2025-05-26
Claudio Lippi: «Dopo Silvio solo incontri sfortunati»
Claudio Lippi (Imagoeconomica)
Il presentatore: «In questi anni lontano dai riflettori, ho avuto tempo per crescere e imparare. Certa televisione andrebbe più tutelata, ma in questo Paese se dici la verità diventi una vittima. Iniziai con Boldi: è un alieno».A un certo punto, tra il noto presentatore Claudio Lippi e la televisione si è formato il gelo. Non ha più acconsentito a prestare il suo volto a programmi considerati trash e ha riflettuto per 19 anni. «Non mi considero un provocatore. Ma ho avuto molto tempo per crescere, imparare, incuriosirmi. Mi permetto ancora di sognare. Se potessi, rinascerei in Giappone, dove, per carità, c’è un altissimo numero di suicidi, ma dove la logica dell’affinità è talmente connaturata che dovunque, anche la signora che pulisce i gabinetti pubblici a Tokio, fa l’inchino. Questo nasconde tutta una cultura del rispetto che noi, nemmeno se ci puntano la pistola alla tempia, sappiamo avere».Esordì negli anni Sessanta come cantante solista, con Per ognuno c’è qualcuno, versione italiana di Everybody loves somebody di Dean Martin. «Parliamo di anni in cui ci si limitava a interpretare brani che gli autori scrivevano per interpreti molto riconoscibili, di cui riconoscevano le qualità vocali, il tipo di espressione… Non poteva esserci altro sogno che questo. Poi, da fine anni Sessanta, sono nati - e di eccellenze in Italia ne abbiamo avute tante - i cantautori, con il talento di scrivere testi, e talvolta anche musica, e di interpretarli. Il cantautorato ha cambiato l’editoria musicale. Ma nei pullman delle gite scolastiche delle medie si cantano ancora i Ricchi e Poveri. È un sogno che ho faticosamente tolto dalla testa». Nel 1968 creò un gruppo dove c’era anche Massimo Boldi. «Con il fratello Fabio, alle tastiere…».Come vi conosceste?«Massimo è un alieno… Era la Milano della Galleria, un punto di riferimento e di ritrovo, così come alcuni locali, localini, bar, sorsi di grandi club per chi sognava di fare questo mestiere. Ci siamo conosciuti perché ci si presentava e frequentava. Con lui ho condiviso alcuni momenti di vita reale, esattamente il contrario di quella che è la vita virtuale delle star. Vip è un termine che odio profondamente, ma non per snobismo. Io sono fermo a Barnard, il primo che ha trapiantato un cuore… Con Massimo è tutto molto facile e difficile. È una specie di cartone animato con molto cervello, nella sua realtà. Mi ha chiamato un anno fa: “Claudio, stasera rifacciamo la Pattuglia azzurra” che era la discografica che avevo creato. Meno male che non c’erano i social, perché non ne sarei uscito vivo… Qualcuno indicò il nome come una sorta di rimpianto fascista, ma s’intendeva solo caratterizzare un prodotto italiano con il colore della Nazionale azzurra…». Nel 1972 condusse programmi per la tv dei ragazzi come Aria aperta e Giocagiò. Quali differenze generazionali riscontra? «Noi abbiamo ponti romani ancora in piedi, transitabili, mentre per il ponte Morandi siamo ancora lì a cercare di chi era la colpa».Con questo vuol dire che i giovani di oggi…«Vivono una realtà diversa. Pensiamo ai nostri bisnonni quando i lampioni hanno sostituito i lumi a gas. Questa tecnologia sembrava più elementare. Oggi parliamo d’intelligenza artificiale, di algoritmi, cose che stanno togliendo la parte sana, se è ancora rimasta, dell’essere umano. I giovani crescono in una realtà che non gli restituisce quasi nulla, non forma il bambino. Già all’asilo dovrebbero raccontare ai bambini com’è la realtà di oggi e come ci si è arrivati».E in tivù?«Non c’è più la televisione dei bambini perché non ci sono più i bambini, non c’è più la tv dei ragazzi. Negli anni Sessanta si distinguevano i bambini dai ragazzi, poi si diventava teenager e poi giovani. Ci si sentiva appartenenti a qualcosa». Nel 1975 ebbe un ruolo in Piange… il telefono, con Domenico Modugno, uno degli ultimi musicarelli. «Modugno lo adoro. Si sceneggiava una canzone di grande successo e se ne faceva un film. Sono affascinato da quel periodo, la trasposizione di ciò che successe nel passaggio dalla radio alla televisione. In radio, il venerdì sera, trasmettevano un romanzo recitato. Trovo che la radio sarebbe ancora un mezzo straordinario per comunicare con bambini, ragazzi, giovani. Ricordo che allora c’era il rumorista. Gli zoccoli del cavallo erano fatti dal rumorista con le mani. Io immaginavo le principesse tutte meravigliose, i cavalieri tutti sul cavallo bianco. Facevo mia la scenografia. S’immagina Mike a Lascia o raddoppia? che, davanti a una cabina, fa una domanda a un robot anziché a un concorrente che sa tutto sulla vita sessuale delle formiche rosse?». Nel 1978 ha condotto il programma Rai Mille e una luce. Partite a dama tra squadre di diverse regioni italiane. I telespettatori votavano spegnendo e riaccendendo il televisore. Fu uno