2021-08-19
Invasioni musulmane e distopia: da Howard a Houellebecq
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Michel Houellebecq e Robert Howard (Getty Images-Ansa)
Le cronache che giungono dall'Afghanistan rilanciano il tema dell'avanzata dell'islam, proprio nel momento in cui, complice la distruzione del «califfato» dell'Isis – che pur sopravvive come organizzazione terroristica –, sembrava che quel fronte fosse diventato secondario rispetto ad altri grandi temi, dal Covid ai cambiamenti climatici. Ma la paura – o, su altre sponde – la fascinazione per l'islam è un tema frequente nella cultura europea ormai da secoli.La stessa letteratura si è confrontata spesso con l'argomento, non di rado declinandolo in chiave distopica. Stesso discorso per un tema in parte collegato a quello dell'islamizzazione, anche se non del tutto coincidente con esso, ovvero quello del caos migratorio. In questo senso merita di essere ricordato un racconto del 1920, scritto da Robert E. Howard, il papà di Conan il barbaro. Si tratta di The Last White Man, ovvero L'ultimo uomo bianco, che nel 1991 le Edizioni di Ar hanno tradotto per la prima volta in italiano. L'idea di questo racconto apocalittico è che a finire non sia la civiltà in assoluto, qualora essa sia mai esistita, ma la nostra, incarnata appunto da questo neo-barbarico uomo bianco ormai accerchiato da genti di opposta estrazione etnica e destinato a una titanica quanto disperata resistenza (si noterà che alla testa dei nemici dell'eroe c'è un capo di origine araba). Con lui, con l'ultimo uomo bianco, finisce quell'avventura storica iniziata migliaia di anni fa con le invasioni indoeuropee, in quella preistoria eroica che Howard trasfigurerà nella sua immaginaria Era Hyboriana, situata tra lo sprofondamento di Atlantide e la storia a noi conosciuta, e su cui scrisse anche un vero e proprio saggio pseudo-storico, The Hyborian Age.È invece di origine indiana la grande massa di invasori che un bel giorno spunta al largo delle coste francesi ne Il campo dei santi, arcinoto romanzo di Jean Raspail in cui la civiltà europea finisce, estenuata e arrendevole, di fronte a migliaia e migliaia di indiani arrivati nello stesso momento, in cerca di una nuova casa. Il cattolico Raspail aveva quindi individuato nella cultura pagana degli indù l'elemento dirompente rispetto alla antica civiltà europea. Il romanzo uscì nel 1973 (anche in questo caso saranno le Edizioni di Ar a tradurlo in italiano). A distanza di decenni, è tuttavia l'islam ad aver occupato il centro della scena – anche se i meccanismi di sottomissione e dimissione culturale descritti da Raspail restano i medesimi. Imprescindibile, in questo senso, è per l'appunto Sottomissione, di Michel Houellebecq, del 2015. La particolarità di questo romanzo è che, in questo caso, la conquista islamica della Francia non avviene in modo violento, ma per «seduzione». Ci sono, sì, echi di una guerra etnica in nuce, la quale però viene vanificata e superata da un leader carismatico musulmano che conquista il potere in maniera legale e che appare, in un contesto di assoluta decadenza autoctona, come l'unico personaggio lungimirante, ambizioso e colto. Tipica dell'autore è anche la sottotrama sessuale, con le élite francesi che vengono man mano conquistate dall'islam grazie al miraggio della poligamia e di mogli remissive e servizievoli. Diverso il quadro in Guerriglia, di Laurent Obertone (2017). Qui la tensione esplode quando un poliziotto, accerchiato da una gang etnica, fa fuoco e uccide un ragazzo. A quel punto la banlieue si incendia, come del resto accaduto molte volte nella cronaca reale di questi anni. In breve è il caos, tra atti di terrorismo, saccheggi, incendi, stupri, insomma il caos generalizzato. Più centrato sulla questione religiosa è invece il romanzo distopico del vaticanista «dissidente» Aldo Maria Valli che, in Come la chiesa finì, profetizza un Vaticano preda di una sfilza di papi di nome Francesco che danno continue picconate alla dottrina, fino ad arrivare a Francesco XVII, il colombiano Gustavo Guzmán, secondo il quale «Dio non castiga nessuno. Nessuno va all'inferno, perché Dio perdona tutti. I dogmi mutano a seconda delle umane esigenze». E ancora: «Non ci dobbiamo mai difendere dal nemico o dall'oppressore con l'uso della forza: meglio lasciare che ci renda suoi schiavi. Non esiste un uso giusto della forza. Dio non può volere l'uso della forza. Difendersi dall'aggressore è peccato, violenza e ingiustizia».
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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