2024-01-03
L’Istat smentisce i dati Iss sul virus: gonfiate le cifre dei morti under 20
Nel report del 2020, l’Istituto riportava nove casi nella fascia 0-9 anni e dieci in quella 10-19. Numeri usati per far vaccinare i piccoli. Ma l’Ente di statistica rivede i calcoli: in totale i decessi dei giovanissimi furono sei.In Europa milioni di pillole di Paxlovid andranno distrutti. A causare l’inutilizzo la fine dell’emergenza e le complesse norme per l’autorizzazione e la prescrizione ai pazienti.Lo speciale contiene due articoli.«Basta bambini e adolescenti strappati alle famiglie dal Covid». La corsa a vaccinare i più piccoli nel 2021 venne giustificata continuando a evocare l’orrore dei nove morti deceduti nel 2020 nella fascia 0-9 anni, e di ben dieci in fascia 10-19. Dati che risultavano settimanalmente dai bollettini dell’Istituto superiore della sanità (Iss) e che furono poi inseriti nel report finale del 29 dicembre 2020. Secondo il documento, nel primo anno della pandemia si erano verificati 19 decessi negli under 20, con la precisazione che «la tabella non include i casi per cui non sono noti il sesso e l’età», quindi avrebbero potuto essere in numero maggiore. Invece i morti (per fortuna) furono assai meno, però ci venne fatto credere il contrario. Lo rivelano i numeri forniti dall’Istat, che impiega un paio d’anni e compie parecchie verifiche prima di pubblicare i dati nazionali. Il 26 maggio 2023 aveva reso note le cause di morte in Italia nel 2020, mentre il file per gli addetti ai lavori viene fornito su richiesta. A dipanare la matassa ci ha aiutati ancora una volta l’esperto in statistica, Eugenio Florean, con un risultato a dir poco sorprendente. In base agli accertamenti dell’Istat, nel 2020 in realtà ci fu un solo decesso in fascia 0-9 anni, e cinque morti in quella 10-19. Il report dell’Istituto superiore della sanità aveva moltiplicato i morti tra i giovanissimi rispettivamente dell’800% e del 100%. Le sigle, che potete vedere nella tabella, si riferiscono alla classificazione statistica internazionale delle malattie e dei problemi sanitari correlati (Icd-10), aggiornata nel 2020 dall’Oms e utilizzata dall’Istat. Il codice U07.1 si applica in caso di Covid-19 identificato; il codice U07.2 quando il virus non è stato identificato per «test di laboratorio dubbi o inconcludenti o non disponibili»; mentre il codice U10.9 indica come causa la «sindrome infiammatoria multisistemica associata a Covid-19, non specificata». Dei cinque decessi in fascia 10-19 indicati dall’Istat, solo solo furono con Covid identificato. Stiamo dunque parlando di dati per nulla corrispondenti ai decessi reali, e non si comprende come mai il centro di riferimento per la salute nazionale abbia potuto fornire numeri così sbagliati. Alimentando nelle istituzioni e nei cittadini la convinzione che il Sars-CoV-2 avesse conseguenze letali nei giovanissimi. «Dimostrate ai vostri figli quanto bene volete loro conferendo il massimo della protezione possibile», così si rivolgeva ai genitori l’allora coordinatore del Cts, Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità, nell’annunciare l’avvio dal 16 dicembre 2021 della campagna vaccinale contro il Covid-19 per la fascia d’età 5-11 anni. Snocciolava dati su ospedalizzazioni, ricoveri in terapia intensiva, decessi. In realtà, i morti nel 2020 tra gli under 20 erano stati sei. Certo, meglio che nessun bambino muoia, ma chissà di quali patologie soffrivano quando presero il virus e, in confronto ai 32.673 decessi in fascia 80-89 riportati dall’Istat, non erano un numero tale da giustificare l’accanimento nel volerli vaccinare.«Il vaccino serve per tutelare i bambini stessi perché, come dicono i numeri, non è vero che i più piccoli non possono essere ricoverati per Covid. In neonatologia o pediatria l’incremento dei casi c’è stato. Un altro motivo riguarda la socialità, ovvero per riprendere in tranquillità il rapporto con i nonni o persone più esposte alla malattia grave e più esposti a rischio», aveva dichiarato un mese prima Fabio Ciciliano, esperto di medicina delle catastrofi, allora componente del Comitato tecnico scientifico». Sempre a novembre 2021, ospite di Coffee break su La7, l’infettivologo Matteo Bassetti discettava: «Per i bambini il vaccino è un’opportunità perché evita che si contagino con un virus che dà meno complicanze, ma non sono zero», e perché «rende le scuole più sicure e contribuisce a darci l’immunità di gregge». Il vaccino che evita il contagio, una barzelletta.L’Istituto Mario Negri, nel raccomandare a dicembre 2021 di vaccinare i più piccoli perché «anche i bambini “sani”, che non presentano particolari fattori di rischio, rischiano la malattia grave e il ricovero in ospedale», rassicurava che l’iter seguito per l’autorizzazione in via emergenziale «è stato esattamente lo stesso degli adulti, quindi molto rigoroso». Sic! E che in «riferimento alla tecnologia impiegata nel vaccino a mRna, questa piccola molecola contenuta nei vaccini si degrada in breve tempo, nell’arco di due giorni […] Una volta che l’mRna viene eliminato, anche la produzione della proteina cessa. Non ci sono perciò evidenze per ritenere che questa tecnologia, studiata da più di dieci anni, possa comportare dei problemi di salute a lungo termine». Non è affatto vero, un lavoro su Cell ha mostrato che la Spike si può trovare fino a 62 giorni dal secondo inoculo e non è escluso che permanga più a lungo, con problemi non ancora affrontati. Pensare che nel rapporto Unicef del 25 giugno 2020 dal titolo Coronavirus e rischi per l’infanzia, cosa c’è da sapere, veniva dichiarato che dall’inizio dell’epidemia in Italia «solamente il 2,8% dei casi tra bambini e ragazzi ha richiesto terapie in ambito ospedaliero», e che «fino a oggi risultano 4 decessi e nessun ricovero in terapia intensiva di pazienti nella fascia di età compresa tra 0 e 20 anni». A fine anno, l’Istituto superiore della sanità riusciva a conteggiarne 19.