2025-10-26
Chicco Testa: «Il Green deal va dichiarato fallito. Ora Meloni inverta la rotta europea»
Chicco Testa (Imagoeconomica)
L’esperto di energia demolisce le politiche dell’Unione a partite dagli Ets: «Sono un prodotto finanziario». Sui dati: «Emissioni mai diminuite ma famiglie e imprese sono in crisi. Anche il Pd faccia autocritica».Chicco Testa, lei ha evidenziato e ricordato che il primo gennaio 2027 verranno introdotti gli Ets 2. Un nuovo sistema di commercio sull’emissione di carbonio che andrà a colpire anche le famiglie e le piccole e medie imprese. Cosa ci dobbiamo aspettare?«Difficile fare una stima di quanto ci costerà, anche perché gli Ets hanno subito una forte finanziarizzazione, quindi ci sono acquisti allo scoperto, manovre speculative. È diventato un prodotto finanziario, con la tipica volatilità che appartiene a questi strumenti. Il problema, però, non riguarda solo gli Ets 2, va ricordato infatti che entro il 2035 andranno esaurite le quote gratuite destinate alle imprese energivore. La graduale riduzione delle quote gratuite comporta un inevitabile aumento dei prezzi. Quindi il problema è doppio. Un problema per le famiglie e per le imprese. Sulle imprese i dati europei ci dicono che nei settori hard to abate (acciaio, cemento, ecc.), negli ultimi 20 anni, la produzione è crollata del 30%. Quando si parla di riduzione di emissioni andrebbe considerato, quindi, che parte della riduzione sarebbe da attribuire alla delocalizzazione della produzione di acciaio, cemento e così via». In sostanza abbiamo delocalizzato la produzione di CO2 in Paesi terzi dove non esistono queste regole così stringenti? «Esatto, perché noi non abbiamo smesso di utilizzare acciaio e cemento. Solo che invece di produrcelo in casa lo compriamo in altri mercati». A proposito di produzione. La disputa su Nexperia, che fornisce chip a importanti case automobilistiche europee, ha inasprito ulteriormente le difficoltà dell’industria europea. Come se ne esce?«Guardando all’indietro. Noi per 5 anni, nel primo mandato di Ursula von der Leyen, dal 2019 al 2024, abbiamo praticamente solo parlato di Green deal. Improvvisamente ci siamo trovati con un problema di riarmo, un problema di dazi e guerre commerciali, e con il rapporto Draghi che ci ha spiegato che l’industria europea sta perdendo competitività. C’era bisogno di aspettare che lo dicesse Draghi? Dove guardavano i signori che stavano a Bruxelles in quei 5 anni? Questa dei microchip è una questione, ma non era difficile capire che, facendo politiche a favore dell’auto elettrica, i cinesi ci avrebbero massacrato, perché questo sta succedendo. Oggi chi pensa di acquistare un’auto elettrica decide di guardare alle cinesi semplicemente perché costano molto meno di quelle europee. In sostanza, anche il secondo obiettivo del Green deal, che era quello di raggiungere una posizione di avanguardia nella green economy, è stato drammaticamente fallito. Siamo in ritardo sui chip, sull’Intelligenza artificiale e su tanto altro».L’interruzione della produzione dei microchip voluta dalla Cina potrebbe rappresentare un problema anche di sicurezza? Un’arma ibrida per inibire la nostra produzione non solo nel settore dell’auto ma anche in quello della difesa?«Io credo che faccia parte più che altro della guerra commerciale scatenata da Trump, ognuno gioca le sue armi, questa è quella che possiede la Cina. Non solo per i materiali per la transizione (rame, cobalto, litio, comprese le terre rare), ma anche e soprattutto per la loro lavorazione». Nella guerra tra Cina e Stati Uniti ci rimette l’Europa. Assunto che von der Leyen a parole sembra aver completamente stravolto la sua visione, nei fatti però non ci si sta muovendo per invertire la rotta in modo decisivo e tempestivo. Perché?«Ci sono due problemi: il primo è che von der Leyen dà l’impressione di voler rivedere la strategia ma continua a dire che gli obiettivi finali non si toccano. Questo avviene perché lei ha necessità di tenere insieme una maggioranza europea con i socialisti e i verdi. E guardando anche alla linea del Pd, loro proprio non riescono ad emanciparsi dalle politiche green portate avanti da Frans Timmermans nel mandato 2019-2024. Il secondo problema consiste nell’inerzia della macchina europea. Non è cambiata la burocrazia e poi ci si difende dicendo che si mette in campo ciò che è stato deciso. L’esempio perfetto sono gli Ets 2. Ci vuole una trasformazione profonda. I popolari lo hanno capito, ma non esiste una maggioranza diversa da quella attuale». L’impasse è politica quindi?«Ci vorrebbe una grande autocritica da parte dei socialisti europei, a cominciare dal Pd che però naviga tra le nuvole. Adesso bisogna anche considerare che, se Antonio Decaro andrà a governare la Puglia, al suo posto (presidenza della commissione Ambiente in Europa) dovrebbe andare l’europarlamentare dem Annalisa Corrado, che sui temi green ha dimostrato di sostenere tesi molto radicali».La linea del governo italiano però è profondamente diversa. Giorgia Meloni nelle sue comunicazioni è stata piuttosto chiara. «Sì, è vero, però c’è bisogno che anche lei le metta a terra queste cose».Cosa si può fare?«Ha la forza per imporre veti e per dire che bisogna cambiare direzione perché noi non ci stiamo più. Adesso preoccupa anche il tema della direttiva sulle case green, perché la pompa di calore per motivi tecnici può andar bene nelle case grandi, in campagna, ma il 70% delle abitazioni in Italia sta sotto ai 100 mq ed è tecnicamente molto difficile installare una pompa di calore».La casa green se la possono permettere solo i ricchi?«Succederà come per il superbonus, lo hanno sfruttato solo le persone che avevano grandi case, ville, edifici».Dal 10 al 21 novembre in Brasile si terrà la Cop30. Cosa ci aspettiamo?«Io mi aspetterei che si dichiarasse il fallimento di queste politiche green. Le emissioni totali negli ultimi 30 anni sono state pari a tutte quelle degli ultimi due secoli. Non c’è stato un anno in cui siano diminuite, fatta eccezione per la crisi dei subprime e quella del Covid. L’anno scorso abbiamo fatto il record. Poi si dice no al nucleare. Se io dovessi aprire la Cop30 la prima domanda che farei è: cosa abbiamo sbagliato?».
Romano Prodi e Mario Draghi (Ansa)