
Nel 2021 i privati hanno finanziato con oltre 1 miliardo la ricerca in questo campo.Nel 2021 gli investimenti privati - quasi tutti su start up -sul nucleare a fissione di nuova generazione e su quello a fusione, ambedue oggetto di tecnologie in sana concorrenza, sono arrivati oltre il miliardo di dollari, molto di più in un solo anno di quanto investito nel settore nell'ultimo lustro. Gli investitori sono attori di mercato abituati a mettere i soldi dopo aver analizzato un'enorme quantità di dati con il criterio di anticipare il più possibile una tendenza per massimizzare il profitto futuro, per esempio: Warren Buffet, Jeff Bezos, Richard Branson, Michael Bloomberg, Bill Gates, Sam Altman, quest'ultimo con il maggior investimento singolo pari a circa 400 milioni di dollari. Parlando con alcuni loro direttori finanziari, nel ruolo di scenarista per un grande gruppo di fondi di private equity, chi scrive ha annotato che questi stanno scommettendo sul serio sullo sviluppo futuro del nucleare come soluzione principale per la missione di decarbonizzazione e riduzione dell'effetto serra che sta contribuendo a un cambiamento climatico potenzialmente devastante per i sistemi umani. Ha scommesso anche l'Eni che ha preso la maggioranza, con Equinor, nuovo e blasonato investitore di minoranza, della start up Cfs creata dal Mit di Boston che sta producendo un impianto a fusione, Sparc, con la tecnologia del confinamento magnetico del plasma: il prototipo (dimostrativo) è previsto nel 2025, al costo complessivo di 500 milioni di dollari circa. I reattori modulari del progetto Natrium sono previsti per il 2030. Altre tipologie di minireattori a sicurezza intrinseca sono già quasi pronti, la Francia ne sta valutando l'applicazione rapida a integrazione del suo già esistente grande sistema nucleare, così come il Regno Unito ne ospiterà una tipologia creata da una start up densa di investitori privati italiani. In sintesi, lo scenario rende probabile che attorno al 2030 vi sia un'ampia varietà di prototipi sia del nuovo nucleare a fissione con poche scorie sia di quello a fusione senza scorie per poterne valutare in vivo e non sulla carta le prestazioni. Ciò significa che già adesso i governi dovrebbero includere l'ipotesi nucleare nelle ecopolitiche di sostituzione dei combustibili fossili e prepararsi a decidere quale tecnologia scegliere, investendo anche loro in forma di garanzie finanziarie per attirare decine, se non centinaia, di miliardi privati per finanziare le applicazioni, nonché predisporre via simulazioni gli insediamenti e misure correlate. E le fonti alternative di energia solare, eolica e idrica finora considerate come i campioni della sostituzione del fossile contaminante? Hanno limiti di prestazione, ben rilevati di recente. Pertanto da tecnologia principale per la neutralità carbonica passeranno a opzione integrativa. A Glasgow sono finalmente emerse voci importanti, tra cui quella di Mario Draghi, che hanno dichiarato: con le tecnologie attuali la sostituzione dell'energia sporca con una pulita non sarà possibile, evidente appello pur indiretto a investire sul nucleare. Che la finanza di investimento privato aveva già anticipato nell'aprile del 2021 quando ha visto il rispettato Mark Carney ingaggiarsi nella missione Onu di organizzare il capitale privato internazionale per finanziare soluzioni vere e non finte all'ecoproblema. Uno potrebbe dire: perché solo un miliardo e passa nel 2021 se il mercato crede al nucleare? Non sarà mica green washing, cioè verdismo strumentale per marketing? La risposta è semplice: gli investimenti privati in start up, tipicamente, procedono per gradi in relazione ai risultati preliminari (milestones): probabilmente nel 2022 saranno 2 o 3 miliardi. Inoltre, ed è il punto, gli investitori privati puntano a costruire dimostratori per poi valutare concretamente dove ci sia il consenso e a quali condizioni per quale tipologia di nucleare, nonché dati precisi nel rapporto tra costi e rendimenti. Da questo dato, poi, parte l'investimento massivo e la selezione delle tecnologie. E anche delle nazioni: Regno Unito e Francia pronte per più nucleare, ma la Germania sembra di no, l'America pronta, ma con il problema di non distruggere la sua enorme industria fossile, eccetera. In sintesi: l'opzione nucleare è in assoluto la migliore per la neutralità carbonica e per avere una quantità sufficiente di energia in qualsiasi situazione climatica, ricordando che comunque andrà gestito un aumento delle temperature (il pianeta si scalda anche motu proprio) e forse una glaciazione per effetto di anomalie climatiche o oscillazioni planetarie o dell'irradiazione solare. Il capitale privato più evoluto ha annusato che non ci sono alternative serie al nucleare e sta investendo. Ma lo sta facendo con una certa prudenza, pur rischiando miliardi per i prototipi, perché mancano i dati di consenso e degli ingaggi dei governi, a parte alcuni. Valutazione della possibile posizione italiana. Al momento non c'è il consenso sul nucleare per l'opposizione di alcuni partiti, ma questi hanno un destino minoritario. I sondaggi mostrano che c'è un iniziale consenso popolare per il nucleare. Si tratta di ampliarlo, informando bene, e di stringere alleanze tecnologiche per collocare l'Italia in buona posizione nel nuovo nucleare: questo infatti sarà un fattore sia di potenza sia di efficienza, cosa che le rinnovabili non possono diventare.
(IStock)
Pure la Francia fustiga l’ostinazione green di Bruxelles: il ministro Barbut, al Consiglio europeo sull’ambiente, ha detto che il taglio delle emissioni in Ue «non porta nulla». In Uk sono alle prese con le ambulanze «alla spina»: costate un salasso, sono inefficienti.
Con la Cop 30 in partenza domani in Brasile, pare che alcuni Paesi europei si stiano svegliando dall’illusione green, realizzando che l’ambizioso taglio delle emissioni in Europa non avrà alcun impatto rilevante sullo stato di salute del pianeta visto che il resto del mondo continua a inquinare. Ciò emerge dalle oltre 24 ore di trattative a Bruxelles per accordarsi sui target dell’Ue per il clima, con alcune dichiarazioni che parlano chiaro.
Ranieri Guerra (Imagoeconomica). Nel riquadro, Cristiana Salvi
Nelle carte di Zambon alla Procura gli scambi di opinioni tra i funzionari Cristiana Salvi e Ranieri Guerra: «Mitighiamo le critiche, Roma deve rifinanziare il nostro centro a Venezia e non vogliamo contrattacchi».
Un rapporto tecnico, destinato a spiegare al mondo come l’Italia aveva reagito alla pandemia da Covid 19, si è trasformato in un dossier da riscrivere per «mitigare le parti più problematiche». Le correzioni da apportare misurano la distanza tra ciò che l’Organizzazione mondiale della sanità dovrebbe essere e ciò che era diventata: un organismo che, di fronte a una crisi globale, ha scelto la prudenza diplomatica invece della verità. A leggere i documenti depositati alla Procura di Bergamo da Francesco Zambon, funzionario senior per le emergenze sanitarie dell’Ufficio regionale per l’Europa dell’Oms, il confine tra verità scientifica e volontà politica è stato superato.
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L’annuncio per un’abitazione a Roma. La padrona di casa: «Non dovete polemizzare».
La teoria di origine statunitense della «discriminazione positiva» ha almeno questo di buono: è chiara e limpida nei suoi intenti non egualitari, un po’ come le quote rosa o il bagno (solo) per trans. Ma se non si fa attenzione, ci vuole un attimo affinché la presunta e buonista «inclusione» si trasformi in una clava che esclude e mortifica qualcuno di «meno gradito».
Su Facebook, la piattaforma di Mark Zuckerberg che ha fatto dell’inclusività uno dei principali «valori della community», è appena apparso un post che rappresenta al meglio l’ipocrisia in salsa arcobaleno.






