del Covid nella comunità. Intanto, però, ciò priva i ragazzi del loro diritto basilare all’educazione e a un’adeguata socializzazione».Ma i bambini vanno vaccinati?«La loro salute è minacciata meno dal Covid che dall’influenza, anche senza vaccinazione. Dobbiamo smetterla di concepire i bimbi semplicemente come vettori della malattia e prendere in considerazione i loro bisogni più ampi in quanto esseri umani». Sui rischi dell’iniezione per i più piccoli, che opinione ha?«Ci sono dati preoccupanti sul fatto che i ragazzi tra i 12 e i 25 anni siano a elevato rischio di miocardite a causa dei vaccini a mRna. Abbiamo bisogno di più dati e di un approccio sfumato alla vaccinazione dei bambini».In che senso?«Può ben darsi che una dose singola di vaccino a mRna, o due dosi somministrate a un intervallo ancora maggiore, costituiscano il miglior bilanciamento tra la protezione dei nostri figli dal Covid grave e la riduzione degli effetti collaterali della vaccinazione».Sono sostenibili richiami per l’intera popolazione una o due volte l’anno?«Non sappiamo quanto a lungo i nostri vaccini offrano alti livelli di protezione dalla malattia grave e della morte. Finora, i decisori politici stanno facendo affidamento principalmente su studi che esaminano il livello di anticorpi nel siero, ma che sono incapaci di misurare la più duratura risposta delle nostre cellule T».Quindi?«È possibile che sia sufficiente un richiamo annuale, come con gli antinfluenzali. Ma è molto più importante aumentare il numero di persone che ricevono la loro prima dose, che non quello di coloro che ricevono la terza. In più, è eticamente sbagliato promuovere i booster tra la popolazione americana, quando meno del 10% di quella africana è stata vaccinata».E se invece di pensare a richiami eterni, ci concentrassimo di più sulle cure per chi veramente si ammala?«Sì, ora abbiamo diversi medicinali molto efficaci per trattare un’infezione sintomatica da Covid. Dare la priorità all’accesso alle terapie è un modo più efficiente e meno costoso di prevenire malattia grave e mortalità, che non la promozione perpetua dei booster».
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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Chi ha inventato il sistema di posizionamento globale GPS? D’accordo la Difesa Usa, ma quanto a persone, chi è stato il genio inventore?
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