2025-09-27
Boicottano pure la Venezi alla Fenice
I lavoratori del teatro screditano il direttore d’orchestra: «Revocarne la nomina». C’entra la sua presunta adesione alla destra? Ipocrisia anche col pittore Gasparro. Il bello del nostro sistema politico e culturale - un sistema in cui molti sostengono che non esistano doppiopesismi né problemi di libertà di espressione - è che poi, in realtà, ogni giorno le coordinate morali vengono ridefinite in base alla convenienza. A dimostrarlo con lampante evidenza sono due vicende che riguardano altrettanti grandi artisti italiani, finiti loro malgrado al centro delle cronache.Il primo caso è quello di Beatrice Venezi, direttore d’orchestra di talento e di precoce carriera contro cui da tempo si scatena la furia progressista. È accaduto che sia stata nominata al vertice del teatro La Fenice di Venezia, incarico che dovrebbe ricoprire a partire da ottobre del 2026. La notizia non ha fatto nemmeno in tempo a uscire che sono iniziate le proteste. Hanno iniziato gli orchestrali, i quali sostengono che la nomina «non garantisce né qualità né prestigio internazionale», motivo per cui hanno chiesto al sovrintendente Nicola Colabianchi di revocarla. Peccato che il sovrintendente li abbia clamorosamente smentiti: «Non mi spiego questa rigidità. È incomprensibile, non so dettata da quali motivi», ha detto all’Ansa. «Oltre a essere un maestro bravissimo, è giovane e donna e può consentire alla Fenice di tratteggiare percorsi nuovi e di attrazione per i giovani», ha detto il dirigente riguardo alla Venezi. Ma ai rabbiosi professionisti della Fenice non sembra importante. Ieri alla protesta si sono aggiunti i lavoratori del teatro, che hanno proclamato «lo stato di agitazione permanente» e «si riservano di intraprendere tutte le azioni di lotta sindacale necessarie - compresi scioperi, manifestazioni e sit-in - al fine di difendere la professionalità dei suoi artisti e il rispetto delle regole democratiche nella gestione della Fondazione». Che cosa chiedono le maestranze? Ovvio: «L’immediata revoca della nomina a direttore musicale di Beatrice Venezi, avvenuta con modalità e tempistiche che hanno calpestato ogni principio di confronto e trasparenza». Tutto ciò è molto interessante nonché istruttivo. Non staremo certo a difendere il lavoro di Beatrice Venezi, la quale si difende benissimo da sola. Ci limiteremo a notare alcune minute contraddizioni. La prima è che fino a qualche anno fa la musicista veniva celebrata ovunque, intervistata e giustamente coccolata dalla stampa in quanto eccellenza italiana. A un certo punto, però, l’atteggiamento è cambiato. Ed è successo quando la Venezi ha manifestato alcune idee non totalmente assimilabili al copione progressista. Da lì, la guerra totale, gli attacchi feroci e adesso gli scioperi preventivi. Ci risulta che in quasi tutte le istituzioni culturali italiane ci siano stati responsabili indicati dalla politica, che non sempre erano simpatici e a tutti e che talvolta si sono perfino rivelato degli emeriti imbecilli (non è questo il caso). Ma di mobilitazioni tanto rabbiose e rapide se ne sono viste davvero poche. Ci risulta anche che, almeno secondo i comandamenti sinistrorsi, contestare le donne sia cosa riprovevole e anzi segno di maschilismo sistemico, retaggio patriarcale, odiosa pratica politicamente scorretta. Eppure, pensate un po', nei riguardi della Venezi tutte queste pessime pratiche possono essere agite senza particolari problemi. Se fior di maschi ne chiedono la testa, non sono patriarcali o invidiosi, ma saggi. Se la vogliono ostacolare non sono ottusi e chiusi alle novità, ma seri e responsabili. Da dove deriva questa differenza di atteggiamento? Facile, dal fatto che la Venezi ha il marchio della destra, e allora la si può - anzi la si deve - vituperare. E non è nemmeno, attenti, un problema di idee, ma soltanto di schieramento, di conventicola. La Venezi non ha pagato dazio al sistema progressista, non ha baciato gli anelli che da sempre si baciano nell’ambiente. E allora sia maledetta, sia allontanata tra i fischi. Leggermente diversa è la vicenda che riguarda lo straordinario pittore Giovanni Gasparro, uno dei migliori artisti europei. È finito a processo per propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa e la Procura di Bari ha chiesto per lui la condanna a sei mesi di reclusione, con il riconoscimento delle attenuanti generiche. Motivo? Forse Gasparro ha aggredito un ebreo o un nero? Forse ha invitato al linciaggio o alla discriminazione? No, affatto. Il pittore viene processato per via di un quadro intitolato Martirio di san Simonino da Trento, che è stato ritenuto antisemita da alcuni esponenti della comunità ebraica i quali hanno sporto denuncia. Il fatto curioso è che se una accusa del genere fosse stata mossa a qualsiasi altro artista del giro giusto (quello vagamente di sinistra) fioccherebbero gli appelli, ci sarebbero manifestazioni e dibattiti nei talk show. Dove del resto vengono presentati come eroi tutti i pro Pal che inveiscono furiosamente contro Israele e guai a parlare di antisemitismo. Ma Gasparro è un artista schivo, conservatore e per di più dipinge soggetti religiosi, dunque a nessuno frega niente della sua libertà di esprimersi, anche se è un talento celestiale. Non ha gli amici giusti, Gasparro. E come la Venezi non ha il bollino di idoneità della sinistra culturale. Se non stanno dal lato giusto o nel salotto giusto, le donne si possono sminuire e insultare, gli artisti si possono processare e censurare con il silenzio o, peggio, l’approvazione degli intellettuali «per bene». Significa che ormai il problema, qui da noi, non è nemmeno più la libertà di pensiero. Il pensiero non esiste: contano solo il potere, i soldi e le amicizie convenienti.
Benjamin Netanyahu (Ansa)