
Wargames. Come se non ce ne fossero abbastanza di vere, l’Unione europea prosegue la marcia militare verso la sua personalissima guerra immaginaria. E per ammantarsi di un’inesistente nobiltà d’intenti arriva a chiamare in causa Franklin Delano Roosevelt. Ieri nella Conferenza dell’industria per la Difesa, il commissario europeo Andrius Kubilius ha lanciato «il piano della vittoria» 84 anni dopo Pearl Harbour. Il politico lituano ha ammesso: «Ultimamente ho pensato molto a Jean Monnet, uno dei padri fondatori dell’Unione europea e anche uno dei padri fondatori della vittoria nella Seconda guerra mondiale. Monnet aiutò Roosevelt a preparare il suo Piano della vittoria con un bilancio che mostrava le carenze in termini di armamenti e la produzione necessaria per colmare tali lacune».
A Bruxelles devono aver deciso di sfruttare l’occasione per farsi produrre un docufilm bellico da History Channel. Il commissario alla Difesa aggiunge: «Ho una copia di questo bilancio sulla mia scrivania. La tabella di marcia sulla prontezza della difesa è il nostro Piano della vittoria, non per vincere una guerra, bensì per prevenirla. Non misuriamo il successo in termini di profitto. La pace è il nostro obiettivo fondamentale. La nostra politica è la produzione ma il nostro scopo è la pace». Quindi gli è sembrato pertinente evocare uno dei protagonisti della Seconda guerra mondiale, che non risulta essere stata combattuta solo stringendo bulloni nelle fabbriche americane di armi.
Tutto si tiene, il clima è da elmetto e come da antica tradizione i tedeschi sono quelli che lo indossano con più disinvoltura. Secondo Der Spiegel, il ministro della Difesa Boris Pistorius intende ordinare altri 15 caccia F-35 all’americana Lockheed Martin. La Luftwaffe ne ha già commissionati 35 (i primi arriveranno nel 2027) e vuole arrivare a 50. Il ministero - lo confermerebbero documenti della Commissione Bilancio del Bundestag - ha stanziato 2,5 miliardi per la seconda tranche degli aerei ad alta tecnologia che andranno a sostituire i vecchi Tornado. La mossa va nella direzione dei desiderata di Donald Trump, che ha sollecitato i Paesi europei a rifornirsi di prodotti statunitensi aprendo il portafoglio per ottenere in cambio protezione.
La risposta positiva del cancelliere Friedrich Merz con l’imponente shopping militare non è estranea alla sua rivalutazione strategica agli occhi della Casa Bianca, che da qualche tempo guarda a Berlino con molto più favore rispetto a Parigi (per non parlare di Madrid, che guida la fila dei reprobi). Per gli esperti tedeschi il rinnovamento della flotta da combattimento è di importanza assoluta, poiché gli F-35 sono destinati anche a garantire la cosiddetta «condivisione nucleare». Vale a dire che, in caso di emergenza, gli F-35 verrebbero utilizzati per trasportare le armi atomiche statunitensi immagazzinate in Germania. Visto che avanzava qualche spicciolo, il ministero della Difesa ha ordinato anche 20 caccia Eurofighter aggiuntivi.
Fra le aziende della difesa maggiormente beneficiate dal militarismo di ritorno dell’Occidente terrorizzato da Vladimir Putin c’è Rheinmetall, punto di riferimento del Rearm voluto da Ursula Von der Leyen. Il marchio di Düsseldorf ha visto esplodere i fatturati e fatica a tener dietro agli ordinativi; i più recenti riguardano la produzione di 222 carri armati leggeri Schakal per gli eserciti tedesco e olandese. Valore 3,4 miliardi. Di questi tank progettati per neutralizzare la fanteria nemica, elicotteri e droni, 150 finiranno alla Bundeswehr e 72 all’Olanda, consegna prevista nel 2028. Anche questa accelerazione è la conferma che, mentre la politica continua a baloccarsi nei distinguo parlamentari, industriali e generali vanno di fretta, potendo contare sui 1.500 miliardi in via di stanziamento in prestito da Bruxelles.
Visto che «l’Italia ripudia la guerra» (cfr. Costituzione articolo 11) ma la guerra non ripudia l’Italia (cfr. la Storia dell’ultimo millennio), anche i nostri specialisti si danno da fare. Oggi sul tavolo del cda di Leonardo verrà aperto il progetto «Bromo» per implementare l’alleanza spaziale con la francese Thales e la franco-tedesco-spagnola Airbus in duplice chiave: arricchire l’offerta satellitare europea e fare concorrenza aperta a Elon Musk, che con Starshield (praticamente una Starlink in tuta mimetica classificata dal Pentagono) domina i cieli del pianeta.
In questo campo il vantaggio americano è enorme, si misura in termini di anni, ma la joint venture europea è fiduciosa in una rimonta. La scorsa settimana a Washington l’ad di Leonardo, Roberto Cingolani, aveva espresso fiducia nel raggiungimento di un accordo preliminare «a sovranità condivisa». In questo campo è fondamentale superare le ritrosie a rivelare e mettere insieme le specificità strategiche di ogni azienda, ma il carburante finanziario può costituire una spinta decisiva. Anche qui vale la famosa frase di Samuel Beckett, «à la guerre comme à là guerre».






