2025-08-11
«Leone ha rilanciato il modello di una Chiesa che vuole convertire»
Papa Leone XIV (Ansa). Nel riquadro don Roberto Regoli
Don Roberto Regoli: «Nei suoi primi cento giorni Prevost ha spiazzato chi era abituato a un linguaggio mondano. Ai giovani parla di verità».Don Roberto Regoli, storico del Papato e docente di Storia contemporanea della Chiesa e Storia del Papato all’Università Gregoriana, fin dalle prime ore di pontificato di Leone XIV lei ha detto che la scelta di un nome cui nessuno pensava è stato il primo atto di governo del nuovo Papa, indice del suo programma pastorale e politico: dopo i primi cento giorni conferma questa analisi? «Confermo. Nel momento in cui Prevost ha scelto di chiamarsi Leone si è posto fuori da tutte le genealogie papali recenti, cioè si è tirato fuori dal gioco delle aspettative (c’era chi voleva un Francesco II, chi un Benedetto XVII, chi un Paolo VII) e ha scelto un nome a cui nessuno pensava, ispirandosi chiaramente a Leone XIII, l’ultimo Papa del XIX secolo. Papa Prevost si pone quale sintesi dei pontificati precedenti, citando nei suoi discorsi Leone XIII e Francesco, Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Nel porsi come sintesi e continuità di ciò che precede, in realtà, vuole fare altro, secondo gli obiettivi del suo pontificato. Con la scelta del nome Leone si è smarcato da qualsiasi eredità e può puntare a proporre una sua via, ad esempio superando le diatribe sull’interpretazione del Vaticano II o sugli strascichi degli anni Settanta». E quale sarebbe il suo programma?«Nei suoi discorsi di questi primi cento giorni, ha indicato urgenze ecclesiali, come una rinnovata missionarietà (la centralità di Cristo nell’annuncio), le esigenze della comunione e il primato della carità; a livello mondano ha insistito sulla dignità della persona umana con tutte le sue esigenze sociali. Non si è fatto chiudere dentro i confini di qualsiasi tifoseria ed è andato per la sua strada, così come alludeva proprio con il nuovo nome Leone l’8 maggio scorso. Un nome di indipendenza, ma nei legami della comunione. In questo senso, si nota un governo che vuole fare sintesi, accompagnando, ma pure decidendo con prudenza. Ora aspettiamo i primi documenti del pontificato e le prime decisioni di governo rilevanti per vedere il programma in atto».Da subito Leone XIV si è presentato come l’uomo del Vangelo, ha parlato di «pace» intesa come la pace del Cristo risorto, interpretando così un termine comune alla politica in chiave teologica: questo orizzonte spirituale può dirsi la cifra del suo pontificato?«Indubbiamente. Sin da quando si è affacciato alla loggia delle benedizioni su piazza San Pietro, ha dato questo orizzonte spirituale al pontificato. Questa impostazione lo può rendere criptico ai non credenti, perché il suo discorso è totalmente teologico e particolarmente cristocentrico, e chi è a digiuno di questi approcci non trova le sicurezze di un linguaggio mondano o politico. In questi primi mesi il discorso papale è molto rivolto all’interno della Chiesa e pure quando parla delle questioni internazionali torna ad argomentazioni religiose. Sta rinsaldando le file interne al cattolicesimo. È un Papa di ricomposizione e rimotivazione».Quale continuità intravede tra il papato di Francesco e quello di Leone? E quali discontinuità?«Qui citerei un confratello agostiniano di papa Leone XIV, Luis Marín de San Martín, che ha parlato di “continuità nella discontinuità”: si ritrovano le parole d’ordine del pontificato precedente, ma anche risemantizzate. Ad esempio, i termini “sinodalità” e “sinodale”, ma con quale significato? Con quello di stile ecclesiale, secondo una ecclesiologia di comunione, come ha esplicitato il papa alla Segreteria del Sinodo dei vescovi lo scorso 26 giugno. E, parlando ai cardinali il 10 maggio precedente, aveva congiunto la sinodalità alla collegialità. Si risente Paolo VI. Si vede un lavoro di consapevole cucitura del tessuto della Chiesa. Si nota uno stile di governo. Come ha detto un altro suo fratello agostiniano, Josef Sciberras: “Un governo collegiale, ma con una guida salda, pienamente consapevole della responsabilità del ministero petrino di garantire l’unità e confermare tutti nella Fede”».Cosa caratterizza l’azione pastorale del nuovo pontefice?