2025-05-08
Padellaro: «L’antifascismo di oggi è solo una recita»
Antonio Padellaro (Imagoeconomica). Nel riquadro, il suo ultimo libro «Antifascisti immaginari»
Il giornalista e scrittore: «Nel mio ultimo libro racconto degli odierni “partigiani” che nei salotti tv gridano all’incombente ritorno del regime. Un’indignazione puramente teatrale che cerca di dissimulare uno scopo strumentale: attaccare il governo Meloni».Dicembre 2005. L’allora direttore dell’Unità, Antonio Padellaro, si fa intervistare da Claudio Sabelli Fioretti. Un fuoco di artificio di affermazioni - «ho paura di una sinistra che prenda una maggioranza troppo forte», «spesso la sinistra è chiagni e fotti. La destra ha una capacità di autoironia maggiore», «Michele Santoro ce l’ha giurata perché abbiamo scritto che prima di dimettersi dal Parlamento europeo avrebbe dovuto dare una spiegazione ai suoi 400.000 elettori», «a me piace l’idea di una destra ben rappresentata» - che fecero venire una bella acidità di stomaco a una folta schiera di sinistrati.A Padellaro, interlocutore civile e mai arrogante nell’esporre con ragionevolezza le sue argomentazioni, espressi pubblica solidarietà, da direttore del TgLa7, quando dalla citata direzione fu defenestrato.Il segretario del Pd Walter Veltroni - in un’intervista al Corriere della Sera del maggio 2008 - si augurò una donna alla guida del quotidiano, e oplà: ecco l’avvento di Concita De Gregorio. Il cambio avvenne in agosto, ma il programma della festa nazionale dell’Unità - in programma a Firenze dal 23 agosto, ma chiuso con mesi d’anticipo - già non prevedeva Padellaro tra gli invitati. «L’ha notato?», commenterà con Daniela Preziosi per il manifesto di quello stesso 23 agosto, «è l’unico caso in cui la preveggenza del Pd ha funzionato: sbagliano i sondaggi, non azzeccano una previsione, ma sapevano già che non sarei stato più direttore».«Non mi ricordavo della circostanza, ma in effetti la congiuntura astrale era decisamente singolare» ride oggi, che si ritrova al centro dell’attenzione per il sasso lanciato nello stagno dei granitici dogmi della sinistra militante. Che infatti non l’ha presa bene.Un pamphlet polemico di agile lettura, un titolo che è tutto un programma: Antifascisti immaginari. Padellaro, chi gliel’ha fatto fare?«Il colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo. A febbraio ho rivisitato la sua cella in via Tasso, oggi sede del Museo storico della Liberazione, dove ho portato i miei figli da piccoli. Lì quel militare fu torturato per 58 giorni, insieme ai partigiani e ai cittadini comuni rastrellati dai nazifascisti per le strade di Roma, per finire poi trucidato alle Fosse Ardeatine. C’è una targa che ricorda cosa scrisse il generale inglese Harold Alexander alla vedova: “Nessuno avrebbe potuto dare o dare di più per la causa del suo Paese e degli alleati”. Poi sono tornato a casa, ho acceso la tv e mi sono imbattuto nelle “facce da Ventotene”, copyright di Marco Travaglio, gli antifascisti da parata, i partigiani dalla ritualità posticcia. Così, mi sono messo a scrivere».Lei intende castigare la «indignazione da divano, usata come una pomata lenitiva delle emorroidi dello spirito». Un’immagine piuttosto «abrasiva».«Come reazione all’antifascismo che si fa cliché, quella posa preoccupata e sgomenta per l’incombente ritorno del regime in camicia nera, la faccia dolente di chi, nei salotti tv, annuncia la nuova marcia su Roma. Ripetendo il mantra all’infinito, perché il fascismo è eterno (solo che chi cita Umberto Eco è purtroppo lontano dalle sue vette), svuotando così le parole di senso, offuscando e consumando il valore dei principi fondamentali cui quelle parole pure rimandano (perché sull’antifascismo come pilastro fondante della Repubblica non ci piove), in una ripetitiva e stucchevole rappresentazione “teatrale”, perfettamente speculare a quelle di Roma per i morti di Acca Larenzia, o di Milano per Sergio Ramelli».In che senso?«Quelle adunate si svolgono sempre a favore di telecamera. E i fascisti che vi partecipano sanno che facendo il saluto romano si procureranno foto sui giornali, servizi nei telegiornali, spazio nei talk show. Vedendo certificata la loro esistenza. Funzionale all’antifascismo a denominazione di origine controllata, ridotto a fiction, in una sorta di opportunistica legittimazione reciproca. Siamo arrivati a calcolare con il goniometro l’angolo di apertura del braccio, per stabilire se Elon Musk avesse simulato l’Heil Hitler. Per arrivare poi ai duri e puri che spendono 49.000 euro per la Tesla green, perché fa fico quando Musk è considerato un liberal, per poi annunciare di rivenderla disgustati quando se lo ritrovano trumpiano». «Dichiararsi né di destra né di sinistra è solo un modo vanesio e reticente per confessarsi di destra». «Sei antifascista ma anche anticomunista? Allora sei un fascista». Marchiano con questa fatwa, i sommi sacerdoti del Verbo Resistenziale. Lei però, nella sua arringa ricca di citazioni e rimandi (Pier Paolo Pasolini, Antonio Gramsci, Vitaliano Brancati, Giampaolo Pansa), di nomi di questi cultori del «piagnisteo antifascista» non ne fa.«E non comincerò certo con lei. Manco morto. Non mi interessa fare polemica con alcuno (colleghi, amici o “nemici” che siano), avevo l’urgenza di dichiarare con onestà intellettuale il mio stato d’animo, e il fastidio per questi tic pavloviani, l’indignazione recitata, inflazionata, perenne, che poi cerca di dissimulare il suo scopo strumentale: combattere il governo di Giorgia Meloni. Il gradimento nei suoi confronti - piaccia o non piaccia, sondaggi alla mano - non è però scalfito dalla lotta senza quartiere dei partigiani contemporanei. Gridare “al lupo al lupo” non porta voti, non sposta consensi, la maggioranza (sia pure molto relativa) rimane solida. Non sarebbe meglio incalzare lei e l’esecutivo su temi concreti, per esempio il dl Sicurezza, che dar vita a infiniti psicodrammi?».Quale a me è parso il caso della panetteria di Ascoli, che, una volta segnalato, ha tenuto banco per una settimana, trasformandolo alla fine in un rumore di fondo non fastidioso, quanto tedioso. «Del resto, se si arriva a invocare, con un atto di cretinismo politico (mi riferisco all’espressione usata, non alla persona che l’ha pronunciata), la “sobrietà”, si finisce con i poliziotti o i vigili che, per non saper né leggere né scrivere, in una overdose di zelo, si preoccupano di un innocuo lenzuolo».Come i solerti funzionari della Rai che stopparono la comparsata di Antonio Scurati in tv l’anno scorso. La censura non solo è sempre deplorevole, ma è pure controproducente: fosse andato in onda, se ne sarebbero accorte poche centinaia di migliaia di telespettatori. Così, gli hanno fatto un regalo. Ma non è che alla fine appuntarsi la medaglia dell’antifascismo, anche prima che te lo chiedano, serva a guadagnare un patentino di intoccabilità? Penso a Leonardo Sciascia e al celebre articolo sui «professionisti dell’antimafia», in cui prospettava il caso di un sindaco paladino della lotta alla mafia, disastroso come amministratore pubblico. Nessuno lo criticherà, per non correre il rischio di essere considerato colluso con i mafiosi, in base al sillogismo «lui combatte Cosa Nostra, tu attacchi lui, ergo: tu sei un picciotto».«Le confesserò un risvolto sulla genesi del titolo del mio libro. In realtà avevo pensato a Professionisti dell’antifascismo. Poi ho preferito usare un’espressione più dolce, diciamo così, anche per non dare l’impressione di volermi paragonare a un sofisticato intellettuale come Sciascia. Ma la sostanza rimane quella». Senta, non è che - sotto sotto - mi sta diventando un destrorso ambiguo?«In base al “fascistometro” di Michela Murgia, in Istruzioni per diventare fascisti, il mio livello di fascismo sarebbe ancora primordiale, somiglio più che altro “a un democratico incazzato, che non a un fascista sereno e ben formato”. Scherzi a parte, sono orgogliosamente antifascista, per il debito di riconoscenza verso chi ha dato la vita per restituirci la libertà e per consentirci di edificare la Repubblica. Ma non nella versione che stigmatizzo, e che arriva a occultare perfino l’evidenza, quando - piegandosi alle ragioni di una sola parte nella mitizzazione della lotta partigiana - dimentica che la Resistenza non fu di un colore solo, con convivenze non solo cromaticamente incompatibili, e che ci fu anche il sacrificio di tanti militari, non solo di Cordero Lanza di Montezemolo, a cominciare da quelli che si rifiutarono di consegnare le armi ai tedeschi a Cefalonia dopo l’8 settembre, e per questo furono massacrati. Per non parlare degli alleati morti in Italia».«La retorica che banalizza la Resistenza non la si affronta con lo sberleffo di un pamphlet», ha sentenziato Gad Lerner.«Sì, in un’intervista al Corriere della Sera in cui professa amicizia, ma poi si concede una serie di giudizi nei miei confronti, dall’alto non si capisce bene di quale presunta superiore cattedra morale». Per l’ex collaboratore del Fatto la sua è «goliardia da tarda età», questa sì una battuta da estremista senile.«La mia anagrafe è questa, purtroppo non sono giovane come lui. È vero: io la goliardia l’ho sempre coltivata, ancor di più nel ’68 e dintorni. Sempre meglio quella frequentazione che la partecipazione a movimenti di lotta che, in quegli anni, si sono resi protagonisti di una stagione di violenza, di sopraffazione, di sangue, tra pistole e chiavi inglesi».
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