2018-05-27
La cattolica Irlanda si è arresa all’aborto
I cittadini favorevoli all'abrogazione dell'ottavo emendamento vincono con il 66,4%. Tra i sostenitori del Sì l'immancabile George Soros, ma anche gli U2, band da sempre cristiana. Dura sconfitta per i pro life, che avevano contro partiti, media e Vip. Al loro fianco è mancata la Chiesa, che ha archiviato i principi non negoziabili e ha accettato l'irrilevanza.I sondaggi lo avevano preannunciato, nonostante i No fossero dati in leggera rimonta, ma l'ex cattolicissima Irlanda ha scelto l'aborto. Il referendum per l'abrogazione dell'ottavo emendamento della Costituzione, già con gli exit poll nella tarda serata di sabato, ha mostrato la chiara vittoria dei Sì, cioè di coloro che hanno voluto cancellare la norma a tutela della vita. I primi exit poll pubblicati dall'Irish Times davano il Sì al 68% e il No al 32% e avevano tolto ogni speranza. Il risultato definitivo è arrivato in serata, utile solo a dare i dettagli di una svolta storica: il 66,4% degli irlandesi è andato a votare per legalizzare l'aborto sull'isola di Smeraldo. La Costituzione irlandese definiva illegale l'interruzione della gravidanza salvo il «concreto e reale pericolo di vita» per la madre e con questo emendamento riconosceva il bambino nel grembo materno come cittadino irlandese ancora prima di nascere. Ora, dopo la vittoria del Sì, il Parlamento non avrà più problemi di costituzionalità e potrà legiferare fissando semplicemente qualche paletto. Come ad esempio rendendo legale l'aborto fino alle 12 settimane di gravidanza, oppure copiando dai cugini inglesi che lo hanno fissato addirittura a 26 settimane. E così cade la cattolicissima Irlanda, che era ancora un baluardo contro l'aborto in Europa, anche se la secolarizzazione l'aveva già definitivamente invasa come ha dimostrato il referendum del 2015, quando l'Irlanda divenne di colpo il primo Paese al mondo a inserire il matrimonio omosessuale nientemeno che nella Costituzione.La battaglia dei pro life nel referendum del 25 maggio era decisamente in salita, tutti contro: i partiti dell'intero arco costituzione, dalla sinistra al centrodestra, la stampa e i media, cantanti e Vip di varia estrazione, e anche la Chiesa cattolica non è andata oltre il minimo sindacale. Anzi, una associazione di preti irlandesi, Association of catholic priest, lo scorso 5 maggio ha pubblicato una lettera appello in cui i reverendi spiegavano di non voler dire a nessuno «come votare», perché, scrivevano, «c'è indubbiamente un contenuto morale per questo referendum, ma come per molte altre questioni, ci sono anche dimensioni sociali, politiche e pastorali». Una retorica del «ben altro» che in bocca a dei sacerdoti suona pilatesco e di una colpevole ambiguità. In Irlanda vince ancora un'idea di libertà totalmente sganciata da qualsiasi altro valore, una libertà che si autodetermina anche rispetto al diritto alla vita. «Un voto per la libertà di scegliere», twittava il giorno del referendum l'attrice Emma Watson, una dei tanti Vip impegnati a favore dell'aborto in Irlanda. «Un voto», continuava la Watson, «per il controllo delle donne sui loro corpi, (…) un voto verso l'uguaglianza». L'attivista pro life americana Lila Rose ha risposto: «Emma, tua madre ha scelto la vita e ti ha permesso di vivere la vita incredibile che hai. Non c'è nessun diritto a “uccidere" un bambino. La nostra uguaglianza non può essere rappresentata da questo». Per la vittoria del Sì sono scesi in campo i soliti noti, il magnate George Soros con la sua Open society, con cui ha contribuito alla campagna It's Time promossa in Irlanda da Amnesty international; poi c'è stato il tweet degli U2, band ascoltatissima negli oratori, ma dall'animo decisamente radical chic; quindi, tra gli altri, gli attori Liam Neeson e Cilliam Murphy. Dalla parte del No, secondo certi media, ci sarebbero stati oscuri finanziatori pro life americani, forse gli stessi che il The Guardian aveva definito «fondamentalisti» e prontamente tirati in ballo come sobillatori nel caso del povero Alfie, il bambino inglese di 23 mesi per cui la giustizia britannica ha stabilito come «miglior interesse» quello di morire.La Chiesa, che ha sempre difeso la cultura della vita, soprattutto durante i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, appare sempre più irrilevante. Un dato di fatto a cui accondiscende, più che reagire. Basta vedere quali sono i «principi irrinunciabili» che ha recentemente elencato il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente dei vescovi italiani: un misto di vaghezza e politica (lavoro, Costituzione, democrazia) che diluisce ancora i cosiddetti «principi non negoziabili» (vita, famiglia e libertà di educazione). Una Chiesa che così riduce la sua dottrina sociale a una indefinita forma di sociologismo, priva di una saldo riferimento al trascendente.Il punto però è che nel caso dell'aborto non è immediatamente una questione di fede a essere tirata in ballo. L'incoerenza riguarda lo statuto dell'embrione, cioè il dato che non si tratta semplicemente di un grumo di cellule qualsiasi, ma che in potenza lì c'è già tutto il progetto della persona adulta che sarà. E allora come si può rispettare davvero una persona, se non la si rispetta quando si trova nello stato di feto? Altrimenti, come è successo con Alfie Evans nella sua fase terminale di vita, ci dovrà essere qualcuno che si arroga il diritto di stabilire quando e dove comincia e finisce una vita umana. E allora, anche se fosse una maggioranza a stabilirlo, il problema totalitario è dietro l'angolo.
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