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/iss-dati-covid-morti-2666856561.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="antivirali-scaduti-buttati-2-miliardi" data-post-id="2666856561" data-published-at="1704279208" data-use-pagination="False"> Antivirali scaduti, buttati 2 miliardi È un’eredità di sprechi per miliardi di euro quella lasciata dalle errate politiche per fronteggiare il Covid. Oltre ai maxi acquisti di vaccini, effettuati senza valutare il reale fabbisogno, scaduti o vicini alla scadenza (oltre 200 milioni), c’è la grande quantità di antivirali ordinati rimasti inutilizzati perché vittime di processi autorizzativi complessi e iper burocratizzati, nonché di una campagna tutta centrata sui vaccini e pochissimo sulla cura. Tant’è che ancora oggi i farmaci restano sugli scaffali e presto dovranno essere mandati al macero. Il costo di tale spreco per i sistemi sanitari europei è di 2 miliardi di euro, che salgono a oltre 6 miliardi se si considerano anche i vaccini. Il bilancio di tale scandalo è riportato da un’analisi realizzata da Airfinity citata anche dal Financial Times. A fine novembre, nei Paesi europei, erano scaduti già oltre 1,5 milioni di cicli dell’antivirale Paxlovid, prodotto da Pfizer, e si stima che si arriverà a 3,1 milioni entro febbraio prossimo. Sono numeri sottostimati, poiché lo studio non comprende tutti i Paesi europei. Questo farmaco, progettato per essere somministrato ai malati di Covid poco dopo essere risultati positivi, cura le forme più gravi del virus con una copertura altissima, pari a quasi il 90%. Mentre negli Stati Uniti è stato ampiamente utilizzato, in Europa ha incontrato numerosi ostacoli, innanzitutto ideologici e quindi burocratici. Il paradosso è che nonostante i paletti, sono partiti ugualmente gli ordini con spese miliardarie, ma con il risultato che le pillole hanno avuto un impiego limitato e sono rimaste in giacenza in gran quantità. La lotta al Covid è stata al tempo stesso costosa e inefficace a causa di una strategia poco attenta alla cura e alla mancata coordinazione tra acquisti e distribuzione. La vicenda degli antivirali nel nostro Paese è stata folle. La procedura prevedeva inizialmente che il medico di famiglia facesse una selezione rapida dei pazienti idonei alla somministrazione da inviare agli ospedali. Ma questo iter, in quel momento di grande caos, con gli ambulatori intasati di richieste, si è rivelato subito troppo complicato da applicare. Il farmaco richiedeva tempi stretti che non erano quelli della burocrazia. Successivamente la procedura è stata semplificata con l’arrivo della pillola antivirale direttamente in farmacia. Per ritirarla bastava semplicemente la prescrizione del medico di famiglia. Eppure l’amministrazione è riuscita a rendere complicato anche questo meccanismo. Ai medici era richiesta la compilazione di una serie di moduli tali da disincentivare anche il più caparbio sostenitore del farmaco e la platea è stata circoscritta agli anziani e ai fragili a rischio come i malati oncologici o con malattie cardiovascolari gravi o fortemente diabetici. Inoltre, sin dall’inizio l’antivirale è stato contrapposto al vaccino con una cattiva comunicazione. Il bilancio dell’uso del Paxlovid è lo specchio della fallimentare politica anti Covid. Arrivato all’inizio del 2022, c’è stata una impennata di acquisti sia in Italia che in tutta Europa, a seguito della diffusione della variante Omicron più contagiosa, ma proprio a causa delle regole limitanti, a luglio scorso lo avevano assunto solo 130.000 italiani. Nel 2022 le vendite di Paxlovid sono state pari a 19 miliardi di dollari, ma a ottobre scorso Pfizer ha dichiarato che i ricavi nel 2023 sarebbero stati di circa 1 miliardo, in calo del 95% rispetto al 2002. Un crollo sul quale ha pesato la scelta degli Stati Uniti di rinegoziare l’accordo con Pfizer per restituire le scorte da 7,9 milioni di prodotto. L’esito degli antivirali è simile a quello dei vaccini che, passata la fase obbligatoria, hanno registrato una vera e propria fuga, lasciando il prodotto nei magazzini. Secondo il quotidiano Politico, l’Italia avrebbe già distrutto oltre 49 milioni di dosi di vaccini, circa un terzo di quelli acquistati finora. Abbiamo scalato il record dei primati: siamo al secondo posto dopo la Germania con 83 milioni di dosi distrutte.
Edoardo Raspelli (Getty Images)
Nel riquadro: Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo (Getty Images)
L'ex procuratore di Pavia Mario Venditti (Ansa)