Intesa con la Cina, il cardinale accusa: «Manipolate le volontà di Ratzinger»
I dubia del cardinale Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong, sul modo in cui il Vaticano ha diretto i rapporti con Pechino sono abbastanza noti, ma ieri la pubblicazione di una lettera indirizzata ai confratelli cardinali, datata 27 settembre 2019, li ha definitivamente espressi. La lettera, resa nota in Italia dal blog Stilum curiae del vaticanista Marco Tosatti, dice in sostanza che lo storico accordo tra Cina e Vaticano per la nomina dei vescovi, ratificato nel 2018, e gli orientamenti pastorali del 2019 sono in realtà un cedimento della Chiesa alla dittatura comunista di Pechino.
Quella che le autorità vaticane definiscono una via pastorale per il popolo cinese, per il cardinale Zen rappresenta un incoraggiamento per «i fedeli in Cina a entrare in una Chiesa scismatica, indipendente dal Papa e agli ordini del Partito comunista».
Il contenuto della lettera presenta critiche al cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, che, secondo Zen, avrebbe dato luogo a una «manipolazione del pensiero del Papa emerito» come espresso nella Lettera ai cattolici cinesi di Benedetto XVI del 2007. «Mi fa ribrezzo», scrive Zen, «che sovente dichiarano che ciò che stanno facendo è in continuità con il pensiero del Papa precedente, mentre è vero l'opposto. Ho fondamento per credere - e spero un giorno di poter dimostrare con documenti di archivio - che l'accordo firmato è lo stesso che papa Benedetto aveva, a suo tempo, rifiutato di firmare». Il riferimento su cui insiste Zen riguarda alcune frasi della Lettera di papa Ratzinger su cui ora si sarebbe sorvolato, come quella dei pastori che accettano la clandestinità per non dover «accettare ingerenze di organismi statali in ciò che tocca l'intimo della vita della Chiesa».
Leggendo i dubia del cardinale Zen sugli orientamenti pastorali per la registrazione civile del clero in Cina non si può negare che la realtà pare dargli ragione su molti punti. Il prossimo 1° febbraio, per citare l'ultimo provvedimento del governo guidato da Xi Jinping, entreranno in vigore nuove disposizioni che prevedono che tutte le attività, i raduni e i programmi delle comunità religiose debbano avere l'approvazione dell'Ufficio affari religiosi. Un esempio di libertà poco edificante che fa il paio con il programma di «sinicizzazione» della fede che assomiglia a una forma di nazionalizzazione della Chiesa più che un operazione di inculturazione del Vangelo. Peraltro, rimarcando il fatto che il testo dello storico accordo per la nomina dei vescovi è tutt'ora segreto, Zen scrive che «se non vedo il testo dell'accordo, mi è difficile credere che abbiano veramente riconosciuto il “ruolo peculiare del successore di Pietro"» e nel «dopo accordo niente è stato cambiato nella politica religiosa del partito, tutto è stato ufficialmente riaffermato e i fatti lo comprovano».
Che la situazione sia difficile per i cattolici in Cina lo ha scritto sotto copertura un fedele cinese, rendendo una testimonianza inedita pubblicata sul numero di gennaio del mensile Il Timone. «Chi si rifiuta» di aderire all'Associazione patriottica cattolica cinese (Apcc) controllata dal governo, scrive An Xin, «continua a essere perseguitato, come monsigno Vincenzo Guo Xijin, 61 anni, e alcuni sacerdoti della diocesi di Mindong». Nel primo piano della rivista anche un'intervista esclusiva proprio al cardinale Zen, a cui viene chiesto qual è la situazione, anche in riferimento ai fatti di Hong Kong: «È viltà», dichiara, «lasciarsi ingannare senza protestare».




