2025-08-26
Tagli Irpef in vista per 11 milioni di italiani
Il governo proverà ad alleviare il carico fiscale sul ceto medio. Allo studio la riduzione della seconda aliquota dal 35% al 33%, con un costo di 4 miliardi. Se le risorse non lo permettono, lo schema B è il taglio di un solo punto ai redditi tra 28.000 e 50.000 euro.Con la chiusura della pausa estiva riprendono i lavori sulla prossima legge di Bilancio, con un occhio di riguardo alle imposte sul reddito. In cima all’agenda del governo c’è ancora la promessa di alleggerire il carico fiscale sul ceto medio attraverso la riduzione della seconda aliquota Irpef dal 35% al 33%. Secondo le prime stime, questo intervento coinvolgerebbe circa 11 milioni di contribuenti e costerebbe intorno ai 4 miliardi di euro. Tuttavia, la realizzazione dipenderà dalle risorse effettivamente disponibili: in caso di stanziamenti minori, è ipotizzabile un taglio più contenuto, pari a un solo punto percentuale.Il sistema Irpef italiano è strutturato per scaglioni di reddito. Dalla legge di Bilancio 2025, le aliquote sono state stabilizzate a tre livelli: il 23% fino a 28.000 euro, il 35% tra 28.000 e 50.000 euro e il 43% oltre 50.000 euro. Si tratta di un’imposta progressiva: a redditi più alti corrispondono aliquote maggiori. Nel tempo, però, l’Irpef è diventata particolarmente gravosa per la fascia medio-alta di reddito, tanto che una quota relativamente piccola di contribuenti, circa l’11% di chi dichiara tra 40 e 120.000 euro, sopporta da sola oltre un terzo dell’intero gettito Irpef. Questo squilibrio è alla base delle ragioni politiche a sostegno del taglio proposto.Le opzioni sul tavolo per la prossima manovra fiscale sono sostanzialmente due. La prima prevede il taglio di due punti percentuali, dal 35% al 33%, misura considerata più ambiziosa e promossa soprattutto da Forza Italia. L’idea è di estendere il secondo scaglione fino a 60.000 euro di reddito e applicare l’aliquota ridotta a quel tetto. Secondo dichiarazioni di governo e maggioranza, questa misura colpirebbe la fascia media fino a 60.000 euro e costerebbe circa 4 miliardi di euro. La seconda ipotesi, più contenuta, si limiterebbe a un taglio di un solo punto percentuale, portando l’aliquota dal 35% al 34% per i redditi tra 28.000 e 50.000 euro.Le simulazioni ufficiali distinguono chiaramente queste due ipotesi, indicando risparmi differenti a seconda dell’ampiezza dell’intervento e del reddito di chi ne beneficia. In linea di principio, entrambe le opzioni mirano a favorire soprattutto i redditi medio-alti, ma con risultati diversi in termini di gettito complessivo e platea interessata.Le analisi di alcuni istituti come la Fondazione nazionale dei commercialisti hanno quantificato gli impatti sulle buste paga dei lavoratori dipendenti e sui redditi di autonomi e pensionati. I dati mostrano che i lavoratori dipendenti con redditi superiori ai 35.000 euro sarebbero i principali beneficiari. Con un taglio di un punto, un dipendente con reddito lordo di 40.000 euro risparmierebbe circa 543 euro netti all’anno, mentre con due punti di taglio il guadagno salirebbe a 627 euro. Diversa la situazione per chi guadagna tra 30.000 e 35.000 euro: in questa fascia, a causa del contemporaneo taglio del cuneo fiscale già varato in precedenza e del gioco degli scaglioni, si registrerebbero effetti negativi. Un reddito di 30.000 euro vedrebbe un aumento d’imposta di circa 101 euro l’anno, e uno di 35.000 euro di circa 145 euro con la riduzione al 34%. Con due punti di taglio, le perdite sarebbero leggermente più contenute, rispettivamente intorno ai 101 e ai 107 euro.Per autonomi e pensionati lo scenario appare differente. Le stime confermano vantaggi in tutte le fasce di reddito, anche se alle soglie più basse, tra i 30.000 e i 35.000 euro, gli importi sarebbero molto modesti: circa 20 euro annui con un taglio di un punto e 40 euro con due punti. In sintesi, i benefici maggiori ricadrebbero sui redditi medio-alti, attorno ai 40.000 euro e oltre, mentre ai redditi più bassi della fascia presa in considerazione si registrano effetti marginalmente negativi o pressoché nulli.Il nodo cruciale della riforma resta il reperimento delle risorse. Stime della Fondazione commercialisti indicano che per finanziare completamente il passaggio al 33% fino a 60.000 euro servirebbero tra i 2,5 e i 4 miliardi. Il concordato preventivo biennale delle partite Iva, strumento già previsto nel 2024, potrebbe garantire circa 1,3 miliardi di gettito, cifra sufficiente a finanziare solo un taglio di un punto. Per arrivare a due punti di riduzione servirebbero circa 2,5 miliardi, nel caso in cui non si allarghi lo scaglione oltre i 50.000 euro. In ogni scenario, la platea degli interessati rimarrebbe di circa 11 milioni di contribuenti.Per coprire la spesa di 4 miliardi complessivi si ipotizzano quindi più leve. Oltre al concordato biennale, il governo guarda alla lotta all’evasione fiscale e all’introduzione di nuove misure di rientro, una sorta di pace fiscale più selettiva. È allo studio una nuova versione della rottamazione e del ravvedimento operoso che escluderebbe i cosiddetti «furbetti» dei condoni seriali e prevederebbe dilazioni fino a dieci anni, ma senza sconti per gli evasori recidivi.Intanto, Forza Italia spinge con forza sul taglio al 33% fino a 60.000 euro, definendolo un punto non negoziabile. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, però, invita alla prudenza. Il rispetto dei vincoli europei, il consolidamento dei conti pubblici e la volontà di riportare il deficit sotto il 3% restano infatti condizioni imprescindibili.