«Si trova molto il discorso del cuore a cuore, ma non quello del sentimentalismo e dell’emozionalismo che attraversa le società occidentali ed ecclesiali e che infantilizza uomini e donne. Si tratta di ben altro: di voler facilitare l’incontro tra il cuore del credente e il cuore di Cristo. Esempi chiari si sono avuti nei discorsi papali pronunciati durante il Giubileo dei giovani e in modo mirabile nella veglia notturna a Tor Vergata, quando il silenzio e l’adorazione eucaristica hanno unito il Papa e i giovani in una preghiera intima con Dio, nonostante ci fosse un milione di persone. La cura pastorale in ultimo riguarda l’annuncio evangelico». Con Evangelii Gaudium Francesco aveva indicato le linee guida per annunciare il Vangelo nel mondo attuale: quale metodo di evangelizzazione coglie nel suo successore?«Un metodo semplice e per niente sorprendente: un cammino di coerenza evangelica. Leone XIV l’ha detto chiaramente ai giovani del Giubileo: “Noi non solo riceviamo una cultura, ma la trasformiamo attraverso scelte di vita”. Il Vangelo vissuto può trasformare la cultura, la società, la politica, l’economia. Il Papa crede che il cattolicesimo possa ancora incidere sui processi relazionali e sociali. E così non si arrende al relativismo e ai giovani parla di verità, di quella che non illude. Propone un cattolicesimo per niente timido, ma non per questo arrogante e parla anche di amicizia come via per cambiare il mondo. In ultimo un cattolicesimo gentile, ma saldo e coraggioso».Durante il Giubileo dei giovani si è vista una Chiesa che non vuole rinunciare alla sua presenza pubblica, come voleva Giovanni Paolo II, di cui Leone ha ripreso una delle frasi più belle rivolgendosi ai ragazzi («è Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna»): quello di Wojtyla sarà anche il modello di Prevost?«Leone XIV non propone il modello di una Chiesa insicura ed incerta, ma la rilancia nello spazio pubblico per annunciare Cristo. Giovanni Paolo II è stato il Papa delle piazze e dello slancio missionario. Prevost l’ha ripreso volutamente in mondovisione e ha incoraggiato i giovani con le stesse parole d’ordine. Propone la bellezza dell’esperienza della fede in Cristo, che vivifica tutte le relazioni. È la pastorale del cuore, centrata sulla verità di Cristo e la sua capacità di trasformare ogni durezza di vita. È un discorso che riguarda la redenzione di ogni persona».Anche se per le sue origini europee e la sua vasta esperienza internazionale da priore generale degli agostiniani Prevost non può essere ridotto a un unico passaporto, resta il fatto che è il primo Papa americano nella storia della Chiesa. Quale sarà la sua relazione con Washington?«La relazione tra Vaticano e Washington interessa tutti, soprattutto dopo le tensioni nell’ultimo tratto del pontificato di Francesco: ad entrambi conviene avere reciproche buone relazioni. Non solo relazioni, ma buone e cordiali. Si tratta di due potenze di diverso ordine, ma che hanno un impatto globale. E la Santa Sede ha il peso del suo soft power, dell’autorevolezza morale sulla scena internazionale. Inoltre, il cattolicesimo ha un peso significativo negli Usa: cattolici ricoprono ruoli importanti nella Corte Suprema (ben sei giudici su nove sono cattolici, compreso il presidente) e all’interno dell’amministrazione Trump (si pensi al vicepresidente, Vance). Papa Prevost è figlio di questo cattolicesimo, ma padre di tutti i cattolici nel mondo e dunque avere buone relazioni non significherà mai né sudditanza, né finta lontananza per non far pesare le sue origini. Si tratterà di un lavoro di sana collaborazione. D’altra parte la Chiesa cattolica non ha alleati permanenti, ma interessi permanenti e su questi ultimi ci si confronterà».Una delle prime controversie che Leone ha dovuto affrontare è stato l’attacco israeliano alla parrocchia della Sacra Famiglia a Gaza, cui è seguita una telefonata con il premier Netanyahu. Sul conflitto russo-ucraino ha parlato con Putin: contatti diretti che nel precedente pontificato non avevamo visto. Leone come sta posizionando la Chiesa nel mondo, in particolare in materia di relazioni internazionali e di diplomazia pontificia?«Si nota un nuovo protagonismo della Segreteria di Stato, ed è evidente una coerenza di discorso pubblico tra il Papa e i suoi uffici curiali. Le parole impiegate sono pesate e ripetute. Si tratta di una linea diplomatica che precede l’elezione dello stesso Prevost, che nella sua vita si è occupato prettamente di questioni ecclesiali più che di politiche internazionali. All’interno di questa dinamica il Papa non teme di esporsi, avviando contatti diretti e personali con i protagonisti della scena internazionale, fino addirittura ad offrire il Vaticano come luogo di trattative di pace. Gli orizzonti della diplomazia pontificia sono evidenti e coerenti nel tempo. Come ha detto lo stesso Leone: il Papa passa, la Curia resta».
Federico Ballandi @Kontatto
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