2018-05-27
L’interruzione di gravidanza uccide.
Una scomoda verità fa il giro d’Italia
I camion di Provita sfilano in 500 città, nonostante i soprusi di qualche sindaco. Accolti da insulti, imbrattati con scritte «Per il mio corpo decido io», «Basta Medioevo», ma soprattutto condivisi da tanti cittadini, associazioni, parrocchie, amministrazioni comunali, i manifesti di Provita onlus stanno attraversando tutta l'Italia. Da inizio settimana, la più grande campagna pro life lanciata in questo Paese, marcia imperterrita su camion vela che si muovono in oltre 500 città, percorrendo 100 province italiane in una settimana. Parola d'ordine, superare ogni censura e lanciare un messaggio di rispetto nei confronti delle donne e dei bambini. Una controffensiva alla stanca e poco convinta retorica sui 40 anni della legge 194, ascoltata e letta in questi giorni, fatta ribadendo invece un principio fondamentale: la vita va rispettata sempre, dal suo inizio alla fine. Partendo dal grembo materno. Provita non si è fermata, dopo la decisione dello scorso aprile del sindaco di Roma, Virginia Raggi, di far togliere un maxi manifesto dopo appena tre giorni, ascoltando i piagnistei di femministe e di associazioni di sinistra. Eppure il messaggio di quella gigantografia non aveva alcunché di offensivo: «Tu eri così a undici settimane. Tutti i tuoi organi erano presenti. Il tuo cuore batteva già dalla terza settimana dopo il concepimento. Già ti succhiavi il pollice. E ora sei qui perché la tua mamma non ha abortito». Le stesse frasi, assieme ad altre, viaggiano per l'Italia ricordando in più di 500 centro urbani che l'aborto non elimina un grumo di cellule, ma un essere umano già formato. Impossibile restare indifferenti. «Sai perché sette ginecologi su dieci si rifiutano di praticare l'aborto? Ora lo sai», riporta un altro manifesto, mostrando lo stesso bimbo a nemmeno tre mesi di vita. Per chi vuole dimenticare le alternative possibili all'interruzione volontaria della gravidanza (sarebbe ora di tornare a chiamarlo aborto), altri camion vela ricordano: «Mamma, non ti pentirai di avermi avuto. E se proprio non puoi tenermi con te, dammi in adozione, fammi vivere!». Frasi che turbano, disturbano. Piddini, sindacalisti, sindaci pusillanimi che si piegano alle reazioni isteriche, scomposte di gruppi che gridano contro la «violenza», contro «gli attacchi alle donne» dei manifesti Provita, promettono di rimuoverli, come è accaduto nel Comune di Magione, in Umbria, dove il primo cittadino Giacomo Chiodini li ha ritenuti «lesivi di norme e sensibilità» e li ha fatti togliere. Altri li difendono, riconoscendone il diritto di restare affissi, come ha fatto il sindaco di Genova, Marco Bucci: «C'è la libertà di pensiero e di espressione in Italia», ha dichiarato, incurante di cortei, marce di proteste anche di Lgbt pro aborto, tutti indignati per quell'esserino che scuote le coscienze, «bucando» i cartelloni per affermare un diritto ignorato, non riconosciuto o calpestato. L'hanno definito «offensivo» perché « colpevolizza le donne». Hanno invocato l'intervento del Garante dell'infanzia, perché questa pubblicità sarebbe «lesiva nei confronti dei bambini». Dichiarazioni a dir poco grottesche: si riferivano ai bambini che vengono uccisi con l'aborto? «Siamo all'assurdo. Lesivo dei diritti dei bambini è volerne censurare l'immagine o pensare che una creatura si possa sopprimere!», esclama Toni Brandi, presidente di Provita. Sfila per le strade, nelle piazze, sosta davanti a monumenti, chiese, centri commerciali e scuole, l'armata degli automezzi messa in campo da Provita, in collaborazione con numerose associazioni e sostenitori. Una marcia silenziosa, di centinaia di vele che navigano controcorrente, riportando l'attenzione sulla centralità della vita. Sulla legalizzazione dell'aborto che «consente, tutela e moltiplica una pratica al 100% mortale. Con l'aborto muore e sempre almeno un essere umano, il figlio di una madre», ricorda il direttivo della Onlus. Un camion si è fermato anche davanti alla casa di cura Sacro cuore di Cosenza, dove dallo scorso ottobre si effettuano gli aborti che l'ospedale pubblico dell'Annunziata non può praticare, per mancanza di personale. La speranza è che qualche donna, prima di varcare quella soglia, si soffermi ad ascoltare il bimbo che le sta parlando, dentro e fuori il suo grembo.