2024-10-01
«Riporto nei cinema il “taaac” del Dogui»
Germano Lanzoni, volto del Milanese imbruttito (Getty)
Il comico Germano Lanzoni: «Sono il Fantozzi 2.0. Il personaggio del mio nuovo film è un cinquantenne scaricato dalla new economy che si trasferisce in periferia. Quando ho lanciato “Il milanese imbruttito” Facebook era pieno di ragazzi, oggi è una piattaforma per i boomer».Torna nelle sale il personaggio del milanese imbruttito, portato al successo dal comico Germano Lanzoni. Dopo il successo nel 2021 di Mollo tutto e apro un chiringuito, è la volta di Ricomincio da taaac. La comicità milanese torna a ruggire!Come nasce il personaggio del milanese imbruttito?«Nasce dalla mente di tre ragazzi, Marco De Crescenzio, Tommaso Pozza e Federico Marisio, uno di Taranto, uno di Padova, uno di Varese, che vengono a Milano a studiare e si accorgono che noi milanesi parliamo in modo strano, cosa che non è vero, è il resto d’Italia che parla in modo strano!».E cosa decidono di fare?«Hanno un’età in cui si rendono conto che Facebook non è solo una piattaforma per rivedere le compagne del liceo e recuperare il limone della gita persa, ma è una piattaforma di contenuti. Creano un profilo con i meme e le foto della città ed esplode perché hanno un modo fresco e nuovo di raccontare quelle che sono le criticità di ogni città. Nel 2014, già con un trend molto positivo, decidono di dare un volto al milanese imbruttito per cominciare a caricare dei video».Le vostre strade a quel punto si incrociano. «De Crescenzio, Pozza e Marisio erano fan de “Il Terzo Segreto di Satira”, il collettivo di videomaker e attori di cui faccio parte fin dall’inizio, nato per raccontare la politica dalla parte degli elettori, non dei politici. Io facevo il personaggio del leghista e loro inizialmente volevano l’attore che faceva il berlusconiano perché era più incline alle dinamiche del fatturato, così caro al personaggio del milanese imbruttito. Soltanto che il bravissimo Massimiliano Loizzi è pugliese, mentre loro avevano bisogno di un attore autoctono che avesse tra i quarantacinque e i cinquant’anni».Il suo identikit!«Mi sono ritrovato all’età di quarantott’anni su una piattaforma iper-giovane, perché adesso Facebook è da boomer, ma all’inizio era per ragazzi. Per me è stato il salto quantico perché, provenendo dalla scuola comica milanese, il cabaret, il teatro canzone, ero ben lontano dal capire che stava cambiando il mondo. La loro fortuna è che io, essendo un comico della città, ne ho sempre raccontato vizi e virtù e il linguaggio mi era abbastanza naturale. Da lì è nata l’avventura che ha portato al primo film e adesso al secondo, Ricomincio da taaac».Il taaac, espressione tipicamente milanese, ci riporta ai tempi del mitico Derby Club, dove sono passate generazioni di comici geniali.«Dal Derby Renato Pozzetto lo ha portato nel cinema con Il ragazzo di campagna e poi è diventato il marchio di fabbrica di Guido Nicheli, il Dogui, personaggio straordinario proprio dal punto di vista della creazione del linguaggio. Dopo la sua morte nel 2007 non c’era più quella maschera. Io poi non avevo fatto programmi televisivi, quindi per il grande pubblico la mia faccia era nuova: è stata facile l’identificazione, tant’è vero che all’inizio tutti pensavano che io facessi veramente l’imprenditore perché nel mondo dei social l’influencer o il creator sono realmente loro».Ricomincio da taaac, ancor più del primo film, affronta il tema del lavoro.«Il film è una commedia all’italiana perché punta di alleggerire con la comicità delle criticità che viviamo tutti quotidianamente. Non è soltanto l’escalation di sketch legati a situazioni surreali, ma è il ridere su una tragicità della nostra vita, che credo sia la parte più nobile per chi fa questo mestiere. Quello che abbiamo raccontato è una contemporaneità sincera». Dalla prospettiva di un protagonista che appartiene a una fascia d’età poco considerata.«Il personaggio è un over 50: quando un lavoratore di questa età viene scaricato dalla new economy o dalle nuove vision si trova in un delirio perché le aziende vogliono giovani. In più, il film affronta tematiche di grande attualità su cui la gente sa poco: la gender equity o il climate change sono supercazzole per fare greenwashing oppure è un nuovo fenomeno da prendere seriamente in considerazione… se dico un’altra parola in inglese, puoi chiudere l’intervista!». Il signor imbruttito si trova nel pieno crinale del cambiamento e si illude di avere le armi per fronteggiarlo o addirittura cavalcarlo.«Il personaggio si trova a vivere il tempo presente, in cui diverse generazioni convivono in un contesto lavorativo che sta cambiando a velocità nanocosmica con la tecnologia, l’intelligenza artificiale, nuovi partner... fermami!».Alla fine si deve adeguare ai tempi che cambiano e scopre nuove realtà.«A differenza di Mollo tutto e apro un chiringuito, dove si rifugia in Sardegna, nel secondo rimane a Milano, ma dal luogo in cui vive e opera, pensando di padroneggiare le dinamiche, si ritrova in periferia, oramai la periferia del mondo, dove incontra ragazzi con qualità umane pazzesche e grandi competenze, che per integrarsi nei luoghi in cui si ritrovano a vivere fanno lavori umili. Per me è un bagno di umiltà per il personaggio. Milano è una città che deve la sua fortuna alla contaminazione e all’inclusione».È un film anche generazionale, in cui il protagonista si pone a confronto con il figlio giovanissimo, che ha una marcia in più.«Oggi per la prima volta sul lavoro c’è una generazione, la generazione Z, che ne sa di più delle precedenti. In parte vale anche per la generazione dei Millennials, che sono i quasi integrati, essendo stati schiavizzati dallo stage. Ormai i processi lavorativi passano attraverso la tecnologia. Io quando devo passare da Meet a Teams, a Zoom, figa, non ricordo le password, le credenziali, i link... È un periodo critico, ma per chi lavora in campo economico è una manna dal cielo. E anche per noi comici: dove c’è conflitto o ti arrabbi o ridi».Il personaggio le è entrato dentro anche nella quotidianità oppure riesce a staccarsene?«All’inizio era abbastanza sottopelle, nel senso che io, rispetto ai miei colleghi, ho fatto tanti lavori, speaker del Milan, teatro, cabaret, radio, sempre intorno alla comicità, ho diversificato perché se aspetto di riempire il frigorifero con le serate live, le mie figlie sarebbero anoressiche! Del resto, questa è la caratteristica del milanese: uno a Milano non fa un lavoro soltanto, ne fa uno ufficiale, poi hai vari progettini che gli portano reddito. Quindi era già dentro di me, poi ha preso possesso della mia vita. Ora ho una società, chiamata Hbe, Humor business experience, il cui core business principale sono le convention e gli eventi».Si è impossessato a tal punto che si è trasformato anche lei in un manager!«Però io vivo in periferia, quindi sono salvo perché nel quotidiano rientro in una dimensione che non è quella del grattacielo. Secondo me, avere la giusta distanza dalle cose ti permette sia di interpretarle, sia soprattutto non di finirci sotto. È anche vero che, se il personaggio uccide l’attore, la grana che mi ha fatto fare pagherà il funerale!».Com’è nata la collaborazione con il Milan?«All’epoca lavoravo a Rds come speaker di punta degli eventi esterni, il network è diventato radio partner del Milan e mi sono trovato a fare un evento per loro, un tre contro tre intorno a San Siro, con le finali all’interno dello stadio. Così mi hanno visto lavorare e Laura Masi, all’epoca direttrice del marketing, mi ha chiesto di collaborare con la società. Credo che sia stata apprezzata la mia diversificazione rispetto allo speaker radiofonico, perché avevo il tiro della comicità e sapevo cambiare registro per la mia formazione teatrale, rispetto all’animatore classico. In Europa gli speaker cominciavano a diventare parti integranti del pre-show, quindi mi sono ritrovato al posto giusto nel momento giusto».È tifoso del Milan ovviamente?«Sono tifosissimo del Milan. Non ho avuto un’adolescenza calciofila perché credevo a quattordici anni, essendo alto un metro e ottanta, di giocare nell’Nba… veramente un cretino di livello cosmico! Il calcio lo seguivo poco. Quando portavo il pallone nel cortile, finivo a fare l’arbitro, neanche il portiere! Io dico sempre: sono come quel trentenne che dopo l’università incontra una ragazza e capisce che la vita forse non è solo lo studio e i libri. Oggi il tifo determina il mio umore. Puoi immaginare il mio umore il lunedì dopo la vittoria nel derby: avevo un sorriso stampato che sembravo una maturanda in vacanza Giamaica dopo aver preso 60 alla maturità!».Il 36 dei boomer…«Il minimo sindacale. La votazione che riuscì a prendere io con un grande salto di gioia. L’insegnante di filosofia mi disse: “Ti è andata bene” e io gli risposi: “Prendiamola con filosofia, no?!”».Non ha proseguito all’università?«Ho fatto Scienze Politiche, indirizzo economico-aziendale. La cosa divertente è che mi hanno segato tre volte a Economia aziendale. In contemporanea ero iscritto alla scuola di teatro Arsenale, quindi dopo la terza bocciatura ho pensato che quell’office non fosse il mio habitat! Ora, a distanza di trent’anni, interpreto la figura del manager e ho un master all’università degli studi di Milano-Bicocca sull’utilizzo dell’ironia in comunicazione. Le aziende sono un volano economico per chi fa questo mestiere, nemmeno paragonabile al cachet di un teatro di mille posti in sold out».Un volano economico, ma anche narrativo: puo attingere a piene mani da quel mondo!«Adesso sono il Fantozzi 2.0, nel senso che oramai quasi più nessuno è dipendente, sono tutti imprenditori di se stessi. Il mondo del lavoro è pieno di follie e di contraddizioni, più ti dai da fare e più innalzano l’asticella per farti lavorare di più, ma dove c’è una contraddizione tra l’ideale e il reale il comico si diverte».
Chi ha inventato il sistema di posizionamento globale GPS? D’accordo la Difesa Usa, ma quanto a persone, chi è stato il genio inventore?
Piergiorgio Odifreddi (Getty Images)