dei primi esempi di tivù interattiva in Italia. «Non pretendo che si sia parlato di questo perché c’ero io. Ma è uno di quei passaggi raccontati nel mio libro con Alessandro Battaglia, Tele Racconto (Orangemedia) parlando di quei programmi che hanno cambiato la società. Nonostante oggi ci sia un’infinità di possibilità si sente ancora dire: “Stasera in tv non c’è niente”. Il problema è che ci siamo viziati. Durante il Covid mi sono accorto di quanto mancasse l’abbraccio. Il segno che ha lasciato è che non ci fidiamo più di niente e di nessuno. Si ricorda di quella puntata della candid camera di Nanny Loy con quel cliente al bar che intingeva la brioche nel cappuccino del vicino? Questa ingenuità l’abbiamo totalmente persa. Non abbiamo più niente di umano». Continuando a seguire il decorso della tua biografia…«Grazie Roberto, hai detto “tua”…».È venuto spontaneo…«Adesso il rapporto è stato costruito, tra due persone che stanno piacevolmente cercando di ricostruire una storia. Niente, d’ora in poi, ci toglierà la ricchezza del tu». Nel 1978 Silvio Berlusconi ti volle come one man show a Sprolippio, per la neonata Telemilano. Fosti uno dei primi grandi nomi soffiati dal Cavaliere alla Rai. «Credo che anche per il suo biografo più accorto sia stato difficile ricostruire la biografia dell’intimo di Silvio Berlusconi. È nato illuminato. Ma anche fortunato. Il papà era uno dei soci di una banca di Milano. Ma dal nulla Berlusconi ha creato un meccanismo che si è opposto al monopolio. Tutto ciò è nato dalla folgorazione che ebbe già quando costruì Milano 2, quella più vicina all’ideale di città del futuro. Era amico di mio fratello, di sei anni più grande di me. Un giorno mi disse che Berlusconi mi voleva incontrare nella villa di via Rovani. Dal ’64 un nomìno me l’ero fatto. “Io sto per fare una televisione via cavo a Milano 2 per i clienti del Jolly Hotel. Vorrei averti vicino”. Sai su quei tavoli lunghi dei regnanti, con uno da un capo e uno dall’altro?».Certo.«Mi fidai di mio fratello e Berlusconi mi coinvolse molto e sono l’artefice di Barbara D’Urso. Pensavo di restare legato con le catene al cavallo di viale Mazzini. È stata un’impresa notevole. Mike arrivò dopo, Corrado anche. Ero l’emblema di Telemilano canale 58. Poi, con Galliani, andava nelle tv regionali, dava 10.000 lire, una cassetta registrata del programma, chiedendo che tutte le tv, in contemporanea, la sera, mandassero in onda il programma. Per gli spazi pubblicitari non si faceva pagare dicendo: “Mi darai una percentuale sull’aumento delle vendite dovuto alla pubblicità”. Il primo sponsor fu Cynar… E nei salumi dette visibilità ai marchi. Il più refrattario era Mike, legato alla Rai, ma che a fine stagione non aveva mai una certezza. Berlusconi gli disse: “Ecco l’assegno in bianco. La cifra la metti tu”. Nessuno ha mai saputo di che cifra si trattasse, ma Mike ha fatto poi la storia di Canale 5». Poi Il pranzo è servito, con Luana Ravegnini valletta, al posto di Corrado e altre cose. E vari intermezzi in Rai. Cosa s’inceppò? «Non rinverdisco ricordi. So soltanto che, sicuramente, non ho avuto una gran fortuna negli incontri dopo Berlusconi».In che senso?«Nel senso che ho trovato millantatori, di cui siamo circondati nei vari settori, persone che arrivano a ruoli di alta responsabilità senza le necessarie competenze. Li ho trovati tutti io. Ma non voglio fare la vittima. La mia grande forza è quella di saper parlare a un pubblico televisivo che si pensa assorba di tutto. Ma ogni volta che in questo Paese dici la verità diventi subito vittima di chi non la pensa come te e ti danno o del comunista o del fascista. Non c’è la libertà di dire che certa televisione andrebbe un po’ più tutelata, con rispetto del prossimo e senza violenza verbale. Ciò non mi appartiene». Hai detto qualcosa che dava fastidio?«Dava fastidio a chi sapeva che avevo ragione». Non volesti partecipare, insomma, a fare una tv che consideravi di pessimo livello. «Mi hanno proposto cose per le quali, avendo ascoltato maestri che mi hanno insegnato a fare una certa televisione, ho detto: “Non sono in grado di fare questa tivù”. Io ci metto la faccia. E davanti alla telecamera mi presento vestito come si va ospiti a casa di un altro. Anche se fosse in canottiera unta alla Fantozzi, io lo tratto come il padrone di casa. Corrado mi disse che quando accendi la tv è come suonassi il campanello e ti apre il padrone di casa. E Mike: “Non ti sedere prima della diretta, perché si rovina la piega dei pantaloni”». Cosa desideri ora? «Nessuno mi dice “che fine hai fatto?”. Mi dicono invece: “Quando torni?”. Il mio lavoro, di Claudio Lippi, Claudio Ruggero Lippi all’anagrafe, è quello di tenere insieme creando possibilità di riflessione o sorriso per chi si sintonizza sul canale in cui quel momento sono io. Non scendo a compromessi. In questo momento, grazie a te, mi sento davvero un